SCIENZA E RICERCA

Foresta amazzonica, nuovi studi confermano la sua estrema fragilità

La foresta amazzonica, il polmone verde del pianeta, è in crisi: il riscaldamento globale, insieme alla deforestazione, la stanno portando verso il punto di non ritorno. Nel suo rapporto annuale, la FAO rivela che la perdita di foreste tropicali è particolarmente preoccupante, dal momento che la loro conservazione è fondamentale per la biodiversità e la regolazione del clima globale. Il dossier evidenzia che tra il 2015 e il 2020, la Terra ha perso circa 10 milioni di ettari di foresta all’anno a causa dell'espansione agricola intensiva, dell'estrazione mineraria e del disboscamento. Una delle regioni più colpite è appunto l’Amazzonia. 

Fino ai primi anni Duemila, la deforestazione ha riguardato soprattutto le regioni di media latitudine, mentre successivamente si è andata intensificando nelle regioni tropicali, come il bacino amazzonico. Queste ultime aree continueranno ad essere degli hotspot globali per la deforestazione, fino a quando non verranno adottate delle politiche decisive per fermarla.

Numerosi paper scientifici confermano che la foresta amazzonica è in grave pericolo. Secondo uno studio condotto da Bernardo Flores e pubblicato a febbraio dello scorso anno sulla rivista Nature, entro il 2050 fino al 47% della foresta amazzonica potrebbe arrivare al collasso ecosistemico.


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L’ecosistema potrebbe perdere la sua capacità di sostenere le specie viventi e di svolgere i suoi normali processi ecologici, se dovesse raggiungere quel punto di non ritorno dove gli equilibri tra i suoi diversi componenti vengono alterati in modo tale da compromettere la sua funzionalità. Questo avverrebbe principalmente a causa di 5 fattori: il riscaldamento globale, la quantità di precipitazioni annuali, l’intensità delle precipitazioni durante la stagione delle piogge, la lunghezza della stagione secca e la deforestazione. 

Deforestazione e precipitazioni: quale impatto?

A questo proposito, Yongzuo Qin, ricercatore della Southern University of Science and Tecnology di Shenzhen, in Cina, ha indagato come la deforestazione abbia influito sui cambiamenti stagionali delle precipitazioni nella foresta amazzonica negli ultimi anni.

L’analisi della combinazione dei dati satellitari e delle simulazioni climatiche (cioè di simulazioni del sistema climatico terreste costruite al computer) hanno svelato che la deforestazione ha reso la stagione delle piogge più piovosa e ancora più secchi i periodi di siccità, proprio quando l’ecosistema ha più bisogno di acqua. La deforestazione produce due effetti principali che influenzano le precipitazioni: innanzitutto, la riduzione della vegetazione diminuisce la quantità di acqua che evapora dalle piante.  Di conseguenza, soprattutto nella stagione secca, diminuiscono la quantità di umidità che entra nell’atmosfera e dunque le precipitazioni, modificando così il naturale ciclo dell’acqua. In secondo luogo, la deforestazione provoca il riscaldamento della superficie terrestre, innescando flussi d'aria verso l'alto e la formazione di aree di bassa pressione atmosferica. Questo fa si che, soprattutto nella stagione delle piogge, la copertura delle nuvole e le precipitazioni sopra le zone deforestate aumentino, a scapito delle altre zone. In sintesi: se prevale la diminuzione dell’umidità, le precipitazioni diminuiscono, mentre se a prevalere è il riscaldamento della superficie terrestre, le precipitazioni aumentano. 

Il cambiamento nella quantità di umidità nell’atmosfera e nella sua distribuzione è determinante nel definire la quantità e l’intensità delle precipitazioni, soprattutto in Amazzonia, dove circa un terzo dell’acqua piovana proviene dal bacino amazzonico stesso. 

In questo senso, l’approccio utilizzato da Yongzuo Qin è estremamente innovativo: combinando set di dati satellitari e simulazioni climatiche, sono stati tracciati gli spostamenti dell’umidità, utilizzando un modello climatico regionale incentrato sul Sud America. Chiaramente l’impiego di modelli di deforestazione idealizzati e l’analisi dei flussi dell’umidità, permettono di comprendere quali siano le zone a rischio siccità così da poter agire per la loro conservazione. 

L’urgenza di soluzioni più efficienti 

Lo studio di Qin apre la strada a future ricerche, che con questo metodo potrebbero analizzare meglio le differenze climatiche delle zone interessate, distinguendo tra effetti “locali e “non locali”, in modo da poter sviluppare delle soluzioni più efficienti per affrontare i rischi ambientali, sociali ed economici legati alla deforestazione.  In pericolo non è solo l’ecosistema biologico in sé, ma anche ad esempio l’agricoltura, che in Amazzonia costituisce una delle principali fonti di reddito, così come l’industria idroelettrica che fornisce il 65% dell’elettricità in Brasile. 

È importante, però, tenere presente che la causa del possibile collasso del bacino amazzonico non risiede solo nella deforestazione, ma è da ricercare anche nel cambiamento climatico. La continua emissione di gas serra esacerberà ancor di più la siccità del territorio, mentre la foresta amazzonica immagazzina decine di miliardi di tonnellate di carbonio, che viene poi rilasciato nell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica. 

Secondo quanto riportato da uno studio del 2021, condotto da Luciana Gatti, vaste zone dell'Amazzonia potrebbero trovarsi nella paradossale situazione di rilasciare più anidride carbonica di quella che riescono ad assorbire. D’altronde tra il 2010 e il 2019, il bacino amazzonico brasiliano ha emesso 16,6 miliardi di tonnellate di CO2, mentre ne ha assorbiti solo 13,9 miliardi. Così, se il riscaldamento globale dovesse superare di 2°C i livelli preindustriali, secondo gli esperti, le regioni tropicali diventeranno una savana, con effetti devastanti su tutto l’ecosistema. 

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