SOCIETÀ

La guerra e quelle convenzioni internazionali calpestate

A furia di ripeterli, perfino i numeri più drammatici e angosciosi si sterilizzano: oggi, dal 7 ottobre, siamo a 10.000 morti, moltissimi dei quali bambini, con i raid incessanti, le bombe, le distruzioni sistematiche, le violenze atroci, fisiche e psicologiche, che nemmeno vengono alla luce, o solo parzialmente. E le privazioni (del cibo, dell’acqua, del sonno e della dignità), gli stenti di chi nulla c’entra, dei civili che non hanno più un fazzoletto di terra o un frammento di tetto dove sentirsi al sicuro. E l’insopportabile disprezzo reciproco, con l’argine umanitario spazzato via come fosse un inutile orpello, calpestato dal fanatismo e dalla violenza cieca. Domani il contatore potrebbe segnare ventimila vittime, e poi centomila o magari di più, ma qualsiasi numero non basterà a fermare la mano di chi si propone di sterminare il “nemico”, in un crescendo di furia collettiva che non ha occhi né ragione. Ma garantire che gli ospedali possano funzionare senza minacce, se il diritto umanitario conta ancora qualcosa, non è un optional. L’erogazione di servizi “critici” come l’assistenza sanitaria, l’acqua e l’elettricità non è mai “a disposizione” delle parti in guerra. Perché c’è un limite, fissato appunto dalle norme internazionali. Che prevalgono su qualsiasi “ragione” di parte. Quando tutto questo sarà finito, in molti saranno chiamati a rispondere nei tribunali internazionali per le atrocità commesse, autorizzate, incoraggiate o non arginate. Anche se sarà sempre troppo tardi.

La via del diritto: le Convenzioni di Ginevra

Perché dal passato s’impara, ma più spesso si dimentica. Il primo atto giuridico universale nato dall’esigenza di tutelare e proteggere, in caso di guerra, i civili, i malati, i feriti e i prigionieri, sotto l’emblema della Croce Rossa Internazionale, risale addirittura al 1864, quando venne firmata la prima Convenzione di Ginevra. Nel testo si rimarcava l’obbligo di estendere senza alcuna discriminazione le cure a tutti i militari feriti e malati, oltre al rispetto del personale medico. Un’esigenza che venne poi estesa anche agli scenari marittimi (1906), al miglioramento della sorte dei feriti e malati “negli eserciti di campagna” e sul trattamento dei prigionieri di guerra (1929). Tutte norme che vennero superate e inglobate nelle quattro convenzioni di Ginevra che furono firmate il 12 agosto del 1949, all’indomani della catastrofe della seconda guerra mondiale. Regole successivamente integrate da tre protocolli aggiuntivi, nel 1977 e nel 2005 (qui nel dettaglio). Il fulcro del Diritto Umanitario Internazionale (con le maiuscole) è tutto qui. Come scrive il Dipartimento federale svizzero per gli affari esteri: «Tali regole rispecchiano l’equilibrio che va perseguito tra il principio della necessità militare e quelli umanitari, che vietano ai belligeranti di infliggere sofferenze, ferite o distruzione non realmente necessarie per il raggiungimento dei legittimi obiettivi militari. Le Convenzioni di Ginevra devono essere applicate e rispettate da tutte le parti coinvolte in un conflitto armato, indipendentemente dalle motivazioni che le hanno spinte a entrare in guerra. Si applicano anche ai conflitti armati non internazionali, per esempio alle ostilità tra uno Stato e un gruppo armato o tra gruppi armati».

Era stato scritto. Era stato previsto. Eppure… La guerra tra Israele e Hamas ricade esattamente in questa categoria: conflitto armato tra uno Stato e un gruppo armato. E questi ultimi, come Hamas nella fattispecie, o come la Jihad islamica, sono (sarebbero) vincolati a rispettare queste norme anche se non hanno l’autorità per ratificare formalmente i trattati. Norme giuridiche che, è bene ricordarlo, non si fondano mai sul principio di reciprocità. Vale a dire che non c’è alcun atto compiuto “dall’altra parte” (pur drammatico, spietato o vile) che possa giustificare, o peggio autorizzare, la violazione di quelle regole. Per fare un solo esempio: prendere di mira la popolazione civile è sempre e comunque un crimine internazionale.

