Il dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Padova (dBC), insieme al dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche dell’Università di Modena e Reggio Emilia, ha creato la prima mappa isotopica (o isoscape) della Sardegna meridionale. Melania Gigante, alla guida dell’équipe di Bioarcheologia Umana del dBC, con Jacopo Bonetto e Alessandro Mazzariol hanno analizzato campioni archeologici e moderni provenienti dall’area interessata e dalla penisola di Nora per creare la prima valutazione geografica degli isotopi 87 e 86 dello stronzio.
Lo studio, intitolato “Machine learning-based Sr isoscape of southern Sardinia: a tool for bio-geographic studies at the Phoenician-Punic site of Nora” e pubblicato sulla rivista scientifica PLOS ONE, è parte di un progetto di ricerca più ampio che ha tra i suoi obiettivi ricostruire la mobilità geografica e il popolamento nella Sardegna di epoca fenicia e punica, partendo da uno dei siti-chiave dell’archeologia della Sardegna: Nora. Abbiamo approfondito la ricerca con Melania Gigante, la prima autrice.
Professoressa, lei è bioarcheologa: cosa significa?
Formarsi in bioarcheologia in Italia è molto complesso perché non esiste un corso di laurea specifico. Il dBC di Padova mostra la sua marcia in più, offrendo un corso di Bioarcheologia agli studenti in scienze archeologiche e un corso di Preistoria e Antropologia agli iscritti in Archeologia. Propone un percorso interdisciplinare ai beni archeologici e storico-artistici che prevede anche lo studio di discipline più strettamente scientifiche, ma che trovano un’ampia applicazione nello studio del nostro antico patrimonio.
Io “nasco” in realtà come archeologa, mi sono laureata in Preistoria e Protostoria all’Università di Napoli “L’Orientale” con una tesi in antropologia fisica, quindi cominciando fin da subito a lavorare sul materiale scheletrico e dentario da contesti archeologici – che è quello che fa chi si occupa di bioarcheologia umana. Poi un dottorato di ricerca all’Università di Bologna in Preistoria e Antropologia Fisica, in seguito ho vinto per tre anni degli assegni di ricerca post-doc a Padova, un Seal of Excellence Marie Skłodowska-Curie Actions e una Marie Skłodowska-Curie Individual Fellowship con il progetto di ricerca che sto conducendo in dipartimento come ricercatrice.
La difficoltà principale del bioarcheologo è il costante approfondimento in ambiti disciplinari diversi, fare da “ponte” tra archeologia, biologia scheletrica, bio-geochimica, istologia, sebbene poi ogni bioarcheologo debba specializzarsi in un preciso campo di applicazione. Non è facile inserirsi perché non esiste un riconoscimento ufficiale di queste figure ibride: l’etichetta di “Antropologa Fisica”, a cui appartengo, mi sta stretta perché non riconosce quella sensibilità al dato archeologico che mi permette di dialogare con chi fa biologia in senso stretto e con chi invece è archeologo puro.
La necropoli di Nora
Perché la Sardegna e perché Nora?
Il nostro dipartimento è presente a Nora da più di 20 anni. Gli scavi sono dislocati in diverse aree dell’insediamento; in particolare, da circa un decennio ci siamo concentrati sulla necropoli che per cronologia si colloca tra l’epoca fenicia e l’occupazione punica.
Il nostro scopo è ricostruire il profilo biologico degli antichi abitanti norensi, definendo le osteobiografie di chi abitava la città fenicia e punica. Come? Interrogando i resti scheletrici e dentari per ottenere informazioni di base come l’età alla morte e il sesso, ma anche per ricostruire l’adattamento bioculturale della popolazione, le strategie alimentari, il benessere e la crescita infantile, la mobilità geografica e testare come questi parametri si rapportino a una eventuale differenziazione socio-economica e culturale.
Dal punto di vista storico-archeologico, Nora è un sito estremamente importante per il Mediterraneo antico perché ci permette di ricostruire i flussi di mobilità legati alla diaspora fenicia e al fenomeno di colonizzazione del Mediterraneo occidentale e poi alla conquista punica che da Cartagine si muove verso tutta la penisola iberica, ma anche verso la Sardegna. Nora è il primo emporio dei Fenici in Sardegna: un luogo che ha visto un afflusso di “forestieri”, veicolo di culture diverse ma anche di un patrimonio biologico diverso.
Fondamentale allora è lo studio sulla mobilità a Nora, uno dei punti di forza del progetto bioarcheologico. Nessuno finora aveva mai studiato isotopicamente provenienza e mobilità geografica. Al contrario, dal punto di vista genetico abbiamo molte informazioni sulle antiche e contemporanee popolazioni sarde: la Sardegna è un osservatorio privilegiato sotto il profilo biologico perché le ricerche sul DNA delle popolazioni che l’hanno abitata e che la abitano ci fanno capire come il corredo genetico sardo sia un unicum rispetto al melting pot genetico dell’Europa.
Cosa sono gli isotopi?
La definizione vuole che gli isotopi siano un atomo di uno stesso elemento con uguale numero atomico ma diversa massa atomica. In natura, ad esempio, lo stronzio presenta quattro diversi isotopi, ma soltanto due sono di nostro interesse: l’isotopo 87 e l’isotopo 86. Lo stronzio è presente nella crosta terrestre e, in particolare, le concentrazioni dell’isotopo 87 e 86 variano in base alle caratteristiche geologiche di una macroarea, quindi dal tipo e dall’età della roccia. Rocce “giovani” hanno dei valori isotopici diversi da quelle formate più indietro nel tempo, quindi ecosistemi caratterizzati da profili biologici diversi restituiscono valori isotopici di stronzio distinti.
