SCIENZA E RICERCA

Abbassiamo il volume e lasciamo “parlare” gli oceani

Viviamo in un mondo sempre più rumoroso. Di questo è facile accorgersi negli ambienti terrestri, visto che ne facciamo esperienza diretta, ma non si può dire altrettanto per quanto riguarda gli ambienti marini e oceanici. Così come, sulla terra, i rumori urbani compromettono la qualità della vita e la salute di chi abita nelle grandi metropoli, così, nei mari e negli oceani, l’inquinamento acustico prodotto direttamente o indirettamente dall’uomo ha gravi conseguenze per gli organismi che dipendono dai suoni per vivere.

Lo studio dei suoni in ambiente marino sta ricevendo sempre più attenzione in ecologia. Si tratta infatti di un approccio non invasivo che permette di raccogliere informazioni sulle specie capaci di emettere suoni e l’habitat con cui esse interagiscono, ma anche di valutare l’impatto dei rumori umani sulla fauna marina e, a cascata, a livello ecosistemico. Tale tipo di studi si basa sull’ascolto passivo di registrazioni fatte con i microfoni subacquei, gli idrofoni. Come procedura si può paragonare, semplificando molto, a un medico che valuta la salute di un paziente usando lo stetoscopio.

Qual è lo stato di salute, in termini acustici, di mari e oceani e in che entità i rumori derivanti dalle attività umane, cambiamenti climatici inclusi, interferiscono con la vita e l’ambiente marini? Una risposta esaustiva la dà la review di Duarte e colleghi, recentemente pubblicata su Science, che fornisce un “ritratto” sonoro degli ambienti marini e oceanici durante l’era geologica attuale, l’Antropocene. In particolare, gli autori hanno riesaminato le evidenze scientifiche prodotte in 40 anni di ricerche riguardanti l’impatto dell’inquinamento acustico, mediato e prodotto dall’uomo, sull’ambiente sonoro sottomarino. Obiettivo è fornire, per la prima volta a livello globale, una sintesi delle conoscenze a disposizione a sostegno dell’introduzione di misure internazionali di monitoraggio e mitigazione del rumore in ambiente oceanico.

Elemento chiave del lavoro è il concetto di paesaggio sonoro, termine coniato da Murray Schafer negli anni Settanta e che, nella definizione corrente, comprende l’insieme di suoni biologici o biofonia (invertebrati, pesci e mammiferi marini), di suoni naturali o geofonia (terremoti, vento, pioggia), e di suoni antropici o antropofonia (traffico marittimo, sonar, trivellazioni) presenti in un dato ambiente.

In acqua i suoni si propagano molto più velocemente di quanto non facciano in aria e sono molte le specie in grado di produrre segnali sonori, volontari o meno, per gli scopi più vari. I suoni biologici sono prodotti durante il movimento, l’alimentazione, la predazione, la difesa, per comunicare fra individui e per riprodursi. La biofonia varierà a seconda della località, delle specie presenti e della loro densità, della stagione e dell’ora del giorno a cui i suoni biologici vengono prodotti, caratterizzando in modo distintivo i paesaggi sonori sottomarini.

A partire dalla rivoluzione industriale, però, un “crescendo” di rumori antropici ha alterato i paesaggi sonori sottomarini, dalla scala locale a quella globale. Per esempio, Duarte sottolinea come, negli ultimi 50 anni, l’aumento del traffico marittimo abbia reso 32 volte maggiore il rumore alle basse frequenze lungo le principali rotte di navigazione, causandone quindi la propagazione su maggiori distanze nelle regioni oceaniche. Tuttavia, sono soprattutto le aree costiere quelle più impattate a causa della maggiore concentrazione di imbarcazioni e attività umane. Lo sfruttamento eccessivo delle specie marine, soprattutto di quelle in grado di produrre suoni, e la degradazione degli habitat marini ha impoverito le comunità biofoniche, alterando profondamente i paesaggi sonori marini.

I cambiamenti mediati dall’uomo, come quelli climatici, stanno rendendo gli oceani ancora più rumorosi. Infatti, la propagazione del suono negli ambienti marini, dipendendo da temperatura e pH, è più elevata a causa del riscaldamento globale e dell’acidificazione degli oceani. Inoltre, i cambiamenti climatici stanno cambiando la geofonia dei paesaggi sonori ai poli a causa dello scioglimento dei ghiacci e, su scala globale, del più frequente verificarsi di eventi meteorologici estremi, che possono compromettere anche gli habitat marini e le comunità biofoniche presenti.

I rumori prodotti dalle attività umane possono interferire con le comunicazioni sonore della fauna marina, ostacolandole, mascherandole e alterando il comportamento delle specie. Gli studi disponibili documentano ampiamente gli effetti negativi del rumore antropico a scapito di mammiferi, pesci, invertebrati marini, ma anche rettili e uccelli. Esistono prove di perdita della capacità uditiva, alterazioni fisiologiche e risposte comportamentali elusive fino al loro allontanamento dalla fonte sonora.

La pandemia globale da Covid-19 sta dimostrando il profondo impatto che esercitiamo sul pianeta ma, allo stesso tempo, durante il lockdown, ci ha permesso di sperimentare una riduzione delle attività e dei rumori umani che ha spinto alcuni animali marini ad avvicinarsi a zone prima molto trafficate, come porti e aree urbane costiere. Infatti, gli autori dell’articolo sottolineano come, contrariamente ad altre forme di inquinamento, quello acustico non persista nell’ambiente e la sua riduzione produrrebbe benefici quasi immediati.

Nonostante la sua natura reversibile, il problema dell’inquinamento acustico negli oceani non va però trascurato, soprattutto in luce del suo probabile aumento nei prossimi anni a causa dello sviluppo delle attività di sfruttamento degli oceani. Eventuali misure di mitigazione dell’inquinamento acustico includono l’adozione di tecnologie insonorizzanti e/o più silenziose, come eliche ottimizzate per ridurre la cavitazione e motori elettrici, ma anche la regolazione della velocità delle grandi navi e la modifica delle rotte di navigazione.

Duarte e colleghi sperano che tutte le evidenze che documentano il contributo dell’inquinamento acustico al declino della salute degli oceani verranno tenute in considerazione alla Conferenza sull'Oceano delle Nazioni Unite del 2021 e nella stipulazione di accordi internazionali per la gestione integrata degli oceani. Come gli autori sottolineano, il 2020-2021 è l’Anno internazionale del suono. Molti paesaggi sonori marini potrebbero scomparire prima di averne mai potuto tener traccia. Se non ora, quando?

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