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In Salute. Malattie autoimmuni più diffuse nelle donne: cause e nuovi risultati

Nel 1991 in un editoriale su The New England Journal of Medicine dal titolo The Yentl Syndrome, la cardiologa Bernardine Healy sottolineava che le donne nel corso della loro vita mostrano una diversa suscettibilità rispetto agli uomini a sviluppare una serie di malattie croniche debilitanti. Faceva riferimento in particolare alle malattie cardiovascolari, ma non solo. Anche se le donne vivono più a lungo, la qualità di vita di quegli anni in più è gravata da patologie come il cancro, in particolare al seno, ai polmoni e al colon, dall'ictus, dall'osteoporosi, dalla malattia di Alzheimer, dalla depressione. Queste condizioni, però, in molti casi sono prevenibili e curabili. “Dobbiamo rendercene conto e affrontare le malattie delle donne come diverse da quelle degli uomini ma di uguale importanza, anche quando colpiscono pure il sesso maschile”. I fattori di rischio per determinate patologie, per esempio, possono avere un peso differente nei due sessi. E anche la risposta al trattamento chirurgico o farmacologico può essere diversa. Ci sono patologie, come ben riportato per quelle che interessano il sistema cardiovascolare, che si manifestano con una sintomatologia specifica nella popolazione femminile. Ce ne sono altre invece che sono più diffuse nelle donne: è il caso, per esempio, delle malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico, la tiroidite di Hashimoto. Proprio di malattie autoimmuni abbiamo parlato con Luca Fabris, professore del dipartimento di medicina all’università di Padova e componente del Consiglio direttivo del Centro studi nazionale su salute e medicina di genere. Abbiamo cercato di capire le ragioni di questa disparità di genere, alla luce anche di uno studio pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Cell che descrive il ruolo chiave di una molecola nel cromosoma X. 

Partiamo da qualche precisazione 

Le malattie autoimmuni sono patologie causate dagli stessi meccanismi cellulari e molecolari che solitamente servono a proteggerci dalle infezioni: in condizioni normali il sistema immunitario è in grado di distinguere le cellule del corpo da elementi estranei e di produrre anticorpi quando questi ultimi costituiscono una minaccia (come in caso di batteri o virus). In alcune circostanze però può accadere che il sistema di difesa dell’organismo sia incapace di riconoscere come normali costituenti del corpo cellule, tessuti o organi e che li aggredisca con la produzione di autoanticorpi: questo può dare origine a infiammazioni o disfunzioni.

“La sintomatologia è variabile e dipende dal tessuto colpito – spiega Fabris –. Se è colpita la tiroide si manifesteranno problemi di funzione della ghiandola tiroidea, se invece è interessato il fegato avremo i segni dell'epatite oppure la difficoltà a produrre bile (processo che prende il nome di colestasi); ancora, se sono coinvolti i muscoli ci saranno sintomi di astenia: il sintomo dunque è molto variabile e strettamente legato al tessuto oggetto del danno. Le malattie autoimmuni sono più di 100 e sono continuamente riclassificate a seconda degli aspetti epidemiologici che le caratterizzano”.

Intervista completa a Luca Fabris, componente del direttivo del Centro studi nazionale su salute e medicina di genere. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Malattie autoimmuni, più diffuse nelle donne

“Gran parte delle malattie autoimmuni sono prerogativa del sesso femminile. Le più note sono il lupus eritematoso sistemico (Les) che in oltre l'80% dei casi interessa le donne e la sclerosi sistemica (o sclerodermia), che ha percentuali analoghe alle precedenti. Altre patologie con preponderanza femminile sono la colangite biliare primitiva, che è un'infiammazione dei piccoli dotti del fegato, molte malattie della tiroide come la tiroidite di Hashimoto che è una forma comune di ipotiroidismo, oppure la malattia di Graves che al contrario si manifesta con un quadro di iperfunzione della stessa ghiandola tiroidea. A interessare maggiormente la popolazione femminile sono anche la miastenia gravis, una patologia muscolare, e l'artrite reumatoide”. Quest’ultima e il  lupus eritematoso sistemico più delle altre colpiscono le donne in maniera significativa, il lupus è quasi esclusiva prerogativa femminile.