Ora provate a leggere le norme del Diritto Umanitario Internazionale tenendo a mente cosa sta accadendo tra Gaza e Israele, quelle cronache dal fronte, senza dimenticare quelle immagini, la testimonianza della portata di quelle sofferenze. L’organizzazione umanitaria Human Right Watch le riassume così: «La regola fondamentale del diritto internazionale umanitario nei conflitti è che tutte le parti devono distinguere, in ogni momento, tra combattenti e civili. I civili e gli obiettivi civili non devono mai essere oggetto di attacchi. Le parti possono prendere di mira solo i combattenti e gli obiettivi militari. Non è sufficiente affermare che i civili non sono l’obiettivo dell'attacco. Il Diritto Internazionale Umanitario richiede che le parti in conflitto prendano tutte le precauzioni possibili per ridurre al minimo i danni ai civili e agli obiettivi civili. Se un attacco non discrimina tra combattenti e civili o ci si aspetta che causi danni sproporzionati alla popolazione civile rispetto al guadagno militare, è altrettanto vietato. Ai sensi del diritto internazionale umanitario, chiunque venga arrestato, come i prigionieri di guerra, deve essere trattato umanamente. Prendere ostaggi e usare le persone come “scudi umani” è proibito. Nel caso di un attacco che possa colpire la popolazione civile, le leggi di guerra impongono alle parti di dare un “preavviso efficace”, a meno che la situazione non lo permetta. Ciò che è efficace dipende dalle circostanze, e se i civili non sono in grado di partire per un'area più sicura, l’avvertimento non sarà efficace. Tuttavia, dare l’avvertimento non assolve le parti dall'obbligo di proteggere i civili. I civili che non evacuano a seguito di un allarme continuano a essere protetti. Non devono comunque essere presi di mira e gli aggressori devono adottare tutte le misure possibili per proteggerli».

La voragine dei crimini di guerra

Poi ci sono i crimini di guerra. Che, sempre nel solco tracciato dalle Convenzioni di Ginevra, si riferiscono a “gravi violazioni delle leggi di guerra commesse da individui con intenti criminali, cioè deliberatamente o sconsideratamente”. Questi crimini includono l’uccisione volontaria di civili, la tortura, lo stupro, la presa di ostaggi, il trattamento iniquo dei prigionieri di guerra, la distruzione e l’appropriazione ingiustificata di proprietà. E gli attacchi intenzionali contro la popolazione o contro obiettivi civili, compreso il personale (ma anche installazioni, materiali o veicoli) in missione di assistenza umanitaria o di mantenimento della pace. Secondo le Nazioni Unite ci sono prove evidenti che le leggi umanitarie internazionali potrebbero essere state violate da entrambe le parti in conflitto. Più esplicita Amnesty International, che parla ufficialmente di “prove schiaccianti” nei confronti di Israele di crimini di guerra commessi soltanto nella prima settimana del conflitto, portando a testimonianza l’analisi di immagini satellitari. Scriveva il 20 ottobre scorso Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International: «Nel loro intento dichiarato di usare tutti i mezzi per distruggere Hamas, le forze israeliane hanno mostrato uno scioccante disprezzo per le vite dei civili. Hanno polverizzato una strada dopo l’altra di edifici residenziali uccidendo civili su larga scala e distruggendo infrastrutture essenziali, mentre Gaza sta rapidamente esaurendo l'acqua, le medicine, il carburante e l’elettricità. Le dichiarazioni di testimoni oculari e sopravvissuti hanno evidenziato, più e più volte, come gli attacchi israeliani abbiano decimato le famiglie palestinesi, causando una tale distruzione che i parenti sopravvissuti hanno solo macerie per ricordare i loro cari». Callamard porta sul banco degli accusati, com’è evidente, anche Hamas: «In Israele, più di 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili, sono state uccise e circa 3.300 sono rimaste ferite (la stima è del Ministero della Salute israeliano) dopo che gruppi armati della Striscia di Gaza hanno lanciato un attacco senza precedenti contro Israele il 7 ottobre. Hanno sparato razzi in modo indiscriminato e inviato combattenti nel sud di Israele che hanno commesso crimini di guerra, tra cui l’uccisione deliberata di civili e la presa di centinaia di ostaggi. Non ci può essere alcuna giustificazione per l’uccisione deliberata di civili in nessuna circostanza», ha ribadito la segretaria generale di Amnesty, richiamando appunto uno dei pilastri del Diritto Umanitario Internazionale. Se ne occuperà, se le verrà consentito, la Corte Penale Internazionale.

