CULTURA

Il Nievo, fuor di retorica

Non una biografia, ma un ritratto: Cesare De Michelis ricostruisce la figura di Ippolito Nievo citando le sue stesse parole, lette al di fuori della retorica risorgimentale.

Una breve esistenza -neppure trent’anni vissuti principalmente tra Venezia e Mantova – che sembra iniziare e finire nei momenti sbagliati: troppo giovane per essere protagonista nel 1848, prematura la fine di ritorno dalla spedizione dei Mille, nel naufragio dell’Ercole pochi giorni prima dell’Unità d’Italia.

L’intreccio tra vita privata e impegno civile, nel suo caso, è indissolubile, a partire dal segno indelebile lasciato dalla delusione di adolescente, leone in gabbia come tanti coetanei: “Proprio il giorno del colloquio d’esame, l’esercito piemontese viene sconfitto a Custoza dalle truppe di Radetzky e così, quando arrivano al comando di Bozzolo, i ragazzi assistono inermi allo scompaginarsi dei vinti e, scornati, se ne tornano a casa, rifugiandosi proprio tra le braccia scontrose del padre Nievo”. Una delusione bruciante che si trasforma in rabbia contro gli insorti e i loro capi.

Ecco la distanza di Nievo rispetto agli altri risorgimentali, il distacco dal pensiero di Mazzini e Manin: l’unità non può essere frutto delle cospirazioni segrete degli intellettuali, ma deve essere costruita gradualmente e coinvolgendo tutto il popolo, inteso come l’insieme delle classi sociali, che dialogando potrebbero vivere tutte meglio. Nievo ha a cuore infatti le vite dei contadini, pensa che un corpo unito possa essere più forte, che la libertà permetterà di riappropriarsi delle risorse per darle alla gente: per questo cerca la collaborazione del clero delle campagne, che grazie alla fede della gente semplice potrebbe motivare i contadini.

In un lungo periodo di attesa dopo un ’48 che per dieci anni distrusse ogni speranza, il giovane letterato scrive storie temendo l’esilio. Il suo capolavoro, Confessioni di un italiano, è un’appassionata profezia ambientata nella Venezia del secolo precedente, il romanzo del Risorgimento dell’Italia scritto prima che avvenga (1858). Una profezia fatta di parole scritte per preparare l’azione, secondo l’idea che “dove tuona un fatto, siatene certi, ha lampeggiato un’idea”.

Deciso a passare dalle parole ai fatti, Nievo parte per la spedizione dei Mille, diventa militare per l’occasione e si ritrova a fare i conti per gli approvvigionamenti dell’esercito. Vive a contatto con i siciliani e tocca con mano la distanza che ancora lo separa dalla nazione che ha sempre sognato. Una distanza, descritta con lucidità e senza mezze parole nelle lettere, che non lo scoraggia ma al contrario muove sempre gli stessi desideri: costruire l’Italia, governando lo sviluppo e la modernità verso i quali è diffidente, combattendo la fame e l’analfabetismo.

L’Italia nascerà senza Venezia né Roma, e Nievo non potrà contribuire come avrebbe voluto: si realizzerà più tardi l’incipit delle Confessioni: “Io nacqui veneziano… e morrò per grazia di Dio italiano”.

 

Cesare De Michelis, “Io nacqui veneziano… e morrò per grazia di Dio italiano” Ritratto di Ippolito Nievo. Aragno, 2012

 

Elisabetta Menegatti

 

 

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