Nel 2023 circa un terzo dell’energia elettrica prodotta in Italia proveniva da fonti rinnovabili, circa due terzi da fonti fossili. Entro il 2030, per decarbonizzare il proprio sistema energetico in linea con gli impegni fissati dall’Europa, il nostro Paese dovrà almeno invertire questo rapporto: due terzi di rinnovabili, un terzo di combustibili fossili, per poi raggiungere le zero emissioni nette nel 2050.
Tra il 2010 e il 2012 c’è stato il grande boom delle rinnovabili in Italia: in un singolo anno, il 2011, sono stati installati ben 11 GigaWatt (GW). “Tuttavia come spesso accade in Italia, quando ci accorgiamo che stiamo spendendo troppo, stacchiamo la spina agli incentivi” spiega Davide Chiaroni, professore del dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano, che è intervenuto a una conferenza organizzata dal Centro Levi Cases dell’Università di Padova, venerdì 23 febbraio.
Dal 2013 al 2021 ha seguito quella che Chiaroni chiama la lunga traversata nel deserto: “non abbiamo mai superato 1 GW all’anno di nuove installazioni”. Negli ultimi 3 anni la crescita è ripartita, raddoppiando ogni anno: nel 2021 si è installato circa 1,5 GW, nel 2022 circa 3 GW, nel 2023 oltre 5 GW. “È tempo quindi di festeggiare? Direi proprio di no, per almeno tre ragioni” spiega Chiaroni, che è tra i curatori del Renewable Energy Report del team Energy & Strategy del Politecnico di Milano.
La prima è che siamo ancora lontani dall’obiettivo di 9-10 GW all’anno (7,2 di fotovoltaico e 2,8 di eolico), “il minimo indispensabile per stare nella traiettoria di decarbonizzazione”.
La seconda ha a che fare con il tipo di impianti: più della metà del fotovoltaico installato nell’ultimo anno è stato residenziale di piccola taglia (meno di 20 kW di potenza), favorito anche dai bonus edilizi che non saranno riconfermati per i prossimi anni. “Facciamo fatica a autorizzare e mettere a terra impianti di grandi dimensioni, maggiori di 1 MegaWatt (MW), senza i quali non si riesce a scalare”.
Un esempio eclatante riguarda il parco eolico offshore al porto di Taranto che ci ha messo 14 anni per diventare operativo. “Non abbiamo trovato ancora la ricetta giusta di autorizzazione e incentivazione degli impianti” e questo si vede soprattutto dal sistema di aste che assegna le installazioni degli impianti: solo circa il 20% va a buon fine.
La terza ragione di scontento è che nel frattempo l’Italia ha perso terreno dagli altri Paesi europei: “la Germania ha il doppio del nostro installato pro capite di fotovoltaico, ma anche la Spagna ci ha superato; la Francia ha due volte il nostro eolico pro-capite, la Spagna tre volte e la Germania quattro”.
Davide Chiaroni, Aula Nievo, Palazzo Bo, Padova
Rimane lontana anche la soluzione del cosiddetto trilemma energetico: garantire una riduzione delle emissioni a fronte di prezzi dell’energia sostenibili e fonti di approvvigionamento sicure. Queste tre dimensioni sono tenute insieme dall’indice Ispred, contenuto nell’analisi trimestrale del sistema energetico curata da Francesco Gracceva, ricercatore di ENEA, che ha presentato alcuni risultati al convegno.
In Italia dal 2021 al 2023 i consumi di energia sono calati del 5,6% mentre il Pil è cresciuto dell’1%. Nello stesso periodo sono calate anche le emissioni dell’8% e di circa il 30% rispetto al 1990. “Tale evoluzione, pur positiva, non sembra però avere i caratteri di un radicale cambiamento di traiettoria del sistema: in altri termini dipende da aspetti congiunturali e non strutturali” rileva Gracceva.
“Almeno la metà del calo dei consumi, e poco più della metà del calo delle emissioni, è legato a fattori come il clima eccezionalmente mite degli scorsi inverni, il crollo della produzione industriale dei settori energivori e il contenimento dei consumi per i prezzi record dell’energia, che hanno già avuto effetti traumatici sulla competitività di alcuni comparti industriali”.