Ma dove comincia il torto e dove finisce la ragione? L’occupazione dei Territori della Cisgiordania resta uno degli argomenti più divisivi e controversi, anche se la comunità internazionale non ha mai avuto dubbi nel condannarla, mentre Israele ha deliberatamente e ripetutamente ignorato le risoluzioni delle Nazioni Unite , con alcune imbarazzanti complicità, Stati Uniti in primis, che (per tornaconto, per miopia) non hanno mai concretamente fatto pressioni sull’alleato affinché rispettasse il diritto internazionale. Che recita così, prendendo ancora una volta in prestito quanto scritto da Human Rights Watch: «Questo corpo di leggi governa anche l’occupazione quando uno stato ha il controllo effettivo, senza consenso, di un territorio su cui non ha alcun titolo sovrano, come l’occupazione israeliana del territorio palestinese. Indipendentemente dal numero di rivendicazioni che fa sull’annessione, in base al diritto internazionale umanitario lo stato occupante non acquisisce la sovranità sul territorio occupato. La potenza occupante deve garantire un trattamento umano alla popolazione e provvedere ai suoi bisogni primari, compresi il cibo e le cure mediche». Un breve riepilogo sull’argomento, in due parole: Israele occupa la Cisgiordania dal 1967 e l’Onu considera ancora, e da allora, quel pezzo di terra come territorio occupato. Israele rivendica inoltre l’intera Gerusalemme come sua capitale, mentre i palestinesi rivendicano Gerusalemme Est come capitale di un futuro stato palestinese. Per dire del rispetto delle regole: nel 1980 il parlamento israeliano approvò una delle sue “leggi fondamentali” (la nazione non ha una costituzione scritta) che proclamava unilateralmente “Gerusalemme, unita e indivisa”. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, con la risoluzione 478 del 20 agosto 1980 (gli Stati Uniti si astennero), condannava “con la massima fermezza” la promulgazione della legge definendola “nulla e priva di validità, una violazione del diritto internazionale e un serio ostacolo al raggiungimento della pace in Medio Oriente” (qui un elenco di tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite contro l’occupazione arbitraria di Gerusalemme Est).

Un nervo scoperto: il fallimento delle diplomazie

L’ultima risoluzione dell’Onu sul conflitto Israele-Hamas risale al 27 ottobre scorso: si chiede una “tregua umanitaria immediata, duratura e sostenuta” a Gaza. A favore della risoluzione, proposta dalla Giordania, 121 voti, ma 14 sono stati i contrari (tra i quali Stati Uniti, Austria, Croazia, Repubblica Ceca e Ungheria) e 44 astensioni (compresa l’Italia, la Germania, il Regno Unito e il Canada). L’emendamento proposto proprio dal Canada, che chiedeva di “respingere e condannare inequivocabilmente” gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre, non è riuscito a ottenere i due terzi dei voti necessari. L’ambasciatore pakistano Munir Akram ha spiegato perché l’emendamento canadese non è stato approvato: «Se il Canada fosse stato equo nel suo emendamento, avrebbe accettato di nominare sia Israele, sia Hamas. Non nominare nessuna delle due parti sarebbe stata la scelta migliore. Ma se si vuole essere giusti ed equi, anche Israele dev’essere nominata. Sappiamo tutti chi ha iniziato tutto questo. Sono 50 anni di occupazione israeliana e di uccisione impunite di palestinesi. L’occupazione israeliana è il peccato originale, non quello che è successo il 7 ottobre», ha concluso l’ambasciatore del Pakistan.

L’argomento resta un nervo scoperto della diplomazia internazionale. Che ha sostanzialmente fallito nel non riuscire a trovare negli anni, e a imporre, una soluzione equa e duratura. L’illusione dell’inazione ha restituito fiato ed energia agli opposti estremismi sul campo, che non possono trovare alcuna giustificazione, né politica, tantomeno religiosa, di fronte agli orrori che sono riusciti a provocare. La sintesi è nelle parole diffuse dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, un’organizzazione che non ha bandiere, se non quella della solidarietà umana: «Nulla può giustificare gli orribili attacchi subiti da Israele», scrive il CICR. «I nostri cuori vanno alle persone che hanno perso membri della famiglia o sono preoccupate per i loro cari presi in ostaggio. Ribadiamo il nostro appello per il loro rilascio immediato e siamo pronti a condurre visite umanitarie. Ma questi attacchi non possono a loro volta giustificare la distruzione illimitata di Gaza. Le parti non devono trascurare i loro obblighi legali per quanto riguarda i metodi e i mezzi utilizzati per condurre la guerra».

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