CULTURA

Se il folklore diventa strumento di potere

Il folklore non è solo un insieme di canti, leggende o tradizioni tramandate oralmente: spesso è il terreno su cui le identità collettive mettono radici. Cosa succede però quando queste vengono manipolate per fini politici? Nel libro Nazione, nazionalismo e folklore. Italia e Germania dall'Ottocento a oggi (Il Mulino editore, 2024, collana Studi e Ricerche) Stefano Cavazza, docente di storia contemporanea presso l’università di Bologna, indaga il complesso rapporto tra cultura popolare e nazionalismo, mostrando come dal Risorgimento italiano al Reich tedesco le tradizioni siano state spesso utilizzate – talvolta riplasmate – per servire narrazioni nazionaliste o addirittura totalitarie.

L’interesse per le tradizioni popolari cresce parallelamente all’affermarsi degli Stati-nazione, con il tentativo da parte di élites intellettuali e politiche di definire elementi di continuità e contiguità tra diversi gruppi e popolazioni. Nelle sue manifestazioni più comuni come fiabe, canti e feste popolari, il folklore (termine coniato dall’archeologo inglese William Thoms nel 1846) diventa così simbolo di autenticità e purezza, spesso idealizzato per rafforzare narrazioni rispondenti alle esigenze ideologiche del momento.

Il volume di Stefano Cavazza, presentato durante l’ultima edizione del CICAP Fest, esplora con rigore la profonda e multidimensionale relazione tra tradizione popolare, politica e identità in due contesti distinti ma interconnessi come Italia e Germania. In particolare nella Penisola il folklore si rivela centrale nella definizione di un’identità post-unitaria, quando si deve in qualche legittimare politicamente e culturalmente un’unione fragile quanto recente. Attraverso un’analisi delle politiche e delle produzioni intellettuali del periodo, Cavazza mostra come figure centrali della storia culturale italiana, quali ad esempio Giuseppe Pitrè ed Ernesto de Martino, contribuiscano alla costruzione di un'immagine unitaria delle tradizioni popolari, nel tentativo di conciliare in un modello comprensivo e armonico le diversità regionali e linguistiche.

Analogamente sin dai tempi del Romanticismo anche in Germania il folklore è un elemento centrale nella costruzione dell’identità nazionale, ma a differenza di quanto accade in Italia assume presto toni escludenti e potenzialmente pericolosi. Cavazza esamina attentamente come attori culturali del peso dei fratelli Grimm e Johann Gottfried Herder creino assieme ad altri una mitologia nazionale che esalta il passato germanico e le radici popolari, in un’ideale di continuità culturale e di purezza etnica che di fatto prepara il terreno ai movimenti nazionalisti del Secondo Reich e, più tardi, alla retorica nazionalsocialista. 

Lo storico non trascura di analizzare l’evoluzione di queste dinamiche fino ai giorni nostri, esplorando il ruolo di folklore e nazionalismo nell’Europa contemporanea. Nonostante, infatti, l’apparente declino – perlomeno nel mondo occidentale – del nazionalismo classico, negli ultimi decenni tradizioni e culture popolari sono tornate a essere elementi chiave nelle rivendicazioni identitarie dei movimenti populisti e sovranisti. In questo senso il libro è anche un contributo rilevante alla comprensione delle attuali tensioni politiche e culturali, sulla base della profonda interconnessione tra cultura, storia e politica. “A differenza di quanto ad esempio sostengono Hobsbawm e Ranger in un libro fondamentale come L'invenzione della tradizione, personalmente ritengo che le identità storiche e culturali non siano del tutto arbitrarie – spiega Cavazza interpellato da Il Bo Live –. Come studiosi e cittadini dovremmo anzi farci in qualche modo carico del concetto di nazione, in quanto parte imprescindibile della modernità di cui facciamo parte”. 

La risposta alle attuali spinte escludenti e xenofobe non starebbe tanto, secondo lo studioso, in un cosmopolitismo astrattamente morale ma algido e minoritario, che neghi le specificità storiche e culturali o addirittura la stessa idea di popoli, quanto in un concetto di nazione aperto e inclusivo, non fondato esclusivamente sui legami familiari o sulla nascita. “Nazioni e culture non possono cioè prescindere completamente dalla realtà di un dato contesto o momento storico: pur essendo in qualche modo artificiali, non sono artificiose”, conclude Cavazza. Concetti che dunque restano troppo importanti per essere lasciati a nazionalismi, populismi e ideologie di ogni sorta: anche e soprattutto in ordinamenti come quelli in cui viviamo, democratici e immersi in un mondo globalizzato.

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