UNIVERSITÀ E SCUOLA

Covid-19 e bambini. Parola a Paolo Rossi

L’argomento che affrontiamo nel quarto appuntamento del ciclo “Aspettando Genova – L’Onda Covid: capire per reagire”, interviste dedicate al nuovo coronavirus, realizzate dalla redazione de Il Bo Live come percorso di avvicinamento alla diciottesima edizione del Festival della Scienza di Genova, è di grande rilevanza e attualità. Ci soffermiamo infatti sul rapporto tra Covid-19 e bambini, un interrogativo che sin dall’inizio dell’epidemia ha portato rassicurazioni rispetto alla minore suscettibilità dei più piccoli davanti all’infezione, che nella maggioranza dei casi resta asintomatica o evolve in forme molto lievi, ma che ha offerto finora minori certezze rispetto al reale ruolo di bambini e adolescenti nella diffusione del contagio.

E a circa due settimane dal giorno in cui in Italia gli studenti hanno potuto fare finalmente ritorno a scuola appare sempre più evidente che la grande sfida adesso sarà quella di garantire test rapidi che, davanti a un caso sospetto, possano subito distinguere tra un’eventuale positività a SARS-CoV-2 o il semplice manifestarsi del raffreddore o di sintomi influenzali.

Nei precedenti appuntamenti, che vanno ad arricchire un archivio con oltre 200 articoli che Il Bo Live ha pubblicato dall’inizio dell’emergenza, con Paolo Vineis abbiamo riflettuto sulla prima pandemia di un mondo davvero globalizzato, con Maria Rescigno abbiamo indagato il tema dell’immunità e con Walter Ricciardi abbiamo ragionato sulla gestione e prevenzione di una pandemia.

Protagonista del nostro nuovo approfondimento è il professor Paolo Rossi, direttore del dipartimento di Pediatrico universitario-ospedaliero dell'ospedale Bambino Gesù di Roma e docente di Pediatria all’università Roma Tor Vergata. Insieme a lui abbiamo affrontato molti nodi che ruotano intorno al rapporto tra Covid-19 e bambini: dalle ragioni che possono spiegare la minore suscettibilità dei più piccoli, all’esistenza o meno di sintomi specifici, dalla carica virale alle conoscenze sulla capacità di trasmissione del virus.

Intervista al professor Paolo Rossi, direttore del dipartimento di Pediatrico universitario-ospedaliero dell'ospedale Bambino Gesù di Roma sul rapporto tra Covid-19 e bambini. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

Quanto sono suscettibili al virus bambini e ragazzi?

L’aspetto della suscettibilità o per meglio dire della morbidità del SARS-CoV-2 in ambito pediatrico è stato uno dei più eclatanti di questa pandemia. Sin dai primi report che sono arrivati dalla Cina risultava molto evidente che la popolazione pediatrica, in particolare quella sotto i 14 anni, era sottorappresentata rispetto al totale dei pazienti infetti. Successivamente molti studi, tra i quali anche alcuni compiuti dal nostro gruppo, hanno dimostrato che la frequenza dell’infenzione nell’infanzia è minore rispetto a quella che si riscontra tra gli adulti. Il dato forse più interessante proviene da un gruppo di ricerca inglese che sulla rivista Nature ha dimostrato con un modello matematico che tra i bambini - loro in realtà fanno un cut off di età intorno 18 anni, quella che in Italia viene definita età pediatrica - il contagio è significativamente inferiore e soprattutto lo sono i sintomi di questa infezione. Le cause per le quali questo avviene sono complesse e ancora non completamente delucidate. Senza dubbio però è una notizia vera ed è conformata sia dai dati sperimentali, sia da quelli provenienti da modello matematico.

Nella suscettibilità al virus esistono differenze certe tra bambini e adolescenti?

Per rispondere bisognerebbe avere in mano i dati di popolazione. Quasi tutti i dati che abbiamo a disposizione sono invece dati di test, sia di tipo molecolare che di tipo sierologico, che sono stati fatti nel contesto di una situazione epidemiologica, vale a dire l’identificazione di un soggetto positivo e il tracciamento dei suoi contatti oppure i pazienti sintomatici che sono in ospedale. A parte il lavoro brillantissimo del professor Crisanti a Vo’ non esiste uno studio di popolazione, in cui tutti siano testati e questo è particolarmente importante perché moltissimi bambini contraggono l’infezione in forma asintomatica.

Ci sono sintomi specifici?

