SOCIETÀ

La classe media gode di ottima salute. Non qui

Aggiungi un posto a tavola, questa è la nuova regola. Dove la tavola è quella delle risorse mondiali e il posto da aggiungere è per i paesi emergenti che reclamano finalmente la loro fetta di sfruttamento, potere, guadagno. Da soggetti passivi (fonte di risorse primarie e lavoro a basso costo, discarica dei nostri rifiuti, sede di test che non vogliamo nel nostro giardino) i paesi che solevamo definire "in via di sviluppo" – e soprattutto alcuni – stanno infatti diventando sempre più rapidamente soggetti attivi, produttori e consumatori di ricchezza.

Sapevamo che il futuro ci avrebbe portato un mondo a guida non occidentale, e il futuro è arrivato. Ci attende un mondo in movimento, in senso quasi letterale. L'equilibrio planetario sta mutando radicalmente, con l'apertura di nuovi enormi mercati (per la gioia degli investitori e dei fanatici della crescita infinita) ma anche con l'emergere di nuovi centri di potere. Il peso demografico fa la sua parte, ed è facile prevedere lo strapotere dell'Asia nel prossimo futuro, ma gli scenari mutano per i motivi più diversi. Si fa da tempo un gran parlare di Brics (il gruppo costituito da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), a cui si dice già di dover aggiungere una seconda “i” per l’Indonesia, ma anche Africa, Sud America e il resto del Sud-est asiatico si stanno affacciando al gruppo dei nuovi ricchi. Il risultato, intanto, è che il Fondo monetario internazionale prevede il sorpasso già nel 2014, quando ci si attende che il Pil totale dei paesi emergenti superi quello delle economie sviluppate.

Tra gli effetti della crescita economica di questi paesi vi è l’emergere di una nuova “classe media” (quella classe di difficile definizione che vive al di sopra della soglia di povertà e al di sotto del lusso dei grandi ricchi), che si calcola rappresentare ormai un terzo della popolazione africana, metà di quella russa, tre quarti dei sudamericani e ben il 90% dei cinesi. Esistono vari metodi per definire la classe media in base al reddito, ricalcolato poi a parità di potere d'acquisto: c'è chi considera classe media chi guadagna più di 2 dollari al giorno (un criterio che permette solo di escludere chi vive in una pura economia di sussistenza), e chi richiede invece un reddito giornaliero tra i 10 e i 100 dollari. La questione non è oziosa perché può cambiare di molto i numeri complessivi del fenomeno, ma passa in secondo piano nello sforzo di rilevare una tendenza in atto da anni e che sta conoscendo ora una progressione geometrica. È interessante infatti porre attenzione a cosa attendersi da queste nuove classi medie che, come tutte quelle che le hanno precedute, hanno interesse al risparmio, alla salute, a una migliore educazione, ma rivelano anche un tratto che interessa particolarmente gli economisti oggi, ovvero la propensione al consumo. Che fa girare merci e soldi, ma ha anche ben altre implicazioni.

C'è chi lega volentieri, infatti, le "primavere" di molti paesi emergenti al risveglio della borghesia, un fattore che lascia presagire molti sommovimenti politici e sociali nei prossimi anni con inevitabili riflessi anche nei paesi occidentali. Ma soprattutto sono da considerare le conseguenze dell’apparire sulla scena del mondo di una nuova, immensa classe di consumatori dal portafoglio sufficientemente pieno e molti status quo da conquistare. Il benessere porta – e stavolta su scala enorme e difficilmente sostenibile – migliori aspettative di vita, calo della natalità (quindi paesi progressivamente più vecchi), sfruttamento intensivo del suolo a tutti i livelli, maggiore industrializzazione e conseguente crescita infrastrutturale, maggiore urbanizzazione, più merci in circolazione, più rifiuti, più comodità e più inquinamento. Il tutto a ritmi che difficilmente l'Europa storica riesce a immaginare.

Ne andrà sicuramente degli equilibri economici internazionali, di un possibile sovvertimento culturale (chi ricorda i tempi di The empire writes back, quando le ex colonie ritrovarono identità e indipendenza?), ma – non nascondiamolo – anche l'ambiente ne risentirà. Facciamo fatica ad attuare a tutt'oggi il protocollo di Kyoto firmato nel 1997, e si prevedono, per i dati disponibili ora, tra i 200 milioni e il miliardo di migranti entro il 2050 a causa dei cambiamenti climatici indotti dal nostro stile di vita, da aggiungersi ai milioni già normalmente conseguenza di rivolgimenti sociali, politici o economici. E d'altronde, noi che di tutto abbiamo approfittato così tanto e così a lungo, e adesso invochiamo la decrescita felice, come possiamo negare la crescita al resto del mondo che ne è rimasto finora escluso? Con quali argomenti? Con quale autorità? Se potrà valere anche solo parzialmente come monito contro l'involuzione travestita da crescita, forse almeno la nostra crisi non sarà stata invano.

Cristina Gottardi

L'Indice di sviluppo umano (in inglese: Hdi-Human development index) è un indicatore di sviluppo macroeconomico utilizzato dall'Onu, accanto al Pil, per valutare la qualità della vita nei paesi membri. Vengono prese in considerazione l’aspettativa di vita, gli anni medi di istruzione e gli anni previsti di istruzione, il reddito nazionale lordo pro capite (in termini di parità di potere d'acquisto in dollari Usa).

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