
Una suggestione, inserita al centro del libro, ci aiuta a definire la partenza: è una visione poetica che ci permette di trattenere un'immagine e sfruttarla come guida per osservare il paesaggio dall'alto. Lo stiamo sorvolando. Nel capitolo dedicato ai fiumi del Nordest e alla penna di Ernest Hemingway, Antonio Canu condivide il desiderio di "volare abbastanza in alto nel cielo e avere idea di come le distese d’acqua costiere giochino con il mare, di come si fondano o si separino, di come diventino un unico, maestoso paesaggio. Poco importa, se quello che vedo oggi non è il paesaggio originario: potrei non saperlo, se fossi anatra. La mia memoria storica mi porta a riconoscere i luoghi come sono oggi, ma per certo so che dove i grandi fiumi sfociano in mare si formano spesso le lagune. E io di questo vorrei raccontare". Se da un lato, in questa riflessione, rintracciamo i propositi e i sentimenti dell’autore, dall’altro possiamo allenare il nostro stesso sguardo e intraprendere un personale viaggio alla scoperta de L'Italia di carta. Viaggio tra le pagine che hanno raccontato il nostro paese (Il Saggiatore), seguendo l'itinerario più vicino al nostro cuore.
Ambientalista, giornalista ed esperto in gestione di aree protette, Canu è stato responsabile nazionale delle Oasi per WWF Italia ed è presidente di WWF Travel. Scrive di natura e ambiente, è autore di guide specialistiche e ha pubblicato, tra gli altri, Lettera a mia figlia sulla Terra (2001), Roma Selvatica (2015) e Andare per Parchi nazionali (2019). Per Il Saggiatore, casa editrice di quest'ultimo libro, ha già scritto Il mondo in un carrello (2022). Potremmo “accontentarci” di recensire questa avventura di esplorazione che attraversa l'Italia intera, addentrandoci nelle pagine che hanno raccontato il Paese, ma scegliamo di indagare l’origine di un accurato progetto di studio e passione per la letteratura chiedendo all'autore di raccontare la nascita e svelare gli obiettivi di un racconto fatto di tanti altri racconti, di un lungo viaggio fatto di molti altri viaggi.
Il libro si offre come mappa ideale di luoghi fisici e dell’anima in cui, a puntuali informazioni tecniche e geografiche, si affiancano suggestioni intime ed emozionali. Quale il proposito del progetto editoriale? Da dove e quando nasce l’idea di questo libro?
"Ho pensato a lungo a questo libro e più volte ho tentato di scriverlo. Fino a trovare il momento e gli stimoli giusti. Ho sempre avuto una passione per le descrizioni di luoghi e paesaggi. Mi ha sempre incuriosito leggere le rappresentazioni, le impressioni, i ricordi di scrittori, artisti e intellettuali di ogni epoca e provenienza. Soprattutto dei luoghi e dei paesaggi a me cari o che mi capita di frequentare. A distanza di tempo, ho potuto – e posso - riviverli, scoprendone le inevitabili trasformazioni, ma anche i riferimenti, i richiami, i ricordi che ogni autore ci ha lasciato in eredità. Una sorta di viaggio nel tempo e nell'anima dei luoghi".
Lo studio prima, la selezione e la scrittura poi. È evidente: per sviluppare un progetto di questo tipo è necessario aver investito tempo e cura nella ricerca e nella lettura, il bagaglio culturale deve essere necessariamente ricco. Come si procede nel lavoro di ricerca letteraria e successivamente di scelta di autori e luoghi da raccontare? Quali le tappe del lavoro svolto?
"Come accennavo, una prima scelta ha riguardato i luoghi da raccontare. Sui quali ho appuntato nel tempo, citazioni, descrizioni, anche semplici cenni. Autori di varia estrazione, come può essere il Goethe del Viaggio in Italia o la Grazie Deledda del romanzo Elias Portolu. Una volta deciso l'itinerario, necessariamente conosciuto e vissuto, deciso anche in base ad alcune caratteristiche particolari, se non curiose, ho fatto la ricerca degli autori che ne avevano scritto e non solo nel passato. Sommando i miei appunti con quello che è venuto fuori dalla ricerca, ha preso corpo il libro".

“ Come naturalista conservo le preziose indicazioni su come erano i luoghi descritti. Come lettore colgo la parte emotiva e personale dell'autore. Come scrittore ho cercato di fare la sintesi tra questi due momenti
Da una parte il legame profondo e familiare di chi conosce ciò che racconta, dall’altro lo stupore di chi vede un luogo per la prima volta. Qui vengono proposti diversi punti di vista: gli sguardi degli scrittori che nascono e/o abitano nei luoghi scelti e quelli degli autori che ci capitano, che li attraversano. Può scegliere un paio di luoghi e qualche citazione da condividere? sono le pagine che lei custodisce nel cuore? Quali le prove letterarie che ritiene più felici e significative nella descrizione di un luogo?
