UNIVERSITÀ E SCUOLA

L'eccellenza (infelice) degli studenti coreani

Lo studente coreano ha un solo obiettivo: eccellere. Mai abbassare la guardia, mai smettere di memorizzare nozioni e informazioni, mai prendersi una pausa dallo studio. La riforma dell’educazione coreana (Corea del Sud), sintetizzata in una recente pubblicazione dell’Ocse non lascia spazio a dubbi: l’istruzione è un investimento sicuro per il Paese, ne assicura la crescita e quindi il futuro. “La rapida espansione di istruzione in Corea è eccezionale e ha giocato un ruolo chiave nel suo sviluppo economico – si legge nel rapporto - Sostenere il potenziale di crescita della Corea di fronte a venti demografici contrari richiede ulteriori sforzi per migliorare il sistema educativo e rilanciare la crescita della produttività”. I risultati si vedono: negli ultimi test Pisa, che ogni tre anni valutano i livelli di matematica, lettura e scienza degli studenti di 65 Paesi, i coreani risultano tra i migliori. 

Eccellenza scolastica, ma a che prezzo? Se è vero che gli studenti raccolgono straordinari successi, è vero anche che, sempre secondo uno studio Ocse, risultano essere i più infelici (figura 3.1.2). Nel 2011, in un articolo pubblicato dal Time, dal titolo Teacher, leave those kids alone, Amanda Ripley parlava di “masochismo formativo” raccontando la storia incredibile delle ronde negli hagwon (istituti privati di ripetizione) di Seoul effettuate dagli ispettori del Ministero per scovare (e costringere a una pausa) gli studenti ancora impegnati nello studio dopo le dieci di sera. Un tentativo di arginare il problema del ‘troppo studio’. 

Studio, esame. Studio, esame. Studio, esame. E così via, senza sosta. “I curricula scolastici sono pesantemente regolamentati dal College scholastic aptitude test (Csat). Con una prova a risposta multipla determinante per l'ammissione all'università – si legge nella relazione dell’Ocse - Anche gli esami alle superiori, generalmente due volte a semestre, giocano un ruolo importante. Uno studio ha calcolato che, per riuscire a superarli, gli studenti dovevano memorizzare da 60 a 100 pagine di nozioni per ogni esame. Il focus sui test a risposta multipla dà un valore particolare all'apprendimento delle nozioni, il che è coerente con la tradizione asiatica di insegnamento, dominata dal trasferimento di informazione da insegnante a studente”.

Ma quanto serve davvero “imparare a memoria” un numero così elevato di nozioni? A lungo termine, quanto resta delle informazioni memorizzate? Memoria e apprendimento viaggiano sempre insieme? A rispondere è Cesare Cornoldi, professore di Psicologia generale all’università di Padova, esperto in materia di memoria e apprendimento: “Indubbiamente una regola aurea per mantenere molte informazioni in memoria è quella di apprenderle in maniera significativa usando il meno possibile la ripetizione meccanica”, spiega. “Questa constatazione, suffragata da numerosissimi studi, non contrasta però con l'osservazione che esercizi di memoria possano aiutare la mente a sviluppare strategie efficaci”.

Nel gennaio 2014 L’Espresso pubblicò “Caro nipote, studia a memoria”, la lettera con cui Umberto Eco si raccomandava di “esercitare sempre la memoria” per popolare la testa di “personaggi, storie, ricordi di ogni tipo”. Sacrosanto, soprattutto perché, in quel caso, si faceva riferimento anche alla memoria storica e alla conseguente elaborazione di una opinione personale e un pensiero critico “su quello che è accaduto prima che tu nascessi”. 

Cosa accade, invece, quando si entra in aula e allo studente viene richiesto di registrare, in breve tempo, un quantità straordinaria di informazioni per sostenere un’interrogazione, un test, un esame importante? Il rischio è che una eccessiva memorizzazione e il trasferimento di troppe nozioni vadano a ‘bombardare’ la testa dello studente a tal punto da inibirne la creatività. A tal proposito, le autorità coreane hanno recentemente riconosciuto la necessità di dare più spazio alla creatività e all'educazione del carattere, introducendo, già nel 2009, “un nuovo curriculum aggiornato che include attività didattiche esperienziali creative e riduce i contenuti accademici del 20%”. Ed è lo stesso Ocse a sottolinearne l’importanza: la sola memorizzazione non basta e, anzi, risulta meno efficace nel coltivare opinioni indipendenti e un pensiero flessibile. 

Oltre la memorizzazione meccanica, oltre il “masochismo formativo”, il vero successo del sistema educativo coreano sembra essere il risultato di un insieme di fattori che coinvolgono non solo gli studenti ma anche gli insegnanti. Ne è convinto anche il professor Cornoldi: “Ho avuto modo di scambiare idee e considerazioni con colleghi coreani e ho potuto constatare come gli ottimi risultati ottenuti dai loro studenti si possano associare, in primo luogo, alla qualità degli insegnanti. Questa qualità è legata al fatto che, in Corea, la professionalità del docente è ben pagata e gode di un certo prestigio, più del medico o di altre professioni”. Il già citato rapporto Ocse di Randall S. Jones segnala lo stipendio dell’insegnante coreano come il più alto della zona Ocse, un dettaglio non trascurabile perché una buona retribuzione può aiutare a mantenere alta la motivazione. “Un altro fattore di successo degli studenti coreani – continua Cornoldi - può essere dovuto effettivamente al loro elevato impegno nello studio, ma questo non si identifica necessariamente con la memorizzazione meccanica. Le variabili misurate dal progetto Pisa sono infatti legate a processi mentali superiori in cui il possesso di nozioni specifiche pesa modestamente”. Ora non resta che ideare un’efficace strategia per rendere il sistema educativo anche un sistema per studenti felici.

Francesca Boccaletto

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