SCIENZA E RICERCA

Déjà-vu: quando le emozioni ingannano

Un volto, un profumo, una canzone e la sensazione di aver già vissuto quel momento. Lo chiamano déjà-vu e si manifesta nell’80-85% della popolazione. In molti finora, soprattutto psicologi e neuropsicologi, avevano tentato di trovare una spiegazione, tuttavia senza giungere a risultati definitivi e condivisi. Ora un gruppo di neurologi è riuscito a individuare per la prima volta le basi anatomo-fisiologiche all’origine del fenomeno. Attraverso sistemi di imaging tra cui risonanza magnetica, gli scienziati hanno dimostrato infatti che il déjà-vu è una “memoria falsa” in chi soffre di epilessia e invece un “inganno emotivo” nelle persone sane e che interessa, nei due casi, aree cerebrali differenti.

Lo studio è apparso recentemente su Cortex, la rivista scientifica in cui nel 2012 scrivevano sullo stesso argomento anche Bràdzil e il suo gruppo di ricerca. “L’indagine di Bràdzil, la prima condotta con risonanza magnetica, mi ha incuriosito in modo particolare – sottolinea Angelo Labate dell’istituto di Bioimmagini e fisiologia molecolare del Cnr e coordinatore della ricerca pubblicata poco tempo fa – I ricercatori sostenevano infatti che nei soggetti sani il circuito cerebrale coinvolto nella genesi del déjà-vu era costituito dalle strutture temporali, in particolare l’ippocampo, e anche il talamo: la stessa area cerebrale coinvolta nella genesi dell’epilessia del lobo temporale”. Il docente spiega infatti che, oltre a essere un fenomeno comune negli individui sani, il déjà-vu è anche un sintomo che si manifesta nelle crisi epilettiche parziali semplici ed è dovuto alle scariche elettriche anomale delle cellule nervose.

Fino a questo momento, osserva Labate, lo studio del fenomeno è stato condotto solo per mezzo di interviste, spesso telefoniche. Gli individui reclutati non sono mai stati sottoposti a esami neurologici e tantomeno a un’anamnesi che potesse escludere nei soggetti sani una possibile diagnosi di epilessia. Il 10-15% delle persone che vivono esperienze di déjà-vu, infatti, potrebbero in realtà soffrire della patologia senza saperlo. “La sera stessa in cui lessi l’articolo scrissi una lettera all’editore della rivista chiedendo se questi aspetti fossero stati considerati”. Bràdzil rispose di non poter escludere, effettivamente,  che tra i soggetti apparentemente sani che avevano preso parte allo studio potessero esservi anche degli epilettici. A quel punto Labate e il suo gruppo, in collaborazione con la clinica neurologica dell’università “Magna Graecia” diretta da Aldo Quattrone, dette inizio a una nuova indagine allo scopo di individuare se esistesse una base anatomo-fisiologica comune nella genesi del fenomeno tra i soggetti sani e malati.   

Furono reclutate 63 persone che soffrivano di epilessia e 39 individui sani ed entrambi i gruppi furono divisi tra chi aveva esperienze di déjà-vu  e chi non ne aveva. Tutti, sani e malati, furono sottoposti a un esame elettroencefalografico, all’anamnesi di un epilettologo e a test neuropsicologici per escludere altre patologie. Per definire la presenza di déjà-vu e le sue caratteristiche venne utilizzato un test ideato da Sno nel 1994 (inventory for déjà-vu experiences assessment), l’unico esistente in letteratura per determinare il tipo di déjà-vu. Seguirono, infine, esami di risonanza magnetica tradizionale e avanzata, volta cioè a esaminare i volumi delle aree cerebrali (voxel based morphometry).

Risultato: nelle persone che soffrono di epilessia il circuito coinvolto nella genesi del déjà-vu è quello della corteccia visiva e delle aree temporali in particolare l’ippocampo, cioè delle aree cerebrali deputate al riconoscimento visivo e alla memorizzazione a lungo termine. La scarica epilettica determina il déjà-vu e, di conseguenza, un ricordo che si ritiene essere reale in realtà è falso.

Diversamente, negli individui sani a essere interessata è l’insula e dunque l’area delle emozioni che presenta un’alterazione volumetrica in coloro che vivono esperienze di déjà-vu. “Può accadere – precisa il docente – che in determinate situazioni vengano immagazzinate a livello incosciente emozioni suscitate da un profumo, un colore, un movimento. Quando, a distanza di tempo, percepiamo quello stesso odore o vediamo quello stesso colore torna a galla l’emozione provata in precedenza, e archiviata ‘sottocoscienza’, con l’impressione di aver già vissuto quel momento”.  

Lo studio pubblicato su Cortex è il primo a essere stato condotto da neurologi con analisi strumentali e, soprattutto, a confrontare persone con epilessia con persone sane. Se l’indagine di morfometria avanzata può dirsi conclusa, il gruppo sta ora cercando di mettere a punto un test di risonanza funzionale in grado di distinguere, da solo, gli individui con e senza esperienze di déjà-vu.

Monica Panetto

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