Nacny Pelosi, speaker democratica alla Camera statunitense, alla conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera
Prima dell’emergenza italiana di coronavirus, tra il 14 e il 16 febbraio si è tenuta la 56° Conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera. Circa 500 tra capi di stato, ministri della difesa e degli esteri, leader di organizzazioni economiche e internazionali, si sono riuniti per discutere quest’anno attorno a un tema centrale, in inglese riassunto in termine, Westlessness, che contiene una domanda epocale: il mondo sta diventando meno Occidentale? C’è meno consenso nei confronti dell’Occidente, sia dall’interno sia dall’esterno? Come l’Occidente deve far fronte alle sfide crescenti della concorrenza?
L’euro-scetticismo, l’avanzata dei nazionalismi e della destra estrema, i cambiamenti climatici prodotti da un modello economico insostenibile, i fenomeni migratori alimentati da disuguaglianze globali sempre più ampie, sono elementi che pongono l’Occidente di fronte a serie riflessioni sulla propria capacità di tenere le redini di un mondo che cambia. A questi se ne aggiunge un altro, che rimescola gli equilibri geo-politici internazionali: l’espansione del Dragone.
Alcuni leader occidentali vedono la Cina come la più seria minaccia all’ordine costituito, su tutti quelli degli Stati Uniti. Democratici e Repubblicani, cane e gatto in patria, contro il nemico comune cinese trovano un’inusitata armonia. La delegazione statunitense, più corposa del solito alla conferenza di Monaco, si è a dir poco sbilanciata per ammonire le altre sul rischio strategico di appaltare alle aziende cinesi la costruzione di celle e antenne per la rete di quinta generazione, il 5G.
La nuova connettività non solo è molto più veloce della precedente (il 4G), ma permette anche di connettere molti più dispositivi contemporaneamente. La sua tecnologia è in grado di gestire sia le frequenze più alte che garantiscono trasmissione dati più veloce, sia le frequenze più basse che consentono ampia copertura. La sua architettura sarà più distribuita e meno centralizzata e proprio i molti punti di accesso sono l’elemento che la espone maggiormente ai rischi per la sicurezza.
Leading a bipartisan delegation of 40+ Representatives & Senators, Speaker Pelosi's message at the Munich Security Conference #MSC2020 was 2-fold:
— #DontMessWithNancy 💪💪🏻💪🏼💪🏽💪🏾💪🏿 (@FriendsofNancyP) February 17, 2020
1) America's commitment to NATO is "ironclad"
2) Relying on China / Huawei for 5G is a dangerous path for world democracies.⬇️⬇️⬇️ https://t.co/1Jx5an8Ifc pic.twitter.com/FRL49WOdEA
Persino la speaker democratica della Camera statunitense Nancy Pelosi si è associata ai funzionari repubblicani del suo governo, dichiarando che il fronte del 5G tiene insieme i temi della sicurezza, dell’economia e dei valori: “il 5G è l’autostrada dell’informazione dei giorni nostri. Perché dovremmo dare la licenza ai cinesi per dirigere il traffico? Tra autocrazia e democrazia noi scegliamo la democrazia”. L'alleanza Nato non si regge solo sull'ambito militare, la difesa, ma anche su quello dell'intelligence, la sicurezza.
Parole dure sono arrivate anche dal segretario della difesa Mark Epster, secondo cui la fornitura ai cinesi potrebbe rendere i sistemi dei Paesi partner vulnerabili a interruzione, manipolazione e spionaggio.
Oltre che prospettare una rinnovata guerra fredda di spionaggio digitale, il controllo dell’infrastruttura del 5G potrà determinare enormi vantaggi economici per l’uno o l’altro Paese. Il governo statunitense ha già approvato un investimento di un miliardo di dollari nelle reti di telecomunicazione dei Paesi occidentali alleati, per frenare l’avanzata cinese.
Gli Stati Uniti temono infatti che l’Europa sia pronta a coinvolgere nella partita del 5G le compagnie cinesi Huawei e Zte, considerate dagli americani un vero e proprio cavallo di Troia di Pechino. Huawei è il maggiore fornitore di apparecchiature per il 5G nei Paesi di tutto il mondo, compresi America Latina e Medio Oriente. Abraham Liu, rappresentante di Huawei a Bruxells, ha annunciato di voler aprire in Europa per il mercato europeo la prima fabbrica Huawei per il 5G al di fuori della Cina.
