SCIENZA E RICERCA

Come vecchi amici al bar: l’inaspettata amicizia tra opossum e ocelot

Qualche anno fa, un gruppo di biologi ed ecologi era nella foresta amazzonica peruviana a studiare i comportamenti cooperativi di una specie di uccello le cui abitudini sono ancora poco note. Avevano individuato un nido, solitamente difficile da trovare, e avevano installato una videocamera che si attiva con il movimento (una fototrappola). Dopo circa un giorno, i ricercatori recuperano la fototrappola, guardano i video, e trovano qualcosa di totalmente inaspettato: un opossum comune (un piccolo marsupiale) e un ocelot (un felino maculato, poco più grande di un gatto domestico), entrambi animali notturni e solitari, che camminano l’uno dietro l’altro, a meno di un metro di distanza. Osservazione bizzarra: forse l’ocelot è un giovane e inesperto cacciatore, che sta seguendo la sua futura preda per conoscerne meglio le abitudini (è un comportamento comune tra i predatori, definito come “stalking”)?

L'inaspettata amicizia tra l'opossum e l'ocelot

Ma un video successivo, registrato una decina di minuti dopo il primo, sembra confutare questa ipotesi: i due tornano ancora insieme, sullo stesso sentiero, sempre uno dietro l’altro, in tutta calma, “come due vecchi amici che tornano dal bar”. Ettore Camerlenghi, ricercatore all’ETH di Zurigo, è il primo autore dello studio che riporta queste osservazioni, pubblicato di recente sulla rivista scientifica “Ecosphere”, e racconta l’emozione di questa scoperta serendipica: “Io studio la cooperazione negli uccelli, e non ho esperienza di felini o altri mammiferi, e Isabel [Damas-Moreira], la ricercatrice che ha contribuito a questo studio al pari di me, lavora sui rettili. Perciò ci siamo trovati di fronte a questa osservazione senza una competenza specifica per interpretarla, e questo è stato, forse, un bene. Nel nostro gruppo di ricerca, c’era però un collaboratore che lavora con i mammiferi: guardato il video, ha inizialmente ipotizzato che l’ocelot fosse un giovane che probabilmente stava seguendo l’opossum per apprendere i comportamenti di una futura preda. Poi, però, quando ha visto anche il video del ritorno, ha convenuto che obiettivamente si trattava di un evento molto strano. Ci siamo entusiasmati, però volevamo essere estremamente prudenti, non saltare a conclusioni avventate”.

I casi di cooperazione tra animali in natura

I casi di cooperazione sono molto comuni in natura: “Negli uccelli sono diffusissimi, e ne ho studiati molti proprio nello stesso luogo in Amazzonia, negli anni passati; inoltre, la cooperazione tra il coyote e il tasso in Nord America, finalizzata alla caccia degli scoiattoli, è un caso da manuale di cooperazione tra specie diverse di mammiferi terrestri. Infine, sappiamo che tra i mammiferi acquatici i casi di cooperazione abbondano”, ricorda Camerlenghi.

Per avvalorare la loro osservazione, i ricercatori hanno iniziato a cercare ulteriori prove di questa potenziale cooperazione, chiedendo se altri gruppi di ricerca che lavoravano in altre zone dell’Amazzonia avessero mai osservato un simile comportamento. Nel frattempo, gli anziani delle popolazioni indigene con cui Camerlenghi è in contatto avevano affermato che, stando alle loro conoscenze e osservazioni empiriche, l'ocelot è un predatore solitario, ed è improbabile vederlo in compagnia di altri individui, specialmente di un’altra specie. 


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Eppure, le sorprese non erano finite: infatti, esistevano già almeno altri tre video che riprendevano un comportamento molto simile a quello osservato dagli studiosi in Perù: l’opossum davanti, l’ocelot poco dietro, che percorrono la stessa strada avanti e indietro a distanza di minuti, senza che l’opossum mostri alcun segnale di stress alla presenza del potenziale predatore. “Bisogna sapere – spiega Camerlenghi – che gli opossum sotto stress fanno tanatosi, cioè fingono di essere morti; nei video, invece, si può vedere che l’opossum cammina tranquillamente seguito dall’ocelot, in gran pace. Vanno da qualche parte, anche se non si capisce dove, cosa fanno, e come”.

“Una volta raccolti questi video, abbiamo dovuto riconoscere che davanti a noi si stava evidenziando un pattern, che aveva bisogno di una spiegazione. Abbiamo presentato questa scoperta serendipitosa a Melbourne, e tra le varie persone che si sono fermate a commentare abbiamo conosciuto un giovane ricercatore, un biologo che lavora allo Smithsonian Tropical Research Institute di Panama”.

