SOCIETÀ
Europa, la minaccia dell'estrema destra
Roetha vicino Leipzig, 14 novembre 3013. Manifestanti di estrema destra protestano contro il progetto di un centro per rifugiati. Foto: Reuters/Thomas Peter
Vecchia minaccia, nuovo approccio è il sintetico titolo del rapporto elaborato da dieci Paesi europei (Svezia, Regno Unito, Paesi Bassi, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Germania, Polonia, Ungheria, Slovacchia) e varato ufficialmente a metà febbraio a Stoccolma. La “vecchia minaccia”, in effetti, la conosciamo bene perché ha segnato la storia del XX secolo nel nostro continente, e non solo: si tratta infatti di quei movimenti di estrema destra che, soprattutto negli ultimi anni, sono spesso sfuggiti ai radar dei media e che poi rischiano di erompere in modo tragico e deflagrante come è avvenuto nel 2011 con gli attentati di Anders Behring Breivik in Norvegia.
Proprio la sistematica sottovalutazione del fenomeno è stata del resto al centro dell'incontro di Stoccolma: se sull'ascesa di Alba Dorata in Grecia molto si è scritto e detto (con quale efficacia è poi da vedere), non molti sanno, per esempio, che in Germania ci sarebbero attualmente oltre 20.000 estremisti di destra, la metà dei quali – secondo gli investigatori tedeschi – potenzialmente violenti. Non a caso il mese scorso Cecilia Malmström, commissario europeo per gli affari interni, ha affermato pubblicamente che oggi la minaccia più grossa per l'Unione europea è rappresentata proprio dalla destra estremista. Per questo, nel corso dei laboratori che hanno accompagnato la riunione svedese, si è molto insistito su una mappatura più approfondita del fenomeno, che consenta di mettere a punto misure preventive e metodi di intervento coordinati. E il rapporto siglato a Stoccolma, prima fase di un programma che include, entro la fine dell'anno una sorta di “manuale pratico” e una strategia comunicativa studiata per la rete, indica già alcuni punti che i governi europei dovrebbero affrontare al più presto.
In primo luogo si auspica una legislazione che da un lato riconosca a chi è stato oggetto di aggressione da parte di estremisti di destra lo status di vittima di un “crimine d'odio” (hate crime), dall'altro inasprisca le pene per questi reati. L'Unione europea potrebbe qui avere un ruolo importante, fornendo parametri chiari e condivisi per l'elaborazione di nuove leggi.
Un altro punto su cui i rappresentanti dei dieci Paesi riuniti a Stoccolma pensano che sia necessario investire risorse adeguate è la messa a punto di programmi che consentano agli estremisti di destra, spesso invischiati in profondità all'interno dei movimenti, di uscirne e di ricominciare una vita al riparo da pericolose “ricadute”. Esperimenti di questo tipo sono già stati avviati con successo in Svezia e in Germania, ma dovrebbero essere estesi anche ad altri Paesi come il Regno Unito, dove un grande dibattito ha seguito il processo al giovane neonazista ucraino Pavlo Lapshyn, condannato a 40 anni di carcere per avere cercato di innescare un conflitto razziale nella regione di Birmingham, ma dove poche misure concrete sono state finora prese in proposito.
Infine, il rapporto sottolinea la necessità di limitare e contrastare l'impatto che le manifestazioni di estrema destra possono avere sulle comunità locali, un impatto – si potrebbe aggiungere – particolarmente incisivo in un momento di grande fragilità sociale qual è quello determinato dalla attuale situazione economica. Nel documento si parla dunque di “mettere in atto deterrenti dotati di attrattive tali da tenere lontani i giovani dai movimenti di estrema destra” e di “individuare finanziamenti a lungo termine che rendano sostenibili ed efficaci le azioni di contrasto all'estremismo di destra”, ma mancano esempi di interventi concreti che possano controbilanciare l'influenza esercitata da una propaganda di rabbia e di rivendicazione su giovani che sentono di essere stati toccati nei loro diritti fondamentali.
L'unico esempio citato (un esperimento condotto – pare con risultati positivi – in Norvegia, dove i ragazzi a rischio sono stati introdotti alla pratica dello snowboarding) appare quantomeno limitato rispetto alla portata potenziale di un fenomeno che non si può non connettere alla crisi economica mondiale e alle grandi migrazioni legate alla globalizzazione. Né il rapporto chiarisce perché alla sua elaborazione non abbiano preso parte Paesi come la Grecia, la Francia o la stessa Italia, dove l'estremismo di destra si è rivelato negli ultimi anni attivo e influente. Punti deboli che dovranno essere affrontati, se effettivamente si vuole rispondere in modo efficace a un pericolo che insidia l'Europa.
Maria Teresa Carbone