CULTURA

I nuovi poveri

La crisi economica che stiamo attraversando non si limita a diminuire di qualche punto i livelli del nostro benessere; essa sta ridisegnando la geografia e culturale e umana del nostro paese. È questo il tema del volume I nuovi poveri. Politiche per le disuguaglianze, di Pierluigi Dovis e Chiara Saraceno (Codice edizioni, Torino 2011, 10 euro). Nella prima parte Dovis, laico, direttore della Caritas di Torino dal 2000, racconta il suo contatto quotidiano con i nuovi poveri nella realtà di una grossa città postindustriale. Il ritratto che ne esce, pur non scendendo mai nel patetico, evidenzia tendenze inquietanti: una generazione e un’intera fascia sociale – quella che una volta veniva definita classe lavoratrice – spaesata di fronte un fenomeno che non è solo economico, ma anche e soprattutto sociale e umano.

Finché non la società non si sarà riposizionata su stili di vita più compatibili con le risorse del pianeta l’impoverimento sarà vissuto da interi strati della società come una vergogna a una colpa. Il dramma della povertà, in un paese come il nostro, è infatti connesso innanzitutto connesso alla perdita del ruolo nella comunità e alla rottura delle relazioni, che nella vita di un uomo sono essenziali quasi quanto avere di che mangiare, vestirsi, abitare. Così scriveva all’inizio del secolo Benjamin Seebohm Rowntree, industriale illuminato, filantropo e studioso:

“I poveri sono umani esattamente come coloro che hanno più soldi. Non possono vivere solo di sussistenza. Desiderano rilassarsi e divertirsi proprio come tutti. Ma... possono riuscirsci solo tagliando su cose essenziali per il loro benessere fisico. E allora tagliano”. (The Human Needs of Labour, Longman Green, Londra 1937, citato a p. 39 del libro)

Rowntree infatti, uno dei pionieri negli studi sulla povertà, nel definire il paniere dei beni essenziali in relazione al quale stabilire il confine tra indigenza e sussistenza dignitosa, vi includeva – oltre ai generi di prima necessità – anche un po’ di tabacco e di tè, oltre alla possibilità di pagarsi ogni tanto una pinta di birra al pub: tutte cose che, a suo giudizio, permettevano a quel tempo a un individuo di sentirsi parte di una comunità. Ed è infatti proprio l’esclusione dalle abitudini e dagli stili di vita “borghesi” uno dei primi e più difficili gradini da superare per chi entra nella morsa dell’indigenza, magari dopo una vita passata a lavorare. Al di là delle sacche storiche di povertà (barboni, persone soggette a disagio mentale, sans papiers...), emarginate ma allo stesso tempo tenute sotto l’illusione di un controllo, la novità che stiamo vivendo è costituita proprio da tanti lavoratori o ex lavoratori verso i quali la vita non ha mantenuto le promesse.

Un sommovimento di fronte al quale ancora una volta gli Stati, in particolare l’Italia, si dimostrano incapaci di agire: è questo l’argomento della seconda parte libro, curata dalla sociologa Chiara Saraceno. Secondo i dati infatti sono proprio gli strati e le fasce più deboli a pagare maggiormente la crisi, con un particolare davvero preoccupante: in quasi tutta Europa infatti il livello di povertà è più alto tra i bambini che tra gli adulti. Segno che la recessione economica e i tagli allo stato sociale colpiscono in particolare le famiglie con figli: nel 2009 in Italia è risultato in condizione di povertà relativa il 17,2% delle famiglie con due figli minori, il 26% di quelle con tre o più, contro una media che a livello nazionale si aggira intorno all’11% (p. 55). Inoltre più del 70% di coloro che, nell’Europa continentale, sperimenta la povertà da bambini o da ragazzi resta povero anche nell’età adulta. Ancora una volta il sistema scolastico è una cartina tornasole del disagio economico e sociale delle giovani generazioni: in Italia è particolarmente basso il proseguimento degli studi dopo i 15 anni, mentre è elevata la percentuale dei ragazzi che dichiara di aspirare a un’occupazione qualsiasi, anche poco qualificata.

Tutti i parametri e gli studi internazionali mostrano che la crisi sta aumentando le disuguaglianze economiche, con un mutamento sempre più marcato delle società in cui viviamo, e una perdita secca di diritti e di opportunità. Un fenomeno che i governi sembrano sempre più impreparati a gestire.

Daniele Mont D’Arpizio

 

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