
Tra fine giugno e inizio luglio l’Europa è stata investita da un’ondata di calore che già si annuncia tra tra le più violente mai registrate. Secondo il sistema di osservazione Copernicus quello europeo sarà uno dei 5 mesi di giugno più caldi di sempre. Nel sud della Spagna sono stati raggiunti i 46°C a Huelva, mentre la temperatura del Mar Mediterraneo è risultata anche di 5°C più alta rispetto alla media stagionale.
Anche il mondiale per club negli Stati Uniti, dove si affrontano le migliori squadre di calcio, ha dovuto far i conti con numerose interruzioni delle partite per allerta meteo: Chelsea – Benfica è stata interrotta per più di due ore, a 5 minuti dal termine, per rischio fulmini. L’intera competizione si sta svolgendo con temperature proibitive per gli atleti. C’è chi propone di allungare le pause per l’idratazione, ormai rese obbligatorie. In alcuni casi le riserve, invece di stare ferme in panchina sotto il sole, hanno preferito guardare giocare i propri compagni dagli spogliatoi, più freschi.
Sono stati superati i 45°C anche a Nuova Dheli, la capitale dell’India, Paese in cui la possibilità di difendersi con l’aria condizionata è limitata.
Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato da quando si effettuano i monitoraggi: per la prima volta la temperatura media globale è rimasta al di sopra della soglia critica individuata dai climatologi, 1,5°C. Il decennio in corso è decisivo per il contrasto al cambiamento climatico: da quanto riusciremo a fare entro il 2030 dipende l’efficacia delle future azioni di mitigazione e adattamento che andranno messe in campo negli anni a venire.
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A inizio di questo decennio cruciale è uscito il sesto rapporto di valutazione dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), che mostrava come i comportamenti e gli impegni attuali conducono a un sostanziale mantenimento del livello di emissioni di gas serra, che lungi dallo stabilizzare la temperatura del pianeta comporta invece un suo innalzamento fino a quasi 3°C in più rispetto all’era pre-industriale, ben oltre ciò che consente la preservazione degli ecosistemi e la vivibilità delle società umane.
La pubblicazione del prossimo rapporto è attesa attorno al 2030, quando sarà già tempo di bilanci, che stando così le cose rischiano però di essere impietosi. In attesa del settimo rapporto di valutazione, un gruppo di una sessantina di scienziati, tra cui vi sono diversi autori IPCC, da tre anni ha deciso di pubblicare un aggiornamento dei principali indicatori del cambiamento climatico, che è una sorta di mini-rapporto IPCC e ha il vantaggio di essere lungo come un paper scientifico invece che centinaia di pagine.
Qualche giorno fa sono state pubblicate le analisi dei dati aggiornati al 2024, che da un lato confermano aspetti preoccupanti che già conoscevamo, dall’altro ne fanno emergere di nuovi, non meno allarmanti.
Il riscaldamento globale accelera
Un primo dato nuovo è che il decennio 2015 – 2024 è stato complessivamente più caldo di 0,31°C rispetto a quello precedente (2005 – 2014). Alcuni fattori naturali, come l’alternanza tra le oscillazioni climatiche del Pacifico (El Niño e La Niña) hanno esacerbato questo aumento, la cui principale componente è però di matrice antropica. Per la precisione il riscaldamento indotto dall’umanità nell’ultimo decennio può essere quantificato in +0,27°C, un valore nettamente superiore a quello che ha caratterizzato i decenni precedenti, dal 1970 al 2010, quando la media si assestava a +0,2°C per decennio.
Detto in altri termini, invece di diminuire per effetto delle azioni di mitigazione che dovremmo implementare (ma che invece non stiamo mettendo in atto in maniera efficace), la velocità del riscaldamento globale sta accelerando. Lo sta facendo però in maniera non inattesa: i modelli climatici (ancora validi) prevedevano già che questo sarebbe accaduto, anche se le cause specifiche non sempre sono individuate nel dettaglio.
È noto ad esempio che l’incremento della temperatura fonde i ghiacci, che diminuiscono quindi la loro capacità di riflettere i raggi solari: aumenta quindi il calore assorbito dalla Terra.
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Non è invece del tutto chiaro quanto incidano altri fattori, come i cosiddetti aerosol, un’ampia classe di particelle atmosferiche che contribuiscono sia a riflettere direttamente la luce solare sia a formare nuvole che schermano la superficie terrestre.
Alcune di queste particelle, come gli ossidi di zolfo, sono altamente inquinanti e per questo le loro emissioni sono state regolate e drasticamente ridotte grazie a un accordo che ne limita la produzione ad esempio nel trasporto marittimo: il regolamento della International Maritime Organization è entrato in vigore nel 2021 e ha avuto una notevole efficacia.
Paradossalmente però, la lotta a questo tipo di inquinamento potrebbe presentare un costo in termini di aggravamento del riscaldamento globale. Gli scienziati ipotizzano che questo sia possibile, ma il dibattito è ancora aperto.
Il forzante radiativo
Come è noto l’anidride carbonica e altri gas serra hanno la caratteristica, connaturata alla propria conformazione chimica e fisica, di assorbire calore. Una loro maggiore concentrazione in atmosfera fa quindi aumentare la temperatura del sistema climatico.
Questa capacità di assorbire calore impatta su quello che in gergo climatico viene chiamato forzante radiativo, un valore espresso in Watt per metro quadro (W/m2). Dall’inizio dell’era industriale, il forzante radiativo dei vari gas serra presenti in atmosfera (oltre la CO2, ci sono ad esempio il metano e gli ossidi di azoto) è aumentato di ben 3,54 W/m2, proprio perché la concentrazione di questi gas è salita nel tempo.
Tuttavia, come dicevamo, alcune particelle atmosferiche come gli aerosol contribuiscono a riflette le radiazioni che raggiungono la Terra: il loro forzante radiativo è infatti negativo, -1,07 W/m2.
Sommando (e sottraendo) tutti i fattori che interagiscono, lo studio riporta che la componente antropogenica del forzante radiativo complessivo della Terra nel 2024 era di +2,97 W/m2 (sempre rispetto ai livelli preindustriali, che vengono usati come base di confronto di quasi tutte le misurazioni climatiche). Si tratta di un aumento considerevole solo rispetto al 2019, quando la misurazione si assestava a +2,72, ma anche rispetto al 2023, quando era +2,79 W/m2.
Lo sbilanciamento energetico
Tutto ciò si riscontra anche nelle misure della quantità di energia che la Terra è in grado di assorbire. L’Earth Energy imbalance (EEI) fornisce una misura del surplus energetico (o calore) nel sistema climatico ed è un indicatore essenziale del riscaldamento globale, presente e futuro. Viene calcolato come differenza tra il forzante radiativo dei fattori (principalmente i gas serra) che contribuiscono ad alterare il sistema climatico e la capacità complessiva della Terra di riflettere le radiazioni che la raggiungono.
“In condizioni climatiche stabili, cioè in assenza di forzanti climatici antropogenici, questa differenza risulterebbe bilanciata nel corso del tempo” scrivono gli autori dello studio. “Almeno dagli anni ‘70 c’è stato un persistente sbilanciamento nei flussi di energia che hanno portato a un eccesso di energia assorbita dal sistema climatico”.
La maggioranza, circa il 90%, di questo calore in eccesso viene assorbito dagli oceani, con conseguenze quali l’aumento del livello dei mari, il riscaldamento delle acque marine, la perdita di ghiacci, l’aumento di vapore acqueo in atmosfera, cambiamenti nelle correnti oceaniche, scioglimento del permafrost, riscaldamento dei continenti e e dell’atmosfera.
Il sesto rapporto dell’IPCC aveva già rilevato che l’EEI, ovvero una misura dell’eccesso di energia che il sistema climatico non riesce spontaneamente a smaltire, era 0.50 W/m2 negli ultimi decenni del XX secolo, e che era salito 0,79 W/m2 nei primi due decenni del XXI secolo. Ora, il nuovo studio ha trovato che dal 2012 al 2024 il valore dell’EEI è ulteriormente salito a 0,99 W/m2. Tra le cause di questo aumentato sbilanciamento gli autori menzionano non solo l’aumento delle concentrazioni di gas serra, ma anche la riduzione degli aerosol atmosferici.
Aumenta il livello del mare
Rispetto all’ultimo rapporto IPCC, che si fermava ai dati del 2018, il nuovo studio aggiorna anche la crescita del livello del mare: dal 2019 al 2024 è salito di altri 26 mm, sia per effetto dello scioglimento dei ghiacci, ma soprattutto come conseguenza del fenomeno di espansione termica delle acque che si riscaldano. Da inizio ‘900, il livello medio del mare è aumentato di 228 mm, tenendo una media di 1,85 mm all’anno. Anche questo tasso sta però accelerando nel tempo: dagli anni ‘90, il mare è salito di quasi 3,5 mm l’anno, dagli anni 2000 di quasi 4 mm l’anno. Anche questa accelerazione, per quanto preoccupante, era attesa dai modelli climatici.
Il carbon budget rimanente
Gli autori dell’aggiornamento degli indicatori climatici calcolano anche quanti gas serra possiamo permetterci ancora di produrre prima di superare definitivamente le soglie critiche di temperatura globale. Per avere il 50% di probabilità di rimanere entro 1,5°C possiamo giocarci un carbon budget di 130 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2 equivalente. Contando che nell’ultimo decennio abbiamo prodotto una media di circa 53 Gt CO2 eq l’anno, continuando così nel giro di tre anni diremo addio all’obiettivo del grado e mezzo.
Abbiamo invece il 50% di probabilità di restare oltre la soglia di 2°C di riscaldamento se produrremo meno di 1050 Gt CO2 eq. Di nuovo, mantenendo una produzione annua di circa 50 Gt di emissioni, ci metteremmo poco più di 20 anni a bruciarci anche il secondo e più lasco obiettivo dell’accordo di Parigi.
È evidente che è prioritario abbassare le emissioni di gas serra, se vogliamo guadagnare tempo nel conto alla rovescia, finito il quale inizia un mondo molto meno vivibile di quello attuale.