La sintomatologia, quando si manifesta, è molto simile a quella degli adulti. Il sintomo più importante è sicuramente la febbre, che però è presente nella forma di malattia dell’adulto. Un elemento distintivo tra i bambini è il manifestarsi di sintomi gastrointestinali che sono più frequenti rispetto a quanto non accada tra gli adulti. Chiaramente questo può essere molto confondente perché sappiamo tutti che tra i bambini piccoli, soprattutto sotto i 12 anni, febbre, tosse e sintomi gastrointestinali, sono molto frequenti, specialmente nel periodo autunnale e invernale.

La sindrome simil-Kawasaki

Tra i più giovani esiste poi un numero molto ristretto di pazienti che invece presenta una sindrome iperinfiammatoria con una caratteristica molto particololare e singolare. Il nostro gruppo di lavoro, guidato dal professor Paolo Palma in collaborazione con il Karolinska Institutet di Stoccolma, ha identificato molto bene la differenza che esiste tra questa sindrome iperinfiammatoria e la malattia di Kawasaki. In particolare, una piccola percentuale dei soggetti in età pediatrica, mi riferisco al range tra 0 e 18 anni, presenta questa sindrome che oggi è stata codificata come “sindrome iperinfiammatoria Covid related”. E’ molto simile dal punto di vista dei sintomi alla Kawasaki ed è per questo che abbiamo fatto uno studio complesso, pubblicato sulla rivista Cell, che ha confrontato le due sindromi con un approccio di biologia dei sistemi, andando quindi a vedere la parte trascrittomica e proteomica. Ed è emersa una differenza anche rispetto alle sindromi più gravi di Covid-19 nell’adulto. L’aspetto più importante è che nella sindrome di Kawasaki classica, su cui grazie al lavoro di ricerca condotto in università avevamo messo insieme una casistica molto rilevante di pazienti e avevamo i relativi campioni, abbiamo rilevato un particolare ormone immunologico che si chiama interleuchina 17 che non è invece presente nè nella forma iperinfiammatoria di Covid-19 tra i bambini, nè in quella degli adulti. Al contrario c’è un pattern ben preciso di citochine nella sindrome iperinfiammatoria. Questo ci permette di distinguere le due situazioni nel momento in cui ci sarà una sovrapposizione, perché tutti sappiamo che la sindromi di Kasawaki è abbastanza frequente nella nostra popolazione, e poi forse ci permetterà anche di identificare nuove terapie per la Kawasaki grave. Un ruolo molto importante nella sindrome iperinfiammatoria è svolto da autoanticorpi diretti verso degli antigeni, soprattutto espressi dal sistema vascolare e che potrebbero essere alla base di tutte quelle manifestazioni rappresentate da questa nuova entità legata a Covid-19. Tutto questo ci permette di curare meglio questi pazienti pediatrici, che sono però tutti un po’ più grandi. Non ci sono forme iper infiammatorie nei bambini sotto i 12 anni.

Quanti pazienti in età pediatrica presentano questa sindrome iperinfiammatoria?

E’ in corso una survey molto importante, realizzata del gruppo italiano di reumatologi coordinati dalla rete che si chiama Printo e ha sede proprio a Genova, sulla frequenza di questa condizione nei pazienti Covid-19. Nella letteratura è tra l’1% e il 3% dei pazienti Covid di quell’età: quindi è una condizione molto rara perché occorre considerare che i pazienti sintomatici di Covid in età pediatrica sono notevolmente meno rispetto agli adulti. E’ una condizione rara, ma sono proprio queste che ci consentono di capire i meccanismi che SARS-CoV-2 è in grado di mettere in atto.

Qual è il ruolo dell'infiammazione nel decorso di Covid-19 e perché i bambini sono meno inclini a svilupparla?

Sia la letteratura che alcuni dati in nostro possesso ci rimandano al ruolo dell’infiammazione. I bambini sono molto meni proni a fare infiammazione in risposta ad un evento esterno, come può essere un’infezione virale, rispetto all’adulto. Il gradiente di questa differenza varia: può andiamo avanti con l’età e più siamo “infiammati”. Questo è probabilmente legato all’esposizione continua che il corpo ha con gli antigeni, ad esempio di tipo ambientale e alimentare. Inoltre se siamo in presenza di condizioni che favoriscono l’infiammazione, come l’obesità, il sistema immunitario tende maggiormente ad infiammarsi. Se invece abbiamo un sistema immunitario che è meno prono a sviluppare infiammazione, perché ha meccanismi di regolazione, è più probabile che la sintomatologia sia leggera o assente. L’infiammazione è una parola chiave in questa patologia ma anche in altre.