"Non è facile scegliere e quindi mi rifugio nella scelta più personale. Quella delle mie origini. Che sono da parte di padre, Sassari e quindi la Sardegna, e da parte di madre un piccolo centro nell'entroterra del Cilento, con di fronte il golfo di Salerno. Due terre diverse, con molte caratteristiche in comune – la costa, il mare, la montagna, entrambe profondamente mediterranee – e la nomea di luoghi selvaggi e inesplorati, almeno così apparivano ai primi che le hanno frequentate. In quanto alle citazioni, sono legato a quelle dove traggo più elementi descrittivi del paesaggio del passato, condite dagli umori degli autori. Per la Sardegna, mi ha colpito quanto scrive Honoré de Balzac alla contessa Ewelina Hanska, per cui nutriva grande passione.
Ho appena visitato tutta la Sardegna e ho visto delle cose come se ne raccontano degli Uroni e della Polinesia. Un regno intero deserto, dei veri selvaggi, nessuna coltura, delle savane di palme selvatiche e di cisti, ovunque capre che brucano germogli e tengono tutta la vegetazione all'altezza della cintura. [...] Uomini e donne vanno nudi con un brandello di tela, un cencio bucato, per coprire le loro nudità [...] Ho fatto da diciassette a diciotto ore a cavallo ‒ io che ne avevo perso completamente l'abitudine e che da più di quattro anni non monto a cavallo! ‒ senza incontrare abitazioni. Ho attraversato una foresta vergine chino sul collo del cavallo a rischio di morire; per attraversarla bisognava procedere in un corso d'acqua, coperto da una galleria di piante rampicanti e di rami che potevano accecarmi, spezzarmi i denti, portarmi via la testa. Sono querce verdi gigantesche, sugheri, lauri, eriche di trenta piedi d'altezza. Niente da mangiare (Lettera di Honoré de Balzac alla contessa Ewelina Hańska, 27 marzo 1838)
In quanto al Cilento, tra i tanti, mi piace ricordare Giuseppe Ungaretti: Ora i monti che ci fiancheggiano vanno avanti e indietro, e alcuni arrivano ritti sull'acqua, e altri, prostrati, appiattiti, si prolungano in orazione verso l'acqua: verso Occidente sono netti, per l'ora, in una fine sabbia di luce. Fra la folla dei monti, più alto degli altri, comanda il monte Bulgheria, e si direbbe un pezzo d'antracite che sprigioni un briciolo di cenere greve. (La pesca miracolosa, Il deserto e dopo. Mezzogiorno, Vita d'un uomo, viaggi e lezioni, I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, 2000). Come naturalista conservo le preziose indicazioni su come erano i luoghi descritti. Come lettore colgo la parte emotiva e personale dell'autore. Come scrittore ho cercato di fare la sintesi tra questi due momenti".
“ Non c'è luogo al mondo dove l'uomo non sia arrivato, magari anche solo indirettamente.

Lei propone una riflessione su “naturale e artificiale”, a partire dalle Cinque Terre ma anche nel capitolo dedicato alle aree umide dei fiumi veneti, del Delta del Po e delle lagune, condividendo le sue considerazioni sulle azioni antropiche che, nel corso della storia, hanno saputo anche dialogare felicemente con il paesaggio. Eppure, lei stesso scrive che il tempo modifica i luoghi ma spesso non li migliora. E, sempre nel capitolo dedicato al Delta del Po, leggo: “Le trasformazioni avvengono in più fasi ed è sempre l’ultima quella che lascia i segni più evidenti, spesso peggiori”. Secondo lei, dunque, dove la natura è stata profondamente ferita dall’intervento umano?
"Non c'è luogo al mondo dove l'uomo non sia arrivato, magari anche solo indirettamente. Dalle sommità delle montagne, alle distese desertiche, ai fondali marini più profondi. Gran parte del pianeta è stato trasformato, non è più quello che era prima dell'avvento dell'uomo. Lo stesso vale ovviamente per il nostro Paese. Non possiamo prescindere da questo. Quello che viviamo oggi è il risultato di secoli e secoli di cambiamenti. I quali hanno sempre comportato delle perdite, quasi sempre dolorose, spesso irrimediabili. Pensiamo alle coste, alle pianure, alle citate paludi. Se oggi resiste un patrimonio di aree umide, molte di queste si sono formate per opera dell'uomo, con lo sbarramento dei corsi d'acqua. Non si possono però negare alcuni casi, dove il paesaggio seppure inevitabilmente cambiato ha raggiunto nuovi equilibri e mantenuto caratteristiche di naturalità, che nell'insieme sono parte del nostro patrimonio, sia esso geografico, che storico, che culturale. Sono però eccezioni, che non fanno la regola. In quanto ai segni che lascia il tempo, il taglio di un bosco recente va ad aggiungersi a quelli del passato, è più evidente e fa ancora più male".