Secondo alcune proiezioni Huawei potrebbe arrivare a controllare il 30% del mercato mondiale della rete di nuova generazione. Le competitor Nokia e Ericsson, multinazionali delle comunicazioni rispettivamente finlandese e svedese, sono ancora troppo indietro. Il procuratore generale Usa William Barr, in un intervista al Wall Street Journal, ha proposto una cordata di aziende americane per acquistare quote azionarie di Ericsson e Nokia per migliorare la loro posizione di mercato.
Huawei è già stata accusata di spionaggio, per conto del Partito Comunista Cinese, da parte degli Stati Uniti, che ora combattono la guerra commerciale anche sul fronte del 5G. Il dipartimento del commercio statunitense vuole impedire l’acquisto di componenti statunitensi da aziende cinesi, colpendo con i dazi TSMC Taiwan, produttrice di chip di Huawei, responsabile del 10% (35 miliardi di dollari) delle vendite di Huawei. Ma tra i clienti di TMSC ci sono anche però aziende statunitensi come Apple e Qualcomm. La mossa del governo Usa potrebbe quindi avere un effetto boomerang.
L’ostilità degli statunitensi sembra però non trovare riscontro nel vecchio continente. Il Regno Unito ha già coinvolto Huawei nella realizzazione del 5G, mentre la Francia resta aperta alla collaborazione con i cinesi. La Germania ha votato in favore di regole più severe per l’accesso di compagnie straniere, senza però escludere a priori il colosso di Shenzen. La Merkel del resto non vede di buon occhio le lusinghe che Trump rivolge a Ericsson e Nokia, e preferisce che le aziende restino indipendenti dall’influenza statunitense, che definisce “acquisizioni straniere ostili”.
Solo l’Australia affianca Trump, sbarrando le porte all’ingresso cinese e addirittura cancellando una trasferta inglese della propria intelligence.
"The fifth generation of mobile networks is expected to contribute more than $13 trillion to output worldwide by 2035". Discover what #5GWorld had to say on the Economic Impact of 5G in The Times this week! → https://t.co/gnSWTclunM@raconteur pic.twitter.com/AvFZBF6LXh
— 5G World Series (@5GWorldSeries) February 21, 2020
La tecnologia 5G, con la sua aumentata velocità e connettività, promette di dare il via a una nuova rivoluzione industriale, quella dei robot e dell’intelligenza artificiale. Sarà l’era dell’Internet of things: non solo smartphone, tablet e personal computer, ma anche gli elettrodomestici saranno connessi in rete, così come i sensori che monitoreranno il traffico delle smart cities, che costituiranno il boom dell’economia dell’internet delle cose. Entro il 2023 si calcola che il 10% delle connessioni si appoggerà al 5G. Ciascun individuo avrà una media di 3,6 dispositivi connessi in rete, mentre in ogni abitazione saranno 10.
Si stima che entro il 2025 ci saranno 75 miliardi dispositivi connessi tra loro, un aumento del 170% del numero di apparecchi in rete rispetto al 2019 (circa 27 miliardi). Molti più dispositivi che persone. È difficile fare una stima del valore economico che il 5G porterà con sé, ma in uno speciale di The Times dedicato al 5G è riportato che entro il 2035 il complesso delle attività economiche dei vari settori che orbitano intorno al 5G avranno raggiunto il valore di 13.200 miliardi di dollari, occupando 22,3 milioni di posti di lavoro e andando a costituire all’incirca il 5% dell’economia mondiale. È una questione prioritaria per la sicurezza, certo. Ma non solo.
Secondo il quotidiano spagnolo Expansion il coronavirus avrà conseguenze negative anche sullo sviluppo del 5G. Il 3GPP, l’organismo responsabile di fissare i nuovi standard tecnologici del 5G (una sorta di Onu delle telecomuincazioni), non può riunirsi a causa dei timori del contagio. In queste sedi vengono stabiliti gli standard internazionali da seguire. Dall’esplosione dell’epidemia le riunioni sono state rinviate o tenute a distanza in videoconferenza e la corsa allo sviluppo, anche se di poco, per il momento è rallentata.