Questo ricercatore, Dumas Gálvez, ora coautore dello studio, racconta a Ettore e ai suoi colleghi che anni addietro, mentre stava studiando l’interazione tra ocelot e agouti per capire come la presenza di un predatore condizioni i comportamenti degli altri organismi in un ecosistema (il “landscape of fear”), aveva organizzato un esperimento: aveva posizionato nella foresta amazzonica dei bastoncini di legno su cui erano montati dei pezzi di stoffa intrisi, rispettivamente, di urina di ocelot e urina di puma, e alcuni senza odore per controllo. Inaspettatamente, aveva notato che i bastoncini con urina di ocelot attiravano gli opossum, i quali passavano parecchio tempo – in un caso, addirittura venti minuti – a strofinarsi contro questo odore, in estasi.


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“A questa notizia – ricorda Camerlenghi – ci siamo entusiasmati. Il nostro è chiaramente un ragionamento indiziario, perché non abbiamo ancora nessuna prova certa di cooperazione, ma da un lato abbiamo questo pattern ricorrente, registrato in anni diversi e in zone diverse dell'Amazzonia peruviana, in cui si vede sempre l'opossum seguito dall’ocelot, e dall’altra questo interesse dell’opossum verso l’odore del felino. Se avessimo solo i video, potremmo pensare anche a una forma di parassitismo da parte dell’ocelot verso l’opossum, o addirittura di uno stalking, di una predazione. Per immaginare una possibile cooperazione, bisogna capire anche quale sia il vantaggio per entrambe le parti: che vantaggio trarrebbe l’opossum da questa interazione? Ed ecco che appare questa osservazione che mostra un'attenzione particolare dell’opossum non verso un predatore in generale, ma specificamente verso l’ocelot, concentrandosi in particolare sull'odore. Questi dati, insieme, suggeriscono che vi sia una mutua attrazione, e che quindi potrebbero esservi benefici per entrambe le specie”.

Questo studio rappresenta un primo passo per approfondire lo studio di questa potenziale cooperazione: la pubblicazione delle prime osservazioni ha, innanzitutto, l’obiettivo di puntare l’attenzione su questo fenomeno, raccogliere eventuali altri dati già esistenti, e stimolare la discussione sulla loro interpretazione.

Per quanto riguarda la spiegazione di quanto osservato dai ricercatori sulla strana coppia amazzonica di opossum e ocelot, i ricercatori hanno avanzato delle ipotesi preliminari, che però, specifica più volte Camerlenghi, “per ora sono solo ipotesi speculative”. La prima, emersa proprio durante quella prima condivisione dei video con la comunità scientifica a Melbourne, è che la cooperazione si manifesti, in questo caso, sotto forma di mimetismo chimico: secondo questa ipotesi, l’ocelot trarrebbe vantaggio dal forte odore dell’opossum per arrivare alle prede inosservato, e l’opossum, a sua volta, trarrebbe beneficio dal mascheramento chimico con l’odore di ocelot, tenendo lontani i predatori. Un’ipotesi alternativa potrebbe essere costruita a partire da un dato conosciuto: l’opossum comune è resistente al veleno dei viperidi. Sfruttando questa caratteristica, potrebbe essersi instaurato tra le due specie un mutualismo legato alla caccia, in cui l’opossum darebbe inizio alla caccia dei viperidi, da cui trarrebbe beneficio anche l’ocelot, che a sua volta rappresenterebbe, anche in questo caso, una garanzia contro altri predatori.

“In generale – conclude Camerlenghi – abbiamo appurato che queste due specie fanno qualcosa insieme: pensiamo che sia una forma di cooperazione, per il ragionamento che ti ho descritto. Inoltre, sono due specie molto ben studiate – soprattutto l’ocelot, in quanto specie carismatica – eppure questo pattern non era noto. Si tratta di una scoperta interessante, perché punta una luce su quanto poco sappiamo, e quanto ancora ci sia da scoprire, sull’ecologia delle foreste pluviali del nostro pianeta: ci sono così tanti aspetti sconosciuti anche per le specie ben studiate, quindi immaginiamo quanto poco sappiamo degli altri milioni di specie non ancora studiate che vivono in questi ecosistemi”.

La serendipità

Infine, questa storia è affascinante anche per il metodo con cui la scoperta è stata raggiunta: si tratta di un esempio da manuale di serendipità, di scoperta non cercata, ma capitata, e per accogliere la quale è importante avere la giusta apertura mentale, senza trincerarsi dietro a cornici teoriche troppo rigide. In questo caso, la sfida è stata formulare l’ipotesi della cooperazione tra una specie che è solitamente predatrice e una che è preda: non a caso questo studio, basato su dati empirici e condotto con una metodologia induttiva, è stato rifiutato da diverse riviste scientifiche prima di essere pubblicato. Ma anche questo fa parte del metodo scientifico: specialmente quando si studia il mondo naturale, bisogna avere la prontezza di farsi sorprendere e di accogliere le scoperte più inaspettate.

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