SOCIETÀ

Agrivoltaico: una possibile alleanza tra agricoltura e transizione energetica

Da alcuni mesi è in discussione in consiglio regionale del Veneto una proposta di legge che intende normare “la realizzazione di impianti fotovoltaici con moduli ubicati a terra” (progetto di legge n. 41, presentato per la prima volta il 25 marzo da Roberto Bet). Il tema è quello del cosiddetto agrivoltaico, a cui il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) ha dedicato 1,1 miliardi di euro da spendere entro il 2026.

La transizione energetica dovrà compiersi principalmente attraverso l’elettrificazione di tutti i settori: il riscaldamento degli edifici, i trasporti, l’industria, dove possibile. L’energia elettrica consumata dovrà essere quella generata da fonti rinnovabili, soprattutto eolico e fotovoltaico. Le stime fatte fin ora dicono che da qui al 2030, per raggiungere l’obiettivo europeo di ridurre del 55% le emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990 (pacchetto Fit for 55 del Green Deal Europeo), in Italia bisognerà istallare una potenza di circa 70 GW di rinnovabili. La fetta più grande spetterà al fotovoltaico, che dovrà passare dai 21 GW attuali istallati a uno scenario che va dai 50 ai 70 GW istallati al 2030. Significa procedere a un ritmo di almeno 4-5 GW da istallare ogni anno. Negli ultimi 5 anni almeno abbiamo però viaggiato ben al di sotto di 1 GW all’anno.

Occorre quindi aumentare la velocità. Per i siti di istallazione ci sono delle priorità: i tetti degli edifici, le aree dismesse (industriali o discariche) o i parcheggi. Queste però non basteranno: occorrerà anche utilizzare aree agrcole, da cui il termine agrivoltaico. Anche in questo caso sono state fatte stime di quanto suolo agricolo andrebbe destinato all’istallazione di impianti fotovoltaici: si tratterebbe di meno del 2% della superficie agricola italiana non utilizzata.

Una quantità tutto sommato ridotta, ma nonostante ciò l’agrivoltaico non ha messo d’accordo tutte le parti sociali coinvolte. Alcuni agricoltori e associazioni di categoria, come la Coldiretti, nei mesi scorsi hanno sollevato perplessità richiamandosi, tra le altre cose, alla questione del consumo di suolo, già elevato in regioni proprio come il Veneto, secondo solo alla Lombardia in questa triste classifica (12,5% del territorio veneto, 13% di quello lombardo): l’istallazione di impianti fotovoltaici su suolo agricolo andrebbe a peggiorare una situazione che vedrebbe i terreni agricoli e l’agricoltura in generale già troppo sacrificati. Lo stesso ministro per le politiche agricole Stefano Patuanelli ha più volte dichiarato di non voler aprire all’uso di suolo agricolo a fini energetici. A livello nazionale dunque è tutto fermo: non esiste una norma che delinei i criteri con cui procedere, quali aree privilegiare, quali standard rispettare. Ma il 2026 è più vicino di quanto non appaia e i fondi europei del PNRR non possono non venire spesi. Di qui la necessità di andare, come spesso accade in Italia, in ordine sparso, regione per regione.

Venerdì 22 ottobre, nella Sala Agricoltura della Corte Benedettina di Legnaro (Padova), il Centro Levi Cases (centro interdipartimentale dell’università di Padova per gli studi sulla tecnica e l’economia dell’energia) ha promosso un incontro tra le parti interessate per ascoltare le posizioni di tutti e per discutere di come migliorare la proposta di legge regionale che mira a normare il fotovoltaico a terra.

I decisori politici erano rappresentati da Marco Andreoli, Cristina Guarda e Francesca Zottis, tutti membri della terza commissione consiliare della regione Veneto che si occupa di energia e agricoltura. Lodovico Giustignani (presidente di Confagricoltura Veneto) e Carlo Salvan (vicepresidente di Coldiretti Veneto e presidente di Coldiretti Rovigo) hanno portato i punti di vista, diversi tra loro, degli agricoltori. Emiliano Pizzini (vicepresidente di Italia Solare, l’associazione di imprese che operano nel fotovoltaico) ha espresso il parere degli industriali. Ha condotto l’incontro Arturo Lorenzoni, professore di economia dell’energia l’università di Padova, nonché consigliere regionale del Veneto.