Inoltre, seppur si registri un positivo disaccoppiamento tra consumi di energia, in calo, e Pil, in crescita (si parla quindi di intensità energetica in calo), non si riscontra un calo dell’intensità carbonica, ovvero della quantità di emissioni prodotte a fronte dell’energia consumata. “Negli ultimi 5 anni le emissioni sono calate a un tasso del 2,8%, ma per gli obiettivi del 2030 serve un calo del 6,1% all’anno” sottolinea Gracceva.
Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura (associazione di Confindustria che riunisce il 70% delle aziende del settore elettrico italiano), ha ribadito al convegno che accelerare la transizione energetica è la soluzione strutturale per aumentare la sicurezza e l'indipendenza del Paese e la competitività delle imprese, riducendo al contempo i costi dell'energia elettrica.
“Il Piano elettrico, elaborato da Elettricità Futura in coerenza con il REPowerEU, ha l'obiettivo di portare le rinnovabili all’84% del mix elettrico al 2030. In tal modo si ridurrebbero le emissioni del settore elettrico del 75% rispetto ai livelli del 1990. Per raggiungerlo occorrono 143 GW di impianti rinnovabili (oggi siamo a 66 GW) e 80 GWh di nuova capacità di accumulo di grande taglia entro il 2030. Siamo pronti a investire 320 miliardi di euro, creando oltre 500.000 nuovi posti di lavoro in Italia”.
Elettricità Futura si dichiara pronta a mantenere un ritmo di installazione di nuovi impianti rinnovabili di 12 GW l’anno. “Nel 2011 abbiamo fatti 11 GW e si montavano torri eoliche da 1 MW. Oggi se ne fanno da 6 MW. Con la metà dello sforzo del 2011 potremmo installare i GW che ci servono. Non è un problema dal punto di vista industriale né economico, se si garantisce che l’energia verrà venduta a un prezzo stabile per un po’ di anni. I quasi 6 GW realizzati nel 2023 e i 3 del 2022 sono buona notizia, ma in gran parte sono stati trainati dal superbonus, a debito dello stato italiano, visto che erano in gran parte residenziali. Bisognerà capire se senza superbonus si manterranno questi ritmi”.
Ci sono diversi pezzi del puzzle devono trovare il giusto incastro: “Servono le autorizzazioni soprattutto dei territori regionali, occorre migliorare la rete e le connessioni (anche qui servono gli obiettivi delle regioni). Oltre a elettrificare consumi (riscaldamento, trasporti), servono i sistemi di accumulo. Occorrono nuovi sistemi di aste, meno rigidi, e contratti come i PPA (Power Purchase Agreement)”, ovvero accordi che schermano produttori e acquirenti dalla volatilità dei prezzi.
“Serve un nuovo quadro normativo stabile per garantire condizioni espansive, soprattutto per impianti di taglia grande” ribadisce Davide Chiaroni “che certamente sono più impattanti su territorio e paesaggio, ma sono gli unici che ci permettono di crescere al tasso a cui dovremmo crescere”.
A tal riguardo Agostino Re Rebaudengo ricorda che “per realizzare 85 GW servono 70-80.000 ettari, che corrispondono allo 0,2% del territorio italiano, che è di 30 milioni di ettari. Se ci si limita al territorio che non ha vincoli, che è un terzo di quello italiano, avremmo bisogno solo dello 0,6% del territorio italiano disponibile”, senza contare che soluzioni come l’agrivoltaico consentono la convivenza di attività agricole e generazione elettrica.
Una maggiore produzione di energia a basse emissioni non reca beneficio solo al clima, nel medio e lungo periodo, ma anche alla salute umana nell’immediato. “In Italia muoiono ogni anno circa 60.000 persone per l’inquinamento dell’aria. Di incidenti stradali muoiono meno di 3200 persone l’anno” ricorda Re Rebaudengo. “Siamo molto attenti alla sicurezza stradale, con airbag e limiti di velocità. Dovremmo esserlo altrettanto con le morti da inquinamento”.