SOCIETÀ

Torna attuale la legge italiana sull’inquinamento elettromagnetico

Venti anni fa l’Italia si dotava di una legge quadro sull’inquinamento elettromagnetico, una delle prime in Europa che dedica norme generali della civile convivenza a regolare l’impatto ambientale, sanitario, paesaggistico, sociale di alcuni moderni essenziali impianti di trasmissione di energia e di comunicazione, anche rispetto a effetti di medio lungo periodo,non tutti già noti o certi. In teoria nessuno può essere esposto a campi elettromagnetici indiscriminatamente. Bisogna sapere a quali campi, di quanta entità, in che modo sommatisi, per quanto tempo, onda su onda; partendo dal principio che i loro effetti possono essere dannosi e che vi saranno limiti e valori che sono controllati e non devono essere comunque superati.

All’inizio del 2001, la tredicesima legislatura del Parlamento italiano si concluse con una legge votata senza contrarietà da Camera e Senato, pur non essendo una priorità nel confronto fra le forze politiche e sociali al momento della precedente campagna elettorale. Vi erano prima e sono continuate dopo tante resistenze nel promuovere una politica attiva di cautela verso possibili danni alla salute e all’ambiente (ascolto, verifica, ricerca, controlli, concertazione, informazione, oltre che limiti), affinché il crescente allarme civile e i crescenti conflitti sociali divenissero occasione di minimizzazione dei rischi, di ordine urbanistico, di partecipazione democratica, di contemperamento fra interessi diversi. A tratti è stato così, a tratti meno, sia localmente che nazionalmente, sia sul piano giudiziario che sul piano politico. In vari territori le vertenze sono proseguite pur in una cornice normativa; in altri momenti nuove sollecitazioni hanno creato tensioni, come qualche giorno fa alla Camera dei Deputati con gli emendamenti presentati per alzare i limiti previsti dai decreti attuativi della legge quadro.

La legge 36 del 22 febbraio 2001 sulla “protezione delle esposizioni da campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici” non contiene numeri, si tratta di sedici brevi articoli senza allegati: definizioni del fenomeno e dei principi, ripartizione delle funzioni e competenze tra Stato e regioni anche con l’istituzione di un comitato interministeriale, procedure per la pianificazione, educazione ambientale, individuazione della rete di controlli e sanzioni. Bisogna sempre tener presente quel che le norme non possono fare quando entrano in vigore: non cesserà d'incanto l’inquinamento, non cesserà d'incanto la preoccupazione. Conviviamo (purtroppo) con altri inquinamenti e altre preoccupazioni. La legge può riconoscerli e definirli, assegnare compiti per monitorarli e diminuirli, suggerire scelte volontarie e accordi collettivi oppure sanzioni per averne meno, stanziare risorse per ricercare ancora, risanare, educare. La legge è una modalità per recepire una relazione sociale nella coscienza critica del paese, inevitabilmente genera altre relazioni. Se esistono interessi contrastanti e conflitti, continueranno ad esistere; la legge modifica i rapporti fra gli interessi e eventualmente propone una via mite per affrontare il conflitto. Non di più (ne parlai in un volume del 2001, Onda su onda. Le politiche contro l’inquinamento elettromagnetico, Cuen Napoli, presentazione di Stefano Rodotà).

La certezza del diritto è interesse comune di tutti i cittadini. La legge quadro costituì una cornice il più possibile semplice, chiara e originale entro la quale l’esposizione a onde artificiali è divenuta un evento giuridicamente rilevante, trasparentemente rilevante sia per chi le emette, sia per l’ambiente ove sono emesse, sia per chi si trova nelle condizioni di riceverle, anche dal punto di vista degli effetti sulla salute. C'è una “oggettività” dello strumento-legge nell'ordinamento italiano, così come risulta storicamente insediato, che riguarda l’intera produzione legislativa e condiziona l’intera vita amministrativa. Era una materia incandescente, lasciata a scontri sociali esasperati, a regolamentazioni locali precarie, contraddittorie ed episodiche (nel tempo e nello spazio), a lunghe incerte dinamiche giudiziarie, a parziali interventi di singoli amministrazioni centrali. Da venti anni, i valori numerici sono stati determinati, i controlli si fanno, ci sono personale e strutture diffusi sul territorio, le guide per la misura e la valutazione sono state ufficiali e uniformi per basse ed alte frequenze, si sono fatti accordi comunali fra tutte le parti in causa.