Nonostante punti di vista iniziali diversi, il confronto ha portato ad alcune importanti convergenze. La cautela verso l’agrivoltaico da parte di Carlo Salvan di Coldiretti era rivolta soprattutto nei confronti di grandi impianti che tendono a favorire i grandi attori e non i piccoli agricoltori. Il monito sembra essere stato recepito e condiviso sia dai rappresentanti politici sia da Pizzini degli industriali, che si dicono favorevoli a uno sviluppo capillare dell’agrivoltaico che favorisca le realtà locali. Per l’istallazione prima vanno identificate le aree dismesse e solo dopo si deve passare ai terreni agricoli.

Dopo i saluti iniziali del direttore del Centro Levi Cases Alberto Bertucco, sono stati ricordati i numeri degli obiettivi da raggiungere da Fabio Bignucolo, professore al dipartimento di ingegneria industriale dell’università di Padova. “Solo per raggiungere lo scenario più conservativo, ovvero i 50 GW di fotovoltaico al 2030, occorre istallare 260 milioni di pannelli fotovoltaici che corrispondono a 32 GW e occupano circa 260 milioni di km2, tre volte il comune di Padova, l’1 per 1000 della superficie italiana. Al 2030 mancano 8 anni, se ragionassimo sul più lungo termine ci sarebbero altre soluzioni, ma adesso dobbiamo affidarci alle soluzioni che sono disponibili oggi”. Il fotovoltaico secondo Bignucolo ha dalla sua una serie di vantaggi economici e di flessibilità che lo rendono la soluzione giusta: “Serve stabilità normativa, accorciare e garantire gli iter autorizzativi. Ma è una soluzione che non emette CO2 né rumori, né ha un impatto visivo come l’eolico. Oltre ad averne abbattuto i costi, dal 2010 a oggi abbiamo dimezzato l’occupazione del suolo a parità di potenza”.

Che l’istallazione di fotovoltaico su suolo agricolo sia una soluzione percorribile lo ha testimoniato anche Maurizio La Rovere, portando la testimonianza di Falck Renewables, una società con un’esperienza consolidata nell’agrivoltaico che opera in 40 Paesi. “L’agrivoltaico è la naturale evoluzione del fotovoltaico a terra” ha detto La Rovere, citando il rapporto francese di Solar Power Europe Agrisolar: “se si destinasse l’1% della superficie agricola europea alla generazione di energia elettrica tramite fotovoltaico si raggiungerebbero 900GW in Europa. Il potenziale è enorme e il conflitto quasi non esiste”. Gli allevamenti ovini sono un tipico esempio di sinergia, molto diffuso in Francia. Oltre all’allevamento diverse coltivazioni si prestano all’agrivoltaico: “vi cito alcuni casi studio in Francia: 2MW installati su tettoie (strutture rialzate) che ospitano piante da frutto (albicocche) dove si è osservato risparmio di acqua per irrigazione del 70%. Con un impianto più piccolo da 100kw su un vigneto, si è osservato l’aumento produzione del 20%, ma era il primo anno e non fa statistica. In Cina, nel deserto del Gobi, in un mega impianto da 700MW, il Binhe New Discrict, si producono lamponi e bacche: si tratta di aree desertiche recuperate con l’ombra prodotta dai pannelli. Ci sono moltissime altre applicazioni: funghi, pollame, colture a scopo vivaistico, frutta, verdura, piante officinali. In India ci sono molti esempi con colture a scopo alimentare, ortaggi e verdura, oche, funghi in serre oscurate”.

