SCIENZA E RICERCA
Covid-19: Viola "Serve attenzione, ma i focolai sono sotto controllo e Rt va valutato nel tempo"
Ci è voluto un po’ di tempo prima che la loro capacità di ridurre la circolazione del virus SARS-CoV-2 venisse esplicitamente riconosciuta. Da allora, una volta superati i problemi di approvvigionamento, le mascherine sono entrate nella quotidinanità di ogni Paese che cercava di limitare il diffondersi della malattia. E se in molti paesi asiatici, soprattutto quelli che in passato sono stati più colpiti dalla diffusione della SARS, la mascherina fa ormai parte della normale dotazione con cui si fronteggia il rischio epidemico, nei paesi occidentali le resistenze sono state maggiori, soprattutto in quelle aree in cui la minore pressione del virus ha limitato la percezione del pericolo. Restringendo lo sguardo all’Europa i risultati di un recente sondaggio dicono che l’Italia è tra i paesi, insieme a Spagna e Francia, in cui è più alta la percentuale di persone che dichiarano di indossare la mascherina in pubblico, ma dando uno sguardo alle spiagge e alla località di vacanza l’impressione è che adesso ci sia un allentamento nel rigore delle proprie abitudini, soprattutto in quei contesti in cui l'uso dei dispositivi di protezione non è strettamente obbligatorio. Se ci troviamo all’aria aperta ed è possibile mantenere la distanza di sicurezza non c’è nulla da temere. Il problema però subentra quando si creano assembramenti in cui si può essere raggiunti dalle goccioline di droplet o aerosol di chi è nelle vicinanze. E anche una semplice conversazione contribuisce alla diffusione di goccioline di piccole dimensioni, motivo che rende possibile il contagio da parte di persone asintomatiche, quindi anche in assenza di tosse o starnuti. Inutile negare che il caldo non aiuta la voglia di coprirsi naso e bocca con del tessuto, ma la ripresa di alcuni focolai di infezione anche in aree, come ad esempio l'Australia, che precedentemente erano state dichiarate quasi “Covid free” e la possibilità di contagi di rientro da parte di persone che provengono da zone in cui l’epidemia non è ancora sotto controllo, sono elementi che invitano a mantenere alta l’attenzione e ad utilizzare in modo combinato tutte le strategie che aiutano a ridurre il rischio.
Recentemente la rivista Lancet ha realizzato un approfondimento sull’efficacia del distanziamento sociale e dei dispositivi di protezione individuali nel diminuire la possibilità di circolazione del virus SARS-CoV-2. Derek Chu e collaboratori hanno preso in considerazione 172 studi osservazionali realizzati in 16 diversi paesi e sono giunti alla conclusione che il mantenimento di una distanza fisica di almeno un metro e l’uso su larga scala delle mascherine permettono una significativa riduzione dei rischi di contagio.
Al tema anche Science ha dedicato una riflessione in cui si sottolinea come il contenimento di SARS-CoV-2 sia più impegnativo rispetto a SARS e altri virus respiratori perché gli individui infetti possono essere altamente contagiosi già nei giorni precedenti all’esordio dei sintomi. Inoltre, spiega la rivista, sono necessari studi che chiariscano con precisione quanto tempo occorre prima che le concentrazioni virali delle goccioline nell’aria si diluiscano e diventino inattive. E se negli ambienti esterni il sole e le correnti possono accelerare la disattivazione del virus, nei luoghi chiusi le circostanze sono meno favorevoli. La dose minima di SARS-CoV-2 che porta all'infezione non è ancora nota, ma si sa che nei luoghi chiusi le concentrazioni virali possono aumentare nel tempo e per questo motivo nel viewpoint firmato da Kimberly A. Prather, Chia C. Wang e Robert T. Schooley si sottolinea come sia particolarmente importante indossare mascherine in luoghi con condizioni che possono facilitare l'accumulo di elevate concentrazioni di virus, come strutture sanitarie, aeroplani, ristoranti e altri luoghi affollati con ridotta ventilazione.
Intanto in questi giorni in Italia, come in molte altre aree d'Europa, stanno emergendo numerosi focolai che in alcuni casi, ad esempio Leicester, la Catalogna o alcuni distretti di Lisbona hanno anche portato a lockdown mirati. A preoccupare è poi l'area dei Balcani dove i casi di contagio sono in aumento. La ripresa degli spostamenti e dei viaggi non solo all'interno dell'Ue ma, dal primo luglio, anche da 15 Paesi extra Schengen introduce un possibile fattore di rischio e molti dei nuovi focolai rintracciati in Italia riguardano persone di rientro da nazioni in cui la pandemia è in espansione. Uno scenario che sta portando il governo e alcune Regioni, come il Veneto con l'ordinanza emessa il 6 luglio, a ragionare su norme più severe per chi viola la quarantena, ma anche su un piano di tamponi per tutti i passeggeri in arrivo dai Paesi dove il virus è in crescita.
Abbiamo chiesto all'immunologa Antonella Viola, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell'università di Padova e direttrice dell'istituto di ricerca pediatrica Fondazione Città della speranza, un suo parere sui focolai di coronavirus che si stanno registrando in diverse aree d'Italia e che hanno anche portato a far schizzare verso l'alto l'Rt del Veneto dopo che per lungo tempo era rimasto ancorato su valori bassi. La professoressa Viola ricorda che in un momento in cui il numero di contagi è basso è facile che il valore Rt possa variare molto se confrontato da un giorno all'altro. La docente valuta positivamente il modo in cui si sta riuscendo a circoscrivere i nuovi focolai e sottolinea l'importanza delle mascherine in tutti i luoghi chiusi, anche quando si è a distanza di sicurezza.
Intervista all'immunologa Antonella Viola sui focolai di coronavirus rilevati negli ultimi giorni in Italia. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar
"L’interpretazione che deve essere data in questo momento - suggerisce l'immunologa Antonella Viola - è quella di avere attenzione: quindi mantenere un atteggiamento estremamente vigile, senza con questo cedere al panico perché la situazione sembra essere sotto controllo. Questo vuol dire che ci aspettavamo che dei focolai potessero comparire perché il virus non è scomparso, è ancora in circolazione, non si è indebolito e quindi con la ripresa delle attività, la fine del lockdown e adesso anche con la riapertura delle frontiere è molto facile che si possano sviluppare dei piccoli focolai. Devo dire che l’aspetto positivo è che il sistema sanitario sta reagendo molto bene perché finora questi focolai sono stati identificati subito e questo significa che il sistema dei tamponi e di screening funziona. Sono stati tracciati e messi in isolamento i contatti dei casi positivi e sta avvendo quello che avevo spiegato qualche tempo fa e cioè il fatto che dobbiamo muoverci insieme al virus, seguirlo ed essere pronti a intervenire ovunque si verifichi un nuovo contagio". Da un lato dobbiamo quindi mantenere alta l’attenzione perché il virus è in circolazione, non è meno contagioso, non è meno presente o meno aggressivo. Dall’altro canto però - precisa la docente dell'università di Padova - finora la situazione ha retto molto bene grazie ai comportamenti corretti dei cittadini che continuano a usare tutte le misure di sicurezza e grazie a un sistema sanitario nazionale che si è organizzato per prevenire un’ampia diffusione dei contagi".
Abbiamo chiesto ad Antonella Viola anche un parere sul valore Rt che in alcune zone d'Italia, come Lazio, Veneto ed Emilia Romagna, è tornato sopra al valore di 1. "Per quanto riguarda l’Rt non ci spaventiamo - commenta l'immunologa dell'università di Padova - perché non dobbiamo seguire questi numeri in maniera ossessiva: l’Rt valutato su un piccolo territorio, come la regione Veneto o addirittura una città, in un brevissimo lasso di tempo, quindi paragonandolo tra un giorno e l’altro, soprattutto in questo momento in cui abbiamo un numero di contagi così basso, può schizzare molto facilmente, ma questo non significa che la situazione sia fuori controllo. Quindi l’Rt va valutato nel tempo, su periodi almeno di una o due settimane e con tutti gli altri parametri, come il numero di contagi, il numero di decessi e quello delle persone ricoverate. Da solo è un numero che ci dice poco in questo momento".
Il ruolo delle mascherine
La stagione estiva, permettendo di ridurre gli incontri in spazi chiusi, sta aiutando a limitare la circolazione del virus e gli ambienti esterni sono meno favorevoli alla replicazione virale. Distanziamento, igiene delle mani e mascherine restano però alleati fondamentali nel contrasto all'epidemia. La professoressa Viola spiega il motivo che ha reso le mascherine così importanti nelle strategie di contenimento dell'infezione: “se soltanto i droplets, quindi queste particelle più grosse, fossero capaci di trasportare il virus potrebbe forse bastare il mantenimento di due metri di distanza tra le persone perché queste particelle, proprio perché sono più grandi e più pesanti, sono maggiormente sensibili alla forza gravitazionale, quindi cadono più facilmente rispetto a quelle più piccole e per questo motivo coprono una distanza minore rispetto all’aerosol e rimangono in sospensione per un tempo molto più breve". Invece "sembra chiaro - prosegue Antonella Viola - che anche le particelle molto più piccole che caratterizzano l’aerosol siano in grado di diffondere il virus. In un ambiente chiuso in cui le persone parlano si viene a generare un aerosol di particelle che sono in grado di rimanere davvero per molte ore in sospensione. Inoltre viaggiano molto di più quindi se c’è una corrente di aria, come il famoso condizionatore, le particelle possono essere trasportate per distanze lunghe. In questo contesto il distanziamento da solo non è sufficiente e serve necessariamente anche indossare le mascherine perché limitano fortemente il rilascio di droplet e aerosol. Vanno benissimo anche quelle pluristratificate fatte in casa e sono un’arma importante perché nei luoghi chiusi impediscono di creare questi ambienti ricchi di particelle virali che possono contagiare le altre persone. In tutti i luoghi chiusi vanno quindi utilizzate necessariamente, a prescindere dalla distanza perché l’aerosol può viaggiare per oltre un metro. All’aperto il discorso è diverso perché ci sono i raggi ultravioletti che inattivano il virus, il ruolo della temperatura e dell’umidità, c’è una diluizione data dall’ambiente e quindi in questo caso la mascherina è necessaria laddove non sia possibile mantenere una certa distanza di almeno uno o due metri dalle altre persone. Quando c’è un assembramento - conclude Viola - anche all’aperto usiamo la mascherina e nei luoghi chiusi usiamola sempre".