La legge di venti anni fa ha imposto un interesse diffuso, una verifica comparata (non solo comunitaria), un retroterra scientifico su una materia ancora priva di conclusioni esaustive sul concetto stesso di “inquinamento elettromagnetico” (anche se un problema di precisione scientifica riguarda un po’ tutti gli inquinamenti che pure esistono e non solo per noi sapiens, qui. La legge adottò una definizione tecnica di elettrosmog (combinazione terminologica di fumo/smoke e nebbia), come quella forma di inquinamento di origine fisica, impercettibile a 1ivello sensoriale (con conseguenti implicazioni psicologiche e sociali), derivante da sorgenti di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, in grado potenzialmente di interagire con i sistemi biologici, traducendola in una definizione giuridica, che è divenuta legge. Si è così evitato che l’allarmismo crescesse e diventasse esasperazione, disperazione, isolamento.

L’inquinamento elettromagnetico ha maggiore facilita di altri nel produrre anche una pressione psicologica e una paura collettiva, appariva (e appare) difficile esorcizzarlo. Anche se vogliamo dimostrare che ce n'è poco; anche se speriamo che non si dimostreranno gravi effetti nel lungo periodo; anche se affermiamo l’utilità sociale delle sorgenti che in parte lo provocano, era bene prendere seriamente l’elemento di verità contenuto nel crescente allarme sociale e investire in ricerca e tecnologie. La legge non sposò certezze scientifiche, dinamiche psicologiche, interessi produttivi. Non c’è mai una situazione senza impatti e inquinamenti, si tratta sempre di misurarli, prevenire o limitare quelli dannosi, coinvolgere comunità informate, contemperare le esigenze mettendo in cima alla lista delle priorità la salute degli umani e degli ecosistemi.

La questione di fondo è il ricorso al principio europeo di precauzione: potenziali effetti dannosi dell’esposizione prolungata sono stati da tempo identificati e la valutazione scientifica non permette di determinare il rischio con sufficiente grado di precisione. La legge propose un “quadro”. II legislatore nazionale dettò finalità, ambito di applicazione, definizioni e si riservò la (successiva) determinazione di limiti e valori unitari e uniformi per tutto il territorio nazionale per tutte le sorgenti, tutte le frequenze, tutti gli effetti, introducendo una diffusa attività amministrativa pubblica per la prevenzione e la riduzione dell'inquinamento magnetico, che i cittadini possono richiedere (ovunque non la si realizzi) a tutte le pubbliche istituzioni, politiche amministrative giudiziarie. I valori da non superare sono stati fissati e modificati in successivi controversi decreti interministeriali lungo tutto questo ventennio, talora svuotando la legge proprio con valori eccessivamente permissivi, lasciando i gestori liberi di programmare ogni proprio investimento, lasciando le aree a rischio (censite) senza tutela.

Pochi giorni fa, verso metà luglio 2021, in sede di conversione del decreto legge sulla cosiddetta governance da semplificare per il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato proposto di alzare uno dei limiti da 6 a 61 volt per metro (parliamo delle radiofrequenze), sorprendente visto che 6 volt per metro era stato introdotto già prima della legge quadro (in un atto del 1998 che sollecitò di fatto la stessa normativa generale) e solo ribadito dopo. Così l’elettrosmog è tornato in evidenza fra i titoli delle prime pagine degli organi di informazione e dei social. Si tratta dell’esposizione della popolazione ai campi connessi al funzionamento e all’esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di frequenza compreso tra 100 kHz e 300 GHz: gli impianti fissi di telefonia mobile, quelli per la generazione e trasmissione dei segnali radio e tv, inclusi i ponti radio, quelli di comunicazione satellitare. Non gli elettrodotti, non i cellulari, quello che sta a monte dei cellulari piuttosto.

Il ritorno dell’attualità della polarizzazione politica sull’elettrosmog dipende dalla volontà dei grandi operatori privati di abbassare i costi rispetto all’innovazione in corso verso le nuove generazioni di telefoni cellulari, parte della cosiddetta rivoluzione digitale del 5G e perciò di alzare i limiti finora individuati per prevenzione pubblica e cautela sanitaria. La questione è esplosa all’improvviso e in modo molto discutibile (tanto da suscitare opposizione anche da parte di molte regioni), soprattutto perché avrebbe cambiato con un episodico articolo di una legge su tutt’altra materia generale quel che la legge quadro decise di affidare alla ricerca scientifica e alla valutazione interministeriale. Per ora, tutto è stato accantonato, ma la questione resterà a lungo aperta. L’auspicio è che riprenda un percorso trasparente e partecipato, consapevole che le nuove tecnologie sono risorse da usare, ciascuno e tutti, con cognizione di causa, anche attraverso ponderati scientifici studi di carattere previsionale che mettano a confronto benefici e criticità, ovvero le ricadute ambientali, epidemiologiche e sociali.

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