SCIENZA E RICERCA

Sono secoli che nel Mediterraneo si pesca troppo tonno

Il tonno rosso è una delle specie ittiche più sfruttate al mondo. Centrale nella storia culturale ed economica del Mediterraneo, dove viene consumato e commerciato fin dall’antichità. Ma la pressione demografica e genetica che questo animale ha subito negli ultimi secoli è un esempio di quanto profondo e irreversibile possa essere l’effetto delle attività antropiche sull’evoluzione degli organismi naturali e gli equilibri degli ecosistemi.

I risultati di un recente studio, pubblicato su PNAS con la prima firma del biologo marino Adam Jon Andrews (Norwegian institute for water research) suggeriscono che per troppi secoli gli abitanti del Mediterraneo hanno praticato una pesca eccessivamente massiva del tonno rosso, causando una perdita di diversità genetica in questa specie. La ricerca è stata condotta da un team internazionale e multidisciplinare di ricercatori che hanno confrontato dati genetici, zoologici e archeologici. La loro ipotesi è che gli effetti negativi dell’impatto umano sulla specie Thunnus thynnus siano iniziati prima di quanto si pensasse, ovvero prima dell’avvento della pesca industriale negli anni Settanta del Novecento, bensì già alla fine dell’Ottocento, a causa dell’attività intensiva delle tonnare, diffuse da secoli in tutto il Mediterraneo.

“Indagini precedenti, condotte soprattutto dall’ICCAT (la Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico), hanno ricostruito la storia del tonno attraverso il monitoraggio di alcuni parametri quali il numero delle catture nel corso del tempo, la mortalità da pesca o la mortalità naturale”, spiega Fausto Tinti, professore di zoologia all’università di Bologna, che ha coordinato il lavoro. “Queste ricerche denunciano un significativo calo demografico di questa specie nel Mediterraneo, attribuito allo sviluppo della pesca industriale, a partire dal 1970 circa”.

Nel 2010 Tinti ha coordinato uno studio basato sull’analisi del DNA di alcuni tonni pescati nell’arco di circa un secolo. “Avevamo osservato che gli esemplari catturati cento anni fa e quelli moderni non presentavano differenze genetiche significative”, racconta. “Avevamo ipotizzato, quindi, che la specie non avesse subito una forte erosione genetica, nonostante il brusco calo demografico degli ultimi cinquant’anni.

Tuttavia, le fonti storiche indicano che nel Mediterraneo la pesca massiva del tonno veniva praticata fin dall’epoca dei Fenici e dei Greci. Già allora si trattava di una vera e propria pesca commerciale – che prevedeva la cattura, la lavorazione, il trasporto e la vendita del prodotto – che si intensificò ulteriormente a partire dal Medioevo, con un aumento del numero di tonnare diffuse in tutto il Mediterraneo”.

I ricercatori hanno deciso quindi di considerare un arco temporale più ampio, di circa 5000 anni. L’obiettivo era verificare se, come accaduto per altre specie – come il merluzzo e l’aringa – anche il tonno avesse subito cali demografici già in epoca preindustriale. Hanno confrontato quindi dati genetici moderni e antichi tratti, rispettivamente, da 49 tonni rossi pescati nell’ultimo decennio nel Mediterraneo, in Norvegia e nel Golfo del Messico e da 41 resti fossili di tonno provenienti da alcuni siti archeologici datati tra il 3000 a.C. e il 1941 d.C.

“Considerando un periodo di tempo più ampio, abbiamo osservato una effettiva perdita di variabilità genetica in questa specie iniziata prima dello sviluppo della pesca industriale, ovvero già alla fine dell’Ottocento”, osserva Tinti.

Come specifica il professore, l’erosione genetica si verifica quando una parte della popolazione non riesce a riprodursi e non trasmette quindi il suo DNA alle generazioni successive. “Se questo accade su larga scala e per più generazioni, si perdono intere linee genetiche”, precisa. “È probabile che questa erosione sia dovuta alla pesca intensiva praticata nelle tonnare, che ha compromesso il successo riproduttivo di intere popolazioni di tonni per diverse generazioni.

Come spiega Tinti, la perdita di diversità genetica è un problema – non solo per il tonno rosso, ma per qualsiasi specie animale – perché “comporta una perdita del potenziale di cambiamento evolutivo, che è fondamentale per l’adattamento, specialmente in un’epoca di cambiamenti climatici”. In altre parole, più una specie è geneticamente varia, più possibilità ha di possedere le mutazioni genetiche più utili per adattarsi man mano che l’ambiente si trasforma.

“Attraverso la selezione naturale, le combinazioni genetiche meno vantaggiose tendono a scomparire, mentre quelle che funzionano meglio vengono conservate”, prosegue il professore “Ma se la diversità si riduce, anche il ventaglio di possibilità utili si restringe: la specie perde la capacità di adattarsi e di rispondere efficacemente a nuove pressioni ambientali. Rischia inoltre di smarrire quelle caratteristiche che le garantiscono il massimo successo riproduttivo. Perdere diversità genetica, quindi, significa anche ridurre le chance di sopravvivenza di una specie a lungo termine”.