Lo stronzio, però, non è presente soltanto nel suolo e nel sottosuolo: in forma solubilizzata viene assorbito dalle piante, dagli animali che se ne nutrono e infine da noi che mangiamo piante e animali di una determinata area. Analizzare questi isotopi permette di capire e stimare la provenienza di un individuo antico perché sono presenti in ossa e di denti.
Questo processo rende perfettamente l’idea del ciclo della vita.
Esatto, è proprio così! Questi isotopi entrano di fatto nella catena trofica locale e si trasferiscono dall’ambiente alle piante fino agli animali, compreso l’uomo. Siccome hanno delle caratteristiche molto simili al calcio, che è naturalmente presente nelle ossa e nei denti, si sostituiscono ad esso e quindi lo si trova in concentrazione e rapporti variabili all’interno del nostro organismo.
Quindi con questo studio avete creato la base per le ricerche future, giusto?
È proprio un punto di partenza: avevamo bisogno di caratterizzare la firma isotopica di Nora. Dato che dal punto di vista archeologico noi immaginiamo che la penisola dove ora sorge Nora – insieme all’entroterra e alle zone limitrofe al sito – fosse interessata da una mobilità intrainsulare e interregionale, ci siamo spinti fino a circa 65 km dalla penisola norense per mappare isotopicamente il rapporto dello stronzio 87 sullo stronzio 86 all’interno di questa macroregione.
Ciò ha prodotto due risultati importanti: il primo è che nessuno aveva mai mappato isotopicamente la Sardegna e quindi abbiamo arricchito l’attuale libreria isotopica per le regioni italiane. Il secondo è che abbiamo costituito le basi per il nostro studio futuro, perché ora potremo comparare i valori isotopici locali ricavati dalle nostre mappe con quelli degli individui sepolti a Nora: capiremo se c’è stata una mobilità da e verso il sito e, con l’applicazione di machine learning, capiremo anche quali potrebbero essere le zone di provenienza degli individui che risultano non essere nati a Nora.
Come eseguite la ricerca «sul campo»?
Abbiamo selezionato dei campioni ambientali “alternativi” per determinare il livello di stronzio disponibile dal punto di vista ambientale biologico analizzando diverse zone della Sardegna meridionale e campionando acqua potabile (sia di sorgente che piovana), erba spontanea (delle zone selvatiche boschive), ma anche foglie di alberi, animali archeologici e animali moderni trovati scheletrizzati durante le ricognizioni.
Ovviamente è impossibile ricostruire perfettamente un ambiente “archeologico”: non abbiamo acqua o erba antica, ma la fauna locale che verosimilmente è nata e ha pascolato nelle zone limitrofe alla penisola norense. Incrociando tutti questi dati abbiamo visto che combaciavano con le diverse geologie delle zone analizzate. Siamo riusciti a ricostruire il movimento della fauna antica e moderna confermando il luogo di ritrovamento: dal punto di vista isotopico, quella moderna aveva valori isotopici che corrispondevano a quella che era stata la vera area di ritrovamento dei campioni stessi.
Possiamo dire che la bioarcheologia apre un mondo su tanti aspetti ancora sconosciuti di una civiltà antica?
È sicuramente di sostegno all’archeologia. Quando si parla di mobilità o di interazione bioculturale, l’archeologia lo fa con le evidenze che ha a disposizione. Prendiamo la circolazione di beni: se un sito presenta materiali esotici che per composizione delle materie prime, fogge, tipi, stili e tecnologie non risultano compatibili con la cultura locale, si comincia a ipotizzare che ci siano stati dei contatti con gente forestiera, anche se non sempre la mobilità e la circolazione di tecnologia, materie prime o beni corrisponde alla circolazione di persone e viceversa.
Qui entra in gioco la bioarcheologia per verificare queste ipotesi. Si interroga l’archivio biologico delle popolazioni antiche (ossa e denti): la mobilità si rintraccia prevalentemente attraverso le analisi del DNA e biogeochimiche. Noi ci siamo soffermati su quest’ultime perché danno delle informazioni che sono diverse ma complementari al DNA. Il DNA parla di ascendenza senza dare una dimensione temporale, mentre le analisi biogeochimiche – gli isotopi – riguardano la storia individuale del soggetto analizzato, mostrando se si è spostato o no dal luogo d’origine. Come in un puzzle, ogni pezzo è utile per ottenere il quadro finale.
Il prossimo step della ricerca?
Comparare il valore individuale isotopico degli individui che abbiamo analizzato con la mappa isotopica (o isoscape) che è stata pubblicata per capire effettivamente in quali possibili aree di provenienza possiamo collocarli, se all’interno della stessa regione o se in una dimensione extra insulare. Lo faremo confrontando il nostro modello isotopico con altri modelli disponibili in letteratura per le regioni mediterranee, con fonti scritte, ma anche con testimonianze archeologiche che indicano Nora come potenziale luogo di origine o che testimoniano l’interazione tra i suoi abitanti e le altre popolazioni del Mediterraneo.