Almeno dal 2014 in Europa e nel mondo sono state prodotte diverse pubblicazioni che contengono linee guida per l’agrivoltaico. “In Francia c’è anche un sistema di certificazione. Esiste una cornice regolamentativa consolidata ormai. Nessuna di queste pubblicazioni però è italiana” commenta La Rovere, che nonostante ciò con Falck Renwables ha progetti avviati anche in Italia, soprattutto nel Sud: “abbiamo il cosiddetto oliveto integrato, fatto di olivi nani, nel foggiano e in Basilicata. A Scicli, a Ragusa in Sicilia, abbiamo 20 ettari con 10 MW, con piante officinali e apicoltura”. Per lavorare in Italia Falck Renewables si rifa allo standard regolamentativo tedesco (il DIN SPEC 91434), che prevede tre tipi di strutture (una elevata su serre non chiuse e due a terra) e 12 criteri da rispettare. “In Italia ci sono superfici agricole molto frammentate e diverse tra loro, serve una progettazione dedicata di volta in volta”.

Ma soprattutto servirebbe una cornice normativa entro cui operare, mentre invece “in Italia manca convergenza di interessi tra attori, associazioni di categoria, associazioni ambientaliste, istituzioni e politica. Servono regole, criteri condivisi e certificabili. Serve un sistema di incentivi, almeno all’inizio. Spesso invece si procede in ordine sparso, anche opportunistico, a volte c’è addirittura un rischio di greenwashing: si usano progetti verdi solo per avere autorizzazioni” commenta La Rovere. “Oggi assistiamo su territorio nazionale a una paralisi delle autorizzazioni, perché sono arrivate molte domande di istallazione di FV a terra, gli enti che devono rilasciare le autorizzazioni sentono questa pressione, ma non rilasciano le autorizzazioni in assenza di norme chiare”.

In questo contesto, l’iniziativa di far sedere a un tavolo comune le parti sociali per discutere di come uscire dall’impasse, per lo meno a livello regionale, appare dunque virtuosa. “La tavola rotonda serve a mettere a confronto questi diversi attori” ha ricordato Arturo Lorenzoni. “Alla politica il compito di fare la sintesi, perché il Veneto diventi attrattore di investimenti per un’economia che può portare valore al territorio, nel rispetto del territorio stesso. A livello nazionale 40GW equivalgono circa a 40 miliardi di investimento, che vanno divisi tra diversi attori: bisogna renderli una leva di sviluppo per il territorio”.

“In Veneto c’è uno dei deficit energetici tra i più importanti in Italia, cioè dipende molto dalle importazioni, e un prezzo del gas alto mette in difficoltà” ha dett Emiliano Pizzini, vicepresidente Italia Solare. “Dei 70 GW di rinnovabili al 2030, dai 3 ai 5 GW dovrebbero essere fatti in Veneto, che pesa per 10% sulla produzione di energia elettrica da rinnovabili. Molte imprese oggi soffrono il caro energia, gioverebbe molto l’autoproduzione. Il punto di partenza sono gli impianti a tetto: su abitazioni, industrie, uffici, parcheggi, comunità energetiche. Questo però non basta. Abbiamo però target, non dobbiamo mettere pannelli ovunque. Partiamo dai tetti e andiamo a scendere, ma senza precluderci niente”.

La prospettiva delineata da Pizzini trova sostanzialmente d’accordo il presidente di Confagricoltura Veneto Lodovico Giustiniani: “L’Emilia Romagna ha deciso che le aziende agricole possono dedicare solo il 10% dei loro terreni a questi impianti, forse troppo poco”.