Sebbene i tonni non siano a rischio di estinzione, sono comunque una specie sensibile ai cambiamenti climatici e corrono un rischio di scomparsa locale. “Ciò è accaduto, ad esempio, per la popolazione di tonni del Mar Nero, un tempo abbondante e di grande rilevanza economica per la Turchia e i paesi dell’est”, continua il professore. “Alla fine degli agli Ottanta del secolo scorso questa popolazione scomparve completamente da quest’area, senza lasciare discendenti tra gli esemplari del Mediterraneo. Ciò significa che i tratti genetici distintivi di questa specie si sono persi; di conseguenza, anche se in futuro dovessero cambiare le condizioni ambientali e climatiche, il tonno potrebbe tornare nel Mar Nero, ma non sarebbe, dal punto di vista biologico e genetico, lo stesso di una volta.

Allo stesso modo, a causa dell’innalzamento della temperatura dei mari dovuto al cambiamento climatico, esiste il rischio che nei prossimi decenni il tonno smetta di riprodursi nel Mediterraneo. Ciò provocherebbe un danno non solo a livello economico, ma anche dal punto di vista naturalistico e ambientale. I tonni, infatti, sono apix predator (“predatori apicali”) e perciò la loro scomparsa a livello locale causerebbe un’alterazione dell’intero ecosistema”.

Negli ultimi anni, il team di ricerca di cui fa parte Tinti si è basato sul confronto tra tonni antichi e moderni anche per scoprire se l’impatto umano avesse indotto cambiamenti ecologici ed evolutivi in questa specie, legati alle preferenze di habitat, alla dieta o al ritmo di crescita e sviluppo

Attraverso l’uso di marcatori isotopici sui resti dei tonni antichi e moderni è possibile individuare il tipo di ambiente in cui questi animali sono cresciuti, si sono alimentati e si sono riprodotti, ricostruendo anche le preferenze di dieta e di habitat di animali antichi, impossibili da osservare direttamente”, spiega Tinti. “Attraverso questo tipo di analisi abbiamo scoperto che il tonno rosso ha progressivamente modificato il proprio habitat, spostandosi sempre più al largo. Il motivo di questo cambiamento è probabilmente legato alla competizione con gli umani per le risorse alimentari: la pesca intensiva di pesce azzurro e cefalopodi nelle aree costiere ha ridotto drasticamente la disponibilità delle prede, costringendo i tonni a cercarle più lontano dalla costa e a profondità maggiori, dove la pressione della pesca è minore”.

Gli autori hanno anche indagato come sono cambiati nel tempo i tassi di crescita del tonno rosso. Attraverso l’analisi di alcune specifiche vertebre è possibile, infatti, stimare età e taglia dell’animale a cui appartenevano, con lo scopo di confrontare esemplari della stessa età vissuti in epoche diverse.

“Abbiamo scoperto che oggi i tonni crescono più rapidamente rispetto al passato”, racconta il professore. “Un tonno pescato nel Duemila è più grande di uno della stessa età pescato in epoca romana, bizantina, medievale o post medievale. Le cause possono essere diverse, ma studi condotti su altri stock ittici indicano che la pesca intensiva può esercitare una pressione selettiva, spingendo gli individui a maturare sessualmente prima e quindi a crescere più in fretta. Si tratterebbe, dunque, di un effetto dell’attività antropica, a cui potrebbe contribuire anche l’aumento delle temperature legato al cambiamento climatico”.

Ricostruire la storia demografica e genetica del tonno rosso serve a valutare con maggiore precisione l’impatto umano su questa specie e a ottenere indicazioni preziose nella progettazione di strategie di recupero efficaci, nel rispetto dell’Agenda 2030 dell’ONU, che vede tra i suoi obiettivi anche il  ripristino gli oceani.

Grazie all’istituzione di regolamentazioni internazionali, che hanno imposto dei limiti alla quantità di pesce che è possibile catturare nelle diverse aree geografiche, la popolazione del tonno rosso è tornata a crescere negli ultimi anni. “Questo studio conferma che l’introduzione di quote massime di pesca ha funzionato: lo stock si sta ricostituendo. Ma non per questo dovremmo aumentare le quote, come invece sta accadendo”, osserva Tinti. “A complicare ulteriormente il quadro c’è anche il problema della pesca illegale, che per anni ha raddoppiato il numero delle catture ufficiali. Sebbene oggi, almeno nelle acque settentrionali del Mediterraneo, i controlli siano più rigorosi, resta ancora difficile stimare con precisione la reale quantità di tonni pescati in tutto il bacino.

Il rischio non è quello di un crollo immediato, ma di un lento declino nel corso delle generazioni. I nostri risultati mostrano infatti che anche popolazioni animali molto numerose possono subire erosioni genetiche con conseguenze sul loro adattamento. Serve quindi una gestione più lungimirante, che consideri i prossimi 50 o 100 anni, per prevenire ulteriori perdite genetiche che ridurrebbero il potenziale evolutivo della specie”.

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