MONDO SALUTE

In Salute. Autolesionismo: cogliere i segnali del disturbo mentale per interventi precoci

Uno solo, ben fatto. La parola più importante è lasciata all’intuizione, ma il sottotitolo fuga ogni dubbio: Leggere tra le righe l’autolesionismo. Pubblicato in questi mesi, il libro racconta le storie (vere) di ragazzi e ragazze che soffrono di questo disturbo, affiancando alla narrazione l’immagine e la spiegazione del fatto clinico. Il volume, agile e di taglio divulgativo, è frutto della collaborazione tra il neuropsichiatra Stefano Vicari, la casa editrice Erickson e la Scuola Holden, ed è il primo di una serie dedicata ai disturbi psicologici dei più giovani, in sensibile aumento negli ultimi anni. Di autolesionismo parliamo proprio con l’autore, professore di neuropsichiatria infantile all’università cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’unità operativa complessa di Neuropsichiatria infantile dell’Irccs Ospedale pediatrico bambino Gesù di Roma.

“I disturbi mentali – esordisce Vicari – iniziano per lo più in adolescenza o addirittura nell'infanzia, mi riferisco per esempio all'ansia, alla depressione, al disturbo bipolare, alla schizofrenia, dunque a quelle patologie che siamo abituati a identificare con l'adulto”. In realtà le forme presenti nell’adulto sono le forme croniche. “Per questo abbiamo una grande necessità di intercettare tali disturbi quando compaiono, perché prima li individuiamo, più precoci possono essere le cure e maggiori le probabilità di guarigione”.

Lo stigma verso le patologie mentali però è ancora molto forte, e spesso si preferisce guardare dall’altra parte. Fingere che il problema non esista. “C’è dunque bisogno di raccontare al grande pubblico cos’è la salute mentale, come si costruisce; bisogna spiegare cosa sono i disturbi mentali, proprio perché sia più facile gestirli”. E, innanzitutto, riconoscerli.

Come si manifesta l’autolesionismo 

L’autolesionismo, che si manifesta principalmente nei ragazzi e nelle ragazze (ma talora anche negli adulti), indica una serie di comportamenti volti a infliggere volontariamente un danno al proprio corpo attraverso tagli, graffi, bruciature o morsi. Tali comportamenti possono essere di tipo suicidario o non suicidario: nel primo caso l’adolescente agisce con l’intenzione di procurarsi la morte, nel secondo caso invece non c’è questa volontà. 

Le ragioni per cui i più giovani manifestano condotte di questo tipo possono essere diverse. L’autolesionismo può servire all’adolescente per gestire emozioni come ansia e angoscia che lo sovrastano; può essere dettato da curiosità o legato a comportamenti di imitazione di altri adolescenti. Come nel caso di Federica, una delle protagoniste di Uno solo, ben fatto

Vicari sottolinea che per lo più dietro a comportamenti autolesionistici c'è sempre un disturbo dell'umore, nell'80-85% dei casi una depressione. “L’autolesionismo è un fenomeno molto diffuso: almeno il 30-40% dei ragazzi ci racconta di procurarsi lesioni con una certa regolarità. Inoltre, è il primo fattore di rischio per il suicidio”. E precisa: “Non tutti coloro che hanno comportamenti autolesivi tentano il suicidio, ma gran parte di chi tenta il suicidio ha alle spalle una storia ripetuta, protratta nel tempo di autolesionismo. Quindi abbiamo il dovere di intercettare questi ragazzi e di cercare di aiutarli”. 

Intervista completa a Stefano Vicari, direttore della Neuropsichiatria infantile dell’Irccs Ospedale pediatrico bambino Gesù di Roma. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Autolesionismo (e non solo): i possibili fattori di rischio 

Esistono specifici fattori di rischio alla base dell’autolesionismo, che valgono tuttavia in generale per tutte le patologie mentali. “La salute mentale, così come la salute fisica, ha sicuramente una base biologica, genetica: avere genitori con un disturbo mentale aumenta notevolmente la probabilità che noi stessi a nostra volta possiamo soffrire di una patologia di questo tipo”. Ma a influire sono poi anche fattori ambientali che cambiano da individuo a individuo. 

“Uno dei fattori di rischio più importanti per i disturbi mentali nel bambino è l’assunzione di sostanze da parte della madre in gravidanza. Almeno il 5% delle gravidanze in Italia viene condotto continuando una tossicodipendenza. Per sostanze si intende anche alcol e fumo. Altri fattori di rischio sono la malnutrizione, quindi la povertà, la scarsa stimolazione cognitiva. Direi tuttavia che il principale fattore di rischio nei ragazzi sono le dipendenze, da sostanze cannabinoidi in particolare”. 

Vicari propone alcune riflessioni anche sulle nuove dipendenze, dalla rete e device di vario tipo come cellulari e tablet. “Si stima che oggi i bambini occupino fino a sei ore al giorno con il telefonino che non è pericoloso di per sé soltanto: si deve considerare che il tempo trascorso con questi strumenti viene tolto all'attività fisica, all'attività creativa, alla lettura, al disegno, alle relazioni, agli altri bambini, e queste privazioni sono fattori di rischio importanti per i disturbi mentali. Le dipendenze sono un elemento a cui genitori dovrebbero prestare molta attenzione. Bisognerebbe educare i bambini a un uso responsabile dei device, porre dei limiti di tempo. Molti tra i più giovani ormai non dormono la notte per rimanere connessi, e la deprivazione del sonno è un fattore di rischio per i disturbi mentali”.

