CULTURA

Lo sguardo e la concupiscenza

Oculi de vitro cum capsula”, esclama incuriosito uno degli scrivani della Biblioteca dei benedettini alla vista degli occhiali, o qualcosa di simile, tirati fuori da Guglielmo da Baskerville nel film Il Nome della rosa (la battuta non si trova invece nel libro di Eco). Gli occhiali, in realtà due ”mandorle di vetro tenute da una forcella”, appaiono meravigliosi e inquietanti in quanto segno della presunzione intellettuale di Gugliemo di fronte a Dio. Nel Medioevo gli oculari di vetro erano, in alcuni casi, associati al demoniaco, all’ inganno e alla perversione del visibile: ingrandire rimpicciolire sdoppiare capovolgere. Arte diabolica, quella delle protesi oculari, e S.S. Nigro scrive, citando dal Corpus  Thomisticum, che l'occhio è “il portinaio del diavolo” (“janitor Diaboli”).

S.S. Nigro – l’autore di quel fantastico libro che è La tabacchiera di don Lisander  – ci fa compiere un viaggio, letterario e artistico, una sorta di personale peripezia à la Mario Praz, tra occhiali e cannocchiali e conseguenti pulsioni voyeuristiche. Un viaggio che tace, giustamente, di quell’aspetto scientifico e razionale degli strumenti ottici (a partire dal cannocchiale galileiano) per guidarci invece in un itinerario non tanto della curiositas scientifica quanto della voluptas, cioè quel desiderio erotico che inizia dallo sguardo e che le lenti potenziano ed estendono.

E, infatti, tutto ciò che potenzia i sensi è degno di essere meditato. Gli occhiali sono la risposta tecnica all’impotenza visiva, ed è una risposta che si carica, però, di significati imprevisti.

Potremmo far rientrare occhiali e cannocchiali all’interno di una storia generale dello sguardo che vuole superare i propri limiti naturali:bucare muri, pareti e tramezzi, portare alla luce ciò che è nascosto, un po’ come scoperchiare tetti  e vedere dentro quelli che Nigro chiama «i luoghi divisi del corpo sociale», case, palazzi, cancellerie.

Attraverso alcuni snodi della letteratura europea, e non della più scontata, Nigro ci mostra come lo sguardo fosse associato alla concupiscenza, alla penetrazione dei segreti, all’effrazione visiva, un tema barocco che coinvolge Daniello Bartoli, Francesco Pona, Francisco De Quevedo, ma anche uno strano romanzo del 1631 di Comenio (Il labirinto del mondo e il paradiso del cuore, il cui protagonista è un viaggiatore del gran teatro del mondo che porta sul naso un paio di occhiali in grado di svelare il cuore interno di ogni cosa). Questi autori rappresentano nei loro testi  le modalità di quello sguardo conoscitivo che permette di smascherare l'ipocrisia, la vanità, i vizi, le apparenze ingannevoli della politica e della morale.

Ma i luoghi indagati da Nigro spaziano anche dal Simenon de Le finestre di fronte a La finestra sul cortile di Hitchcock, con un James Stewart “personaggio che spia le finestre dei caseggiati”; da Decalogo 6 di Kieślowski, con il ragazzino Tomek che osserva con un binocolo la donna del palazzo di fronte immaginando quasi un romanzo amoroso, a una serie di immagini che si alternano ai capitoli: i quadri di Hyeronimus Bosch, Rutilio Manetti, Marcel Duchamp, e le foto di Giuseppe Leoni delle maschere grottesche, tutte rigorosamente con occhiali, di Palazzo Cosentini a Ragusa.

Ma Nigro avrebbe potuto aggiungere l'immortale zia Léonie proustiana, che dalla sua reclusione in una stanza vive la sua vita accanto a una finestra e osserva e inventa i racconto e le cronache che la piazza di Combray le offre. Ogni sguardo voyeuristico diventa il pretesto per la via narrativa; secondo Nigro, “questi radiologi diventano reporter del nascosto e del non visibile. Allungavano gli occhi e ghermivano il bandolo di storie altrimenti non narrabili le estraevano dall'ombra le facevano proliferare a vista, e le rendevano sfogliabili come in un'enciclopedia del racconto”.

Ma attenzione, però, ogni protesi ottica nasconde insidie, fallacie e delusioni. Nel racconto di Anna Maria Ortese – Un paio di occhiali (1953): Eugenia una bambina “quasi cecata”, vive in povertà e dentro una perpetua nebbia. Una zia le compra un paio di occhiali e la bambina vede per la prima volta, ritraendosene con orrore, la miseria immensa dei bassi napoletani. Commenta Nigro: “Allora è meglio la cecità che un mondo così: brutto assai. Senza gli occhiali, dietro gli oscuranti delle palpebre, l'immaginarietà è rassicurante”.

E chi non ricorda, quanto a delusioni, la pubblicità, siamo attorno agli anni Settanta,  degli occhiali a raggi X che avrebbero permesso di vedere sotto i vestiti delle donne?

Vasto è il catalogo dei vetri ottici. Monocoli, fassamani, stringinaso, a ferro di cavallo, a losanga, a mandorla, pince-nez, lorgnette, ecc… Se ne può seguire un elenco nelle Considerazioni sugli occhiali di George Perec, un testo ripreso dallo studioso siciliano per ricordarci le potenzialità descrittive che portano con sé questi «piccoli laghi di vetro» (Sciascia): come portarli, come pulirli o i gesti con gli occhiali, come mordicchiare la stanghetta pensosamente, per esempio.

Il saggio di Nigro si chiude con un capitolo, Gli occhiali di Ėjzenštejn dedicato a Todo Modo di Sciascia. Nel libro di Sciascia, come sappiamo, si parte da un quadro misterioso di un pittore senese, Rutilio Manetti, la Tentazione di S. Antonio abate. L’anacoreta, in questa tela, è tentato da un diavolo che indossa gli occhiali, gli stessi, a pince-nez, che porta il protagonista di Todo Modo don Gaetano, mefistofelico rappresentante di una  teologia politica tridentina che non riconosce, non ‘vede’, altro da sé se non  come eresia e perversione, e “gestore degli stretti legami tra Chiesa e Potere nell’Italia democristiana”.

Nelle ultime pagine del romanzo, di fronte al cadavere di don Gaetano assassinato, Sciascia si sofferma su un particolare, gli occhiali che penzolano, attaccati a un cordoncino, dal corpo ormai inerte del prete.

Questa pagina, scrive Nigro, è la citazione di un fotogramma de La corazzata Potëmkin. Si tratta della bellissima scena dell’ufficiale medico, anche lui con  con pince-nez, che si rifiuta di  ‘vedere’ la carne marcia piena di vermi che i marinai non intendono assolutamente di mangiare. Qui gli occhiali sono simbolo del cieco potere autocratico che nega la realtà delle cose. Alla fine i marinai si ribellano e lanciano l’ufficiale in mare. La sequenza si chiude con il dettaglio degli occhiali rimasti   a oscillare appesi a un cavo. Queste righe di Todo Modo, dunque, evocano il capolavoro russo:accecamento religioso e accecamento ideologico.

Arte, letteratura e cinema, in Sciascia, così come in Nigro, si saldano in un tutto unico.

Sebastiano Leotta

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