La cross-reattività e la protezione dei coronavirus del raffreddore

Sono stati realizzati molti lavori che dimostrano l’esistenza di una cross-reattività, cioè vuol dire una funzione degli anticorpi verso gli altri coronavirus che sono molto frequenti specialmente in età pedriatrica. La memoria immunologica dei bambini nei confronti dei coronavirus forse è più lunga di quanto non accada negli adulti e questa cross-reattività è stata dimostrata in laboratorio mettendo a contatto gli anticorpi degli altri coronavirus con le proteine di SARS-CoV-2. Questo potrebbe spiegare o una minore suscettibilità al virus o una minore morbidità. Penso che sia un elemento molto importante, insieme alla valutazione della durata della memoria immunologica perché purtroppo gli anticorpi al SARS-CoV-2 sembrano poco durevoli e questo può avere una conseguenza anche sull’efficacia di un vaccino.

La minore presenza di recettori ACE2 nei bambini 

Anche questo è un dato consolidato. Ricordiamoci che il virus che entra in una cellula è come una specie di piccola pallina che all’esterno ha altre palline che rappresentano il suo attacco alla cellula, la più famosa è la proteina Spike. La Spike protein, che ha il suo bersaglio nel recettore ACE2, in realtà deve essere modificata da un’altra proteina che è presente nella cellula ed è una proteasi che fa una specie di taglio di questa proteina Spike. E’ un po’ quello che accade nel virus HIV dove la proteina GP120 ha come target il cosiddetto recettore CT 4 dei linfociti, ma per poter entrare nei linfociti ha bisogno di un altro co-recettore. Queste due proteine però sono meno espresse nei bambini e sono anche espresse in modo diverso nei vari tessuti, meno a livello delle prime vie aeree e più nei polmoni. C’è poi il problema di stabilire se questa espressione è governata da fattori genetici, ad esempio di sviluppo: non tutti i nostri recettori ed enzimi vengono prodotti immediatamente tutti uguali e con la stessa efficienza, piuttosto c'è una maturazione che prosegue nel tempo. Capire quali fattori incidono sull’espressione di questi recettori è un punto molto importante per la ricerca. Sicuramente l’infiammazione ha un ruolo anche in questo meccanismo. Inoltre sappiamo che questo co-recettore è regolato dalla quantità di androgeni presenti e siccome i bambini non li producono potrebbe anche essere questa una delle ragioni della minore presenza di recettori.

La carica virale

Ci sono molti dati che dicono che gli asintomatici hanno una carica virale minore rispetto ai sintomatici. E’ un tema cruciale perché ci introduce al concetto di quanto il bambino sia trasmittente o non trasmittente, quanto sia un potenziale pericolo come veicolo di contagio per la comunità. Non è una domanda a cui si può dare una risposta netta perché i dati in nostro possesso sono in parte influenzati dal modo in cui li stiamo raccogliendo e dobbiamo sempre tener conto che non sono dati di popolazione. Se però consideriamo l’insieme dei dati che abbiamo a disposizione da varie sorgenti, sia di carattere sperimentale, di modelling, sia di contatto tutto ci dice che gli asintomatici hanno una minore quantità di virus rispetto alle persone sintomatiche. Se consideriamo che nel bambino la percentuale di asintomatici è maggiore rispetto ad altre fasce di età la logica dice che i bambini hanno un ruolo minore nella trasmissione dell’infezione. Ovviamente poi è difficile fare un ragionamento individuale perché lì entrano in gioco altri fattori come le modalità di contatto con altre persone, la presenza o meno di comorbidità e l’efficacia di tutti i programmi di distanziamento sociale che fortunatamente nel nostro Paese sono stati messi in atto abbastanza precocemente applicando in modo corretto le linee guida delle agenzie regolatorie come il Center for Disease Control europeo e americano.

L'abbassamento dell'età media delle persone contagiate

Io penso che il tracciamento maggiore che stiamo facendo negli ultimi tempi abbia permesso di identificare una fetta di asintomatici e paucisintomatici che prima non venivano sottoposti al tampone. Senza voler entrare nella polemica che c’è stata nei mesi scorsi su quando e come fare il tampone è però evidente che nei primi mesi il test veniva fatto solo a persone con sintomi rilevanti e talvolta nemmeno a quelli. Sui bambini, che spesso appartengono alla fascia degli asintomatici o paucisintomatici, sono stati eseguiti pochi tamponi. Le parola chiave sono test e tracciamento e in questo mi allineo con il professor Crisanti. Devo dire che negli ultimi tempi siamo migliorati molto: sappiamo identificare meglio i focolai, isolarli e tracciarli. E qui bisogna entrare nell’annoso problema dei test: quanti sono i test, che tipologia privilegiare, quanto tempo occorre aspettare per avere l’esito, quali sono le strutture che dovrebbero essere abilitate.