A quali segnali prestare attenzione?

È importante guardare alle abitudini di ragazzi e ragazze innanzitutto, perché lì si potrebbero cogliere i segnali di un possibile malessere. “Sono adolescenti (ragazze soprattutto) che tendono a nascondere le cicatrici del loro comportamento. Indossano maglie a maniche lunghe anche nei periodi estivi, non si spogliano in spiaggia. Se prima avevano un buon rendimento scolastico, praticavano sport, avevano molte amicizie, dormivano e mangiavano con regolarità, cominciano poi a diventare sempre più irritabili e aggressivi, tendono a uscire meno di casa, si chiudono rispetto alle amicizie esterne. Rinunciano a fare attività fisica, il rendimento scolastico peggiora, si addormentano e si svegliano sempre più tardi, tanto da non riuscire più a frequentare la scuola, mangiano in maniera disordinata. Se questi cambiamenti diventano progressivamente più importanti, ma soprattutto stabili nel tempo, se durano per settimane, per mesi, io suggerirei ai genitori di non sottovalutare questa condizione e di chiedere aiuto a uno psicologo, a un neuropsichiatra infantile, a operatori della salute mentale. Chiedere aiuto non deve essere vista come una sconfitta o come un segno di debolezza, ma come il sostegno più importante che possiamo dare ai nostri figli”. 

Una volta individuato il problema, la terapia viene scelta poi in base alle cause e alla gravità del disturbo. L’autolesionismo che nasconde un senso di emulazione o di imitazione rispetto al gruppo, richiede un intervento diverso rispetto a quello che invece cela una depressione, magari molto grave, o un'ideazione suicidaria. Vicari spiega che, a seconda dei casi, possono essere proposti interventi di tipo psicoeducazionali ai genitori, per spiegare come gestire determinate situazioni con il figlio o la figlia; nelle forme più lievi si può intervenire con la psicoterapia che aiuta il ragazzo a capire le ragioni che lo inducono a compiere azioni di un certo tipo; le forme più gravi invece, che impattano sulla qualità di vita del giovane paziente, richiedono la somministrazione di farmaci. 

L’importanza del dialogo: il ruolo della famiglia 

La presenza dei genitori nella vita dei figli è fondamentale: instaurare un buon dialogo in casa permette a ragazzi e ragazze di raccontare più apertamente eventuali difficoltà e ai genitori di cogliere i segnali di un possibile malessere. “Non è vero che è importante solo la qualità del tempo che trascorriamo con i nostri ragazzi, è importante anche la quantità. Quando si ha poco tempo, spesso la relazione con i figli è di tipo inquisitorio, si fanno domande su domande, per sapere dello studio, del tempo libero, degli amici”. Ma il neuropsichiatra spiega che essere presenti significa anche altro. “Esserci vuol dire condividere uno spazio, la casa, il salotto. Significa anche stare in silenzio, vedere un film insieme, lasciare a un figlio lo spazio di cercare il genitore quando lui lo ritiene”. 

Vicari sottolinea l’importanza di trasmettere ai figli il piacere di trascorrere del tempo insieme: è in quei momenti che si instaura un dialogo, un clima empatico che legittima la madre o il padre a porre anche domande più personali e intime davanti a un eventuale malumore del figlio. “Del resto è quello che avviene nelle relazioni quotidiane: per poter coltivare una relazione c’è bisogno di tempo, di spazi, di silenzi, di tranquillità. Nella stragrande maggioranza dei casi di tentato suicidio, i ragazzi hanno fatto una richiesta d'aiuto poco prima di compiere un gesto così drammatico: sono stati dal medico, hanno provato a parlare con un insegnante, hanno tentato di chiedere aiuto ai propri genitori nel loro modo a volte bislacco. Noi dobbiamo cogliere questi segnali, perché spesso sono gli unici su cui possiamo contare”.

Valorizzare la scuola come comunità educante 

Come la famiglia, anche la scuola assume un ruolo di primo piano nella vita di bambini e adolescenti. È il luogo in cui ragazzi e ragazze trascorrono larga parte del loro tempo e dove si possono manifestare e intercettare i primi segnali di malessere e insofferenza. Frequentemente sono proprio i professori a notare le prime criticità. E non è raro che siano i giovani stessi a rivolgersi a un insegnante per cercare quell’aiuto che magari faticano a trovare nei propri genitori. Nel caso di Simone, un altro dei protagonisti del libro da cui siamo partiti, il tentativo purtroppo non è andato a buon fine. 

“La scuola gioca un ruolo fondamentale nel promuovere la salute mentale nei ragazzi. Qui ogni adolescente, ma anche ogni bambino, sperimenta le prime relazioni importanti". E quando ci sono famiglie problematiche la scuola spesso rappresenta l'unico sostegno che i ragazzi hanno a disposizione. Per questo, secondo Vicari, si dovrebbe valorizzare il lavoro degli insegnanti, restituendo loro quel ruolo sociale che è andato via via perdendosi; si dovrebbe prestare magari minore attenzione ai programmi ministeriali, sostenendo alunni e alunne nel loro percorso formativo di persone e cittadini responsabili. “Dovremmo rimettere al centro della vita dei ragazzi la scuola e la famiglia”, conclude il neuropsichiatra. Si dovrebbe dunque aiutare i genitori ad avere più tempo per stare a casa insieme ai figli e valorizzare la scuola, perché torni a essere una comunità educante capace di accogliere in ogni momento tutti i ragazzi e le ragazze, anche i più fragili.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012