UNIVERSITÀ E SCUOLA

Medici con la valigia, in attesa del ritorno

A imparare a fare il dottore si va sempre più di frequente nell’est europeo, salvo