Fabris spiega che ci sono poi patologie in cui la differenza di genere non è così significativa, come nel caso della sarcoidosi, o altre che invece colpiscono più gli uomini delle donne come il diabete di tipo 1 o la colangite sclerosante primitiva. Sono molto poche tuttavia le malattie autoimmuni con una maggior prevalenza nel sesso maschile”. 

Quando il medico sospetta una patologia autoimmune può prescrivere al paziente il test di lavoratorio per gli autoanticorpi che rileva la loro presenza o meno nel sangue. “Si tratta di biomarcatori che devono essere attentamente considerati, perché sono segni precoci della predisposizione a sviluppare una determinata malattia autoimmune, e dunque impongono un monitoraggio del paziente. Va tenuto presente, tuttavia, che la positività autoanticorpale per molte malattie non è sufficiente a determinare la diagnosi, poiché servono anche altri criteri clinici”.

Quali le cause? Fattori genetici, ormonali e ambientali 

La diversa suscettibilità ad ammalarsi tra uomini e donne si spiega essenzialmente sulla base di tre fattori, secondo Fabris. “Esistono sicuramente fattori genetici e cromosomici. Ci sono poi fattori ormonali poiché estrogeni, progesterone, testosterone, prolattina hanno tutti effetti variabili non solo sulla risposta immunitaria ma anche sulla risposta infiammatoria. Incidono anche fattori ambientali, come le infezioni virali da Epstein-Barr, da citomegalovirus, da papilloma virus, o alcuni agenti chimici. Un tempo si parlava dei cosmetici, della lacca per capelli o lo smalto per unghie, per spiegare la maggior prevalenza di queste patologie nelle donne rispetto agli uomini, anche se poi di fatto i risultati di tanti studi epidemiologici sono stati ridimensionati. Si parla anche di protesi al silicone, ma questi sono dati più recenti. Va detto infine che anche Covid-19 (come era stato chiaramente descritto) rappresenta un fattore predisponente allo sviluppo di malattie autoimmuni”.

Il ruolo della molecola Xist

Sulle ragioni che potrebbero spiegare la prevalenza di queste patologie nella popolazione femminile è intervenuto anche un gruppo di ricerca coordinato dalla Stanford University, con un articolo pubblicato su Cell. “Lo studio – sottolinea Luca Fabris – è estremamente rilevante e innovativo, perché dimostra che la differenza nell'assetto dei cromosomi sessuali tra maschi e femmine effettivamente è un fattore chiave nel generare un meccanismo che è alla base dell'induzione di queste malattie”. Ma facciamo un passo indietro per capire più nel dettaglio il contributo degli scienziati, dicendo subito che l’osservato speciale è il cromosoma X su cui già altri studiosi in precedenza si sono concentrati.

Come sappiamo il sesso biologico è determinato dalla presenza di due cromosomi X in ogni cellula femminile. Le cellule maschili contengono invece un solo cromosoma X, accoppiato a un cromosoma molto più corto, chiamato cromosoma Y. Il cromosoma X contiene molte centinaia di geni attivi che codificano per specifiche proteine, il cromosoma Y meno di un centinaio. Tuttavia, avere due cromosomi X rischia di far produrre a ogni cellula femminile il doppio della proteine, che potrebbe rivelarsi molto pericoloso. Per questo esiste in natura un fenomeno che avviene nelle prime fasi di vita del feto detto “inattivazione del cromosoma X”: in buona sostanza ogni cellula spegne l’attività di uno dei suoi due cromosomi X. Tale inattivazione avviene in maniera random grazie a una molecola chiamata  Xist: ebbene, durante questo processo Xist genera dei complessi molecolari, composti da filamenti di RNA, proteine e DNA, che – secondo quanto scoperto dagli scienziati – possono scatenare la produzione di autoanticorpi coinvolti nello sviluppo di malattie autoimmuni.

“Ogni cellula del corpo di una donna produce Xist – ha dichiarato Howard Y. Chang professore alla Stanford University e coordinatore dello studio –. Ma per diversi decenni abbiamo usato una linea cellulare maschile come standard di riferimento. E questa non ha prodotto Xist né complessi Xist/proteine/DNA, né altre cellule utilizzate da allora per i test. Quindi, tutti gli anticorpi anti-complesso Xist di una paziente donna (una fonte enorme della suscettibilità autoimmune delle donne) non vengono visti”.

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