Il ruolo chiave dei test rapidi

Fortunatamente la scienza procede in modo veloce. Io penso che dobbiamo impegnarci e migliorare specificità e sensibilità di questi test, ma soprattutto la capacità di eseguirli rapidamente. Un aspetto interessante è che la saliva nei positivi contiene una quantità di virus abbastanza tracciabile, paragonabile a quella che si può rilevare con il tampone naso-faringeo. Questo ha una valenza particolare per i bambini, soprattutto per i più piccoli, perché fare il tampone può essere un fattore di forte disagio. I test salivari molecolari sono sicuramente affidabili e un lavoro della UCL dimostra che il loro costo è molto contenuto. Qui si inserisce il ragionamento su chi fa il test, dove e quanti sono i laboratori che possono eseguirlo in modo tale da renderlo di facile esecuzione e con la garanzia di ottenere l’esito in tempi veloci. Il test rapido è un obiettivo fondamentale per poter tornare a una vita quasi normale in attesa di ulteriori sviluppi. Visto che ho sfiorato diverse volte di lavorare all’European Center of Disease Control di Stoccolma mi esercito spesso in calcoli economici: quanto costerebbe fare il test a un certo numero di persone e quanto costa non farlo e quindi lasciarle a casa dalle loro attività? Io personalmente sono per il test più frequente possibile, con metodi più facili e con la maggiore sensibilità possibile.

La non obbligatorietà della mascherina al banco è stata una scelta corretta?

Io vedo la situazione attraverso la letteratura. Ho vissuto 10 anni in Svezia, ho una famiglia svedese e quindi anche tra le mura domestiche si accende spesso il dibattito sulla necessità o meno del lockdown. In realtà messa in questi termini la domanda è mal posta perché il lockdown dipende anche dalla densità di popolazione, dalle modalità di lavoro, dalle condizioni geografiche e organizzative. La Svezia è un paese a bassa densità di popolazione, dieci milioni di abitanti su un territorio che è circa due volte quello italiano. In Italia abbiamo infrastrutture scolatiche carenti e garantire a tutti il distanziamento credo che nelle nostre scuole sia molto difficile. A mio avviso la mascherina è d’obbligo nelle situazioni in cui il distanziamento sociale non può essere garantito, come il Comitato tecnico scientifico ha chiaramento dichiarato nelle sue indicazioni. E anche per la natura dei bambini questo distanziamento per la maggior parte dei casi non è possibile. I bambini sono affettivi, fotunatamente hanno una capacità di relazione molto maggiore rispetto agli adulti. Immaginare che non si avvicinino perché c’è il metro di distanza è molto difficile. Ci viene però incontro il ragionamento che abbiamo fatto all’inizio e cioè che i bambini asintomatici, soprattutto i più piccoli, hanno una quantità di virus minore e quindi la possibilità che infettino gli altri bambini, gli insegnanti e i genitori è minore. L’aspetto importante è che quando un bambino ha un sintomo bisogna non mandarlo a scuola ma occorre anche essere estremanente rapidi nell’accertare se sia Covid o altro, diversamente andiamo incontro a un problema sociale. Certamente uno studio trasversale che ci dica meglio qual è la prevalenza dell’infezione tra la popolazione pediatrica ci aiuterebbe a ragionare sulla base di maggiori certezze. In ogni caso io personalmente non mi sento di dire che se c’è un metro di distanza tra bambini questo è sufficiente per togliersi la mascherina.

I bambini e le vaccinazioni

Qui si apre un altro importante dibattito scientifico. C’è un lavoro molto bello fatto da un gruppo americano che dimostra che le vaccinazioni determinano una minore suscettibilità ad altri virus e questo potrebbe essere un altro dei meccanismi che spiegano perché i bambini sono più protetti. C’è poi un altro lavoro che sostiene la necessità di ripensare il modello di vaccinazione come esclusivamente specifica perché si è visto che chi si vaccina è più protetto anche contro altre infezioni e sembrerebbe essere così anche nel caso di SARS-CoV-2. Ovviamente però dobbiamo dimostrarlo con ulteriori studi e qui si aprirebbe una parentesi di politica della ricerca. Bisogna avere fondi a disposizione e facilitare la comprensione di questa malattia pandemica. Le risorse messe finora in campo dall’Italia e dall’Europa non sono state enormi. La vaccinazione antinfluenzale ci aiuterà e a mio avviso quest’anno sarebbe opportuno estenderla, così come sono importanti anche altre vaccinazioni. Mi riferisco a quello contro Haemophilus influenzae, che in realtà facciamo già per default, ma anche all’antipneumococcica che invece è un po’ più ad libitum.

I bambini davanti a questa malattia non sono soggetti fragili e per me che faccio l’infettivologo da quando sono laureato è una novità assoluta. Però le spiegazioni ci sono e sono quelle a cui abbiamo in parte accennato.

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