Molto più cauto è invece il vicepresidente di Coldiretti Veneto, e presidente di Coldiretti Rovigo, Carlo Salvan: “È quando si chiedono impianti che occupano 50 o 60 ettari, come quello alle porte del Delta del Po, in un contesto ambientale prezioso, che bisogna alzare l’attenzione su questo tema. Tutti vogliamo le rinnovabili, sia ben chiaro. Noi le stiamo già facendo. Non siamo però convinti che le modalità con cui oggi vengono trattati questi impianti rispondano a giuste esigenze ma nascondano invece forti speculazioni o fenomeni di greenwashing che potrebbero essere preoccupanti. Quando sono le multinazionali in particolare degli idrocarburi, a chiedere questi impianti (in uno del Polesine c’è la Shell), consentitemi di essere attento a cosa entra nel mio territorio. Inoltre non bisogna fare improvvisazioni, non tutte le colture si possono integrare a questi impianti. Abbiamo bisogno di energia elettrica pulita ma anche di tanto cibo. A livello mondiale la popolazione crescerà e il nostro territorio ha un territorio agricolo limitato (la Francia ne ha il doppio) e quello che abbiamo dobbiamo trattarlo con cura. Alcune nostre aziende agricole avvicinate da grandi attori per la realizzazione di questi impianti si sono sentite dire che avrebbero potuto campare di rendita con l’energia prodotta e smettere di produrre beni agricoli. Vogliamo evitare speculazioni. C’è l’aspetto paesaggistico, quello ambientale, e quello turistico che vanno tutelati. Cosa possiamo coltivare e cosa no? Ci sarà un calo produttivo? I dubbi sono molti ma riteniamo che l’agricoltura possa essere protagonista, i benefici non devono essere solo per i grandi proprietari, perché chi fa agricoltura e affitta i terreni a volte si sente dire ‘devi restituirmi il terreno perché dobbiamo fare l’impianto fotovoltaico’. La politica deve essere determinante a dare regole a beneficio di tutti. Adesso parliamo di un obiettivo al 2030, ma al 2050 parleremo di obiettivi ancora più ampi (che vanno dai 210 ai 270 GW, è stato detto durante l’incontro, ndr). Dovremmo stabilire da subito le regole. Ho citato casi negativi ma ci sono anche casi positivi di bonifiche di aree dismesse e recuperate da destinare al fotovoltaico. Partiamo da queste, poi arriviamo agli agricoltori”.

“È responsabilità della politica affrontare un tema divisivo, e l’obiettivo è non creare opposizioni” sostiene Cristina Guarda, della terza commissione consiliare della Regione Veneto. “In Italia non c’è una chiara pianificazione, la situazione è in mano alle singole iniziative imprenditoriali. Io stessa ho 3 ettari, il prezzo del mio prodotto sta calando e voglio diventare una prosumer (termine che unisce producer, produttore, e consumer, consumatore, ndr). Sono promotrice di un agrivoltaico capace di rispettare lo spirito imprenditoriale e che abbia una progettazione di medio lungo termine. Non va bene che siano solo i privati a decidere dove intervenire al posto della politica, lo dico malgrado io faccia parte della categoria. In Veneto ci sono ci sono aree inutilizzate, investiamo prima in quei territori, poi diciamo di quanti terreni agricoli c’è bisogno e facciamo un piano”.

“Bisogna mettere dei paletti, non dare semaforo verde a chiunque” le fa eco Marco Andreoli, presidente della terza commissione consiliare “C’è una proposta di legge, un’idea di partenza a cui si può lavorare. Alcune aree come quelle Unesco, Docg e altre non sono idonee a questi impianti”. Del resto, ricorda Pizzini, “una norma del 2013 in Veneto dice già che non si può fare fotovoltaico in aree Doc, Dop, della Rete 2000. Nessuno vuole togliere terreno a prosecco o all’olio d’oliva. Non serve reiterarlo qui”.

Il monito lanciato da Salvan di Coldiretti sembra essere stato recepito: “Occorre favorire la capillarità e non i grandi attori che prediligono impianti molto grandi, come quelli di Rovigo, che si fanno notare” sottolinea Andreoli. “Il mondo dell’energia e quello dell’agricoltura non sono due universi paralleli, ma anzi probabilmente iniziano a dire le stesse cose in lingue diverse. Oggi fare l’agricoltore è difficile e il fotovoltaico può dare un vantaggio. Impianti mega galattici si possono fare in Arabia Saudita o Algeria, mi piace di più l’idea che siano i nostri agricoltori a trarne vantaggio”. Riguardo alla questione del consumo di suolo è stato ricordato che dei 30.000 ettari persi in Veneto negli ultimi anni tra i 600 e i 700 ettari sono stati destinati al fotovoltaico. “Ora si parla di 5000 ettari in tutto, non grandi dimensioni, non è un’aggressione violenta contro i terreni agricoli. Bisogna lavorare su più fronti, anche il superbonus può aiutare”.

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