SOCIETÀ

Le scorciatoie della tecnologia non cambiano in meglio l'umanità

Autocritica, un concetto che suona antico, legato a riti politici novecenteschi. Ora invece sta tornando prepotentemente di moda, riemerge nelle parole e (forse) nei pensieri dei padroni dell’industria mondiale più innovativa, avanzata e redditizia: quella “connessa” ai giganti della tecnologia. L’ultima voce che si è levata in questo senso è quella di Tim Cook, il capo supremo della Apple, che a San Francisco ha fatto un’affermazione che sulle sue labbra suona straordinaria: “È diventato chiaro che alcuni di noi spendono troppo tempo sui dispositivi mobili (iPhone). Onestamente non abbiamo mai voluto che le persone esagerassero con l’utilizzo dei nostri prodotti. Per noi era importante fossero arricchite, ma così sprecano il loro tempo sugli smartphone”. Non è la prima volta che Cook riflette in pubblico sulla propria attività e non è nemmeno il primo a farlo. Un campione di autocritiche (fini a se stesse e tese a “chiedere clemenza”) è pure il gran capo di Facebook Mark Zuckerberg che negli scorsi mesi ha detto: “Eravamo nati per migliorare il mondo, c’è invece chi ci usa per peggiorarlo”.

Sono solo due esempi. In verità ne potremmo trovare molti altri. Ma la vera domanda è: come dobbiamo interpretare queste considerazioni, queste riflessioni autocritiche? La prima risposta è intuitiva: come un’autodifesa un po’ ipocrita. Noi cittadini del mondo globale con Apple, Facebook, Google, Amazon abbiamo acquisito in pochi anni una familiarità assoluta, ci aiutano a risolvere molti problemi, ci paiono smart, fanno parte della nostra vita. E tendiamo a dimenticare che dietro gli strumenti che usiamo ci sono società che dominano il mercato e la borsa di Wall street, fanno profitti pazzeschi, monopolizzano la raccolta pubblicitaria. Cercate i numeri di Apple? L’ultima trimestrale parlava di ricavi per 61 miliardi di dollari, in crescita del 16%, con un utile di 13,8 miliardi. Quindi la prima cosa che potremmo dire a Tim Cook: sei un ipocrita un po’ furbacchione, metti le mani avanti, hai in mano un gigante che vuole fare sempre più quattrini, ci racconti frottole e sei contraddittorio perché il fine intrinseco della tua azienda è vendere sempre di più.

Tutto vero, ma ci accontenta? L’impressione è che nel caso di Tim Cook ci sia qualcosa in più. In concreto dovremmo tentare di riflettere sul fatto che negli ultimi 12 anni ( dal 2006) c’è stata una vera e propria rivoluzione tecnologica comunicativa legata alle connessioni mobili. Tutto è andato a “velocità supersonica”, è avvenuto senza che le nostre menti si rendessero conto dei cambiamenti in atto. Eric Teller che ha lavorato al centro ricerche di Google (lo chiamano Astro Teller ed è nipote del padre della bomba all’idrogeno americana ) negli scorsi anni ha disegnato un grafico che dimostra come la mente umana non sia oggi più in grado di seguire la velocità con cui progredisce la tecnologia. Il tema è affascinante e inquietante allo stesso tempo. Quello che potrebbe volerci dire Cook è che neanche lui aveva misurato e compreso le conseguenze delle proprie azioni, di quello che stava facendo e vendendo. Senza farci trascinare in scenari da incubo, pensando magari all’Intelligenza artificiale, il punto di fondo è che affidare alle macchine il nostro futuro è proprio un’enorme sciocchezza. In un recente articolo di Alessandro Baricco su Repubblica ho trovato una considerazione messa in bocca a quello che lo scrittore definisce uno dei profeti della Silicon Valley, Stewart Brand: “Puoi cercare di cambiare la testa alla gente, ma perderai solo il tuo tempo. Quello che puoi fare è cambiare gli strumenti che usa. Fallo e cambierai la civiltà”. Ecco il punto è proprio questo, l’errore è qui: nel credere che le scorciatoie promesse dalla tecnica possano in sé cambiare in meglio l’umanità. E su questo che dovremmo riflettere noi tutti, non solo Tim Cook. Ma non abbiamo il tempo per farlo: dobbiamo correre sullo smartphone a leggere i messaggi chat che stanno arrivando, a vedere gli ultimi selfie degli amici. Auguri.

Roberto Reale

ROBERTO REALE

Giornalista e scrittore, laureato in Scienze Politiche con una tesi sul Corriere della Sera, entra in Rai come vincitore di concorso nel 1979. Caporedattore alla Rai del Veneto, è successivamente vicedirettore della Testata Giornalistica Regionale, del Tg3 e di Rainews 24. Qui cura “Scenari l’Inchiesta Web”, settimanale di approfondimento sull’attualità che, per la prima volta in Italia, propone in televisione un lavoro di indagine giornalistica che sfrutta come fonte di inchiesta documenti e materiali presenti in Rete e negli archivi Web. Si occupa di comunicazione e dell’evoluzione dei media , degli effetti concreti che nuovi strumenti e tecnologie hanno sulla società con particolare attenzione ai temi legati a cittadinanza e democrazia. Oggi è docente a contratto all'Università di Padova nel Corso di Laurea Magistrale in Strategie di Comunicazione dove insegna Radio Televisione e Multimedialità

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