UNIVERSITÀ E SCUOLA

Studiare all’estero, con un occhio alla Cina

Studiare all’estero come investimento. È la frase più comune, anche nel nostro paese da parte degli studenti che hanno scelto una meta universitaria straniera. Lo è non solo in termini di possibilità future di impiego, ma anche in termini economici: infatti un diploma di laurea all’estero può costare davvero caro. 

Nel mondo, secondo uno studio del colosso bancario britannico Hsbc, ci sono attualmente più di tre milioni di studenti impegnati a studiare lontano dal loro paese, un numero che è triplicato dal 1980 ad oggi. Stati Uniti e Inghilterra si contendono il primato per numero di stranieri presenti: negli Usa ci sono oltre 750.000 giovani iscritti a corsi di laurea o a master, l’Inghilterra riceve una cifra simile. La Cina invece conduce la classifica opposta: quella per numero di studenti  inviati all’estero: sono il 17% del totale e solo nel Regno Unito sono presenti oltre 100.000 studenti provenienti dal paese asiatico. 

Se Stati Uniti e Inghilterra rimangono le mete più ambite, all’orizzonte si affacciano nuovi concorrenti che cercano di “drenare” studenti e conquistare la fetta di mercato maggioritaria, rappresentata dai cinesi. In mezzo a questa lotta tra atenei ci sono gli studenti, alle prese con costi della vita più che elevati, che vanno a sommarsi a quelli già alti delle tasse universitarie. Lo studio dell’Hsbc elenca i Paesi più proibitivi in termini di esborso economico. Al primo posto c’è l’Australia con una spesa media per studente pari a 38.516 dollari. Di questi, 25.375 sono legati a spese per le tasse universitarie, i rimanenti 13.140 al costo della vita. Seguono gli Stati Uniti (dove, secondo dati Almalaurea le tasse universitarie sono aumentate del 1.120% dal 1980 ad oggi) con in media 35.705 dollari (25.226 derivanti dalla tasse, il resto dal costo della vita). Al terzo posto si posiziona il Regno Unito con 30.000 dollari di spesa media. A seguire gli Emirati Arabi uniti (27.375 dollari), il Canada (26.011), Singapore (24.248), Hong Kong (22.443), il Giappone (19.164), la Russia (9.441), la Cina (8.766) fino ad arrivare a Spagna e Germania. Il paradiso dello studio low cost con una spesa annua stimata in rispettivamente 7.006 e 6.285 euro. Esemplare per l’incidenza del costo della vita sulla frequenza universitaria è il caso del Giappone dove questo pesa il doppio rispetto alle rette universitarie (6.522 dollari all’anno di media, contro i 12.642 dollari da spendere per la vita quotidiana). Secondo un’analista dell’Hsbc, Malik Sarwar, “il numero di studenti desiderosi di studiare all’estero continuerà ad aumentare - spiega - anche se i costi saliranno ulteriormente, mettendo i genitori nelle condizioni di dover pianificare per tempo le future decisioni sull’educazione dei loro figli”. 

D’altra parte, la “migrazione” studentesca porta benefici notevoli in termini economici ai Paesi ospitanti e anche di futuri rapporti commerciali. I 750.000 studenti stranieri attivi negli Usa regalano infatti un contributo economico pari a 22 miliardi di dollari all’anno. E se l’Inghilterra compete con gli Stati Uniti per numero di studenti stranieri presenti, il British Council mira però ad aumentare il numero di giovani che studiano in Cina: dai 3.500 del 2011 a 15.000. Non solo libri insomma ma intrecci economici e commerciali tra l’Occidente e i Paesi emergenti dell’Est asiatico. Se Stati come la Cina decidessero di investire maggiormente nel loro sistema universitario, questo potrebbe competere in breve tempo con i blasonati atenei dell’Occidente, obbligandoli a rivedere, in meglio, i loro standard per non trovarsi di fronte a un’emorragia di studenti da Ovest verso Est, la (nuova) Eldorado.

Mattia Sopelsa

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