SCIENZA E RICERCA

Giornalismo scientifico: la necessità dell’approfondimento

Tamponi, R con zero, virus, virologia: da ormai nove mesi sentiamo quotidianamente parlare di queste cose. La scienza ogni giorno viene divulgata non più solo da testate giornalistiche specialistiche.

La divulgazione però è un lavoro complesso, che necessita approfondimento e, in un periodo in cui l’utilizzo del clickbait e dei titoli ad effetto è ancora una modalità che va per la maggiore privilegiando un’ottica che premia spesso l’analisi quantitativa a quella qualitativa, è utile cercare di fare una panoramica della situazione del giornalismo scientifico in Italia.

Fabio Turone, presidente di Science Writers in Italy, ha organizzato l’European Conference of Science Journalism di Trieste. Con lui abbiamo fatto una lunga chiacchierata in cui abbiamo affrontato lo stato di salute del giornalismo scientifico italiano e soprattutto l’importanza dell’indipendenza del giornale e del giornalista stesso.

Fabio Turone tu hai una panoramica molto chiara della situazione attuale del giornalismo scientifico, italiano e non. Partiamo dall’Italia e cerchiamo di capire qual è lo stato di salute del giornalismo scientifico. Con la pandemia il giornalismo scientifico è entrato prepotentemente ed inevitabilmente in tutti i giornali. Fare un’analisi in poco tempo non è semplice e si rischia di cadere nell’errore di generalizzare, ma ti chiedo: come sta il giornalismo scientifico italiano?

E’ una bella domanda che un tempo un collega anziano della televisione avrebbe detto “delle cento pistole”. In generale ho l'impressione che lo stato dell'informazione in tema di scienza, e in particolare di controversie scientifiche, sia tra le più penalizzate dalla crisi del giornalismo in generale. Questo perché negli ultimi vent'anni grossomodo in Italia c'è stato un progressivo impoverimento delle competenze interne alle redazioni dei giornali, quotidiani e settimanali, e un progressivo affidamento su freelance che contribuivano dall'esterno. Questo di per sé non sarebbe negativo, se non fosse che anche i compensi per i freelance hanno cominciato a scendere. Quindi in un certo senso anche i quotidiani, settimanali o mensili che avevano qualcuno al loro interno con interesse e passione e competenze per le tematiche della scienza e della medicina hanno finito per ridurre i propri ranghi, sacrificando tra i primi quelli che erano un po' considerati come le Cenerentole della redazione.  

Questo ha avuto anche un effetto sulla relazione tra chi stava fuori e chi stava dentro il giornale, cioè dentro la redazione, e doveva valutare se accettare o no una proposta e con che taglia accettare una proposta. Con il Covid-19 è venuta fuori prepotentemente la domanda: Cosa dobbiamo fare? Quanto dobbiamo essere preoccupati? Stiamo facendo le cose giuste? Questo in un certo senso ha fatto emergere come fossero diverse le domande che si pone il cittadino qualunque da quelle che si pone il giornalista competente. 

Quando si parla di giornalismo in generale l’indipendenza del giornale e del giornalista è un fattore fondamentale. Di editori puri però in Italia ce ne sono ben pochi: questo influisce anche nel giornalismo scientifico?

Sicuramente si, e influisce in molti modi. Paradossalmente in Italia viviamo in una situazione in cui ci sono delle testate che hanno tutta l'aria di essere indipendenti ma che, chi c'ha avuto a che fare dall'interno, sa che hanno quantomeno delle ampie aree in cui l'indipendenza è solo apparente. [...] Io stesso con i miei colleghi all'estero, in Francia per esempio, ma anche in Svizzera o in Olanda, ho avuto la discussione del chi ha diritto di definirsi giornalista indipendente. In alcuni paesi esistono e permangono quelle che noi chiamiamo firewall, cioè separazioni tra gli interessi di chi ci mette i soldi, cioè l'editore, e il contenuto della rivista o del giornale. Anche qui però con la crisi c’è stato quasi un totale annullamento del modello classico, cioè il modello in cui io mi finanzio con l’edicola, con chi paga il giornale. Questo ormai non c’è quasi più e quindi tutti, compresi i grandi quotidiani americani come il New York Times o il Washington Post, stanno da tempo esplorando fonti alternative di introito.

Paradossalmente nella situazione italiana il problema non è neanche strettamente l'indipendenza, nel senso che chi lavora per un grande quotidiano riceve la velina e deve scrivere una certa cosa, ma che di certe cose non si può proprio parlare perché sono argomenti che non finiscono sui giornali. Questo si mischia con la scarsa conoscenza delle cose da parte della redazione interna che non si accorge che sta venendo meno a un dovere del giornale, che è quello di cercare di far chiarezza. Quindi la perdita di indipendenza nasce anche dalla perdita di capacità autonoma di cercare cose non già pubblicate. Uno dei primi limiti del giornalismo italiano è quello di avere attinto a piene mani a quello che gli inglesi bollano “il giornalino da comunicato stampa”. Anni fa ho visto uno studio in cui si vedeva che grande parte dei grandi quotidiani era composto da comunicati provenienti da un'agenzia.

Il giornale che ci sta ospitando in questo momento è un progetto innovativo e lungimirante. Un ente accademico come l’università di Padova ha creduto e crede nel giornalismo scientifico, tanto da essere l’editore de Il Bo Live. Come si inserisce questa storia all’interno del panorama nazionale? Può essere questo il futuro di un giornalismo che economicamente non se la sta passando per nulla bene?

Sicuramente c’è bisogno di esperienze come questa de Il Bo Live, di cui abbiamo parlato in una conferenza a Trieste. [...] Negli Stati Uniti esiste da tempo il modello di giornale che è stato finanziato da un ente accademico con un firewall per cui c'è una parte della rivista dedicata alle informazioni di comunicazione interna e promozione delle attività dell’università, ma c'è anche una ricerca del giornalismo indipendente. In un certo senso torniamo a ciò che dicevamo prima. La mia sensazione è che negli USA abbiano avuto un ruolo fondamentale anche perché lì c’è molta permeabilità: dall’accademia si passa a lavorare nei giornali, dai giornali alla pubblica amministrazione, alla comunicazione. La logica è anche riconoscere che l’indipendenza nasce dal contesto in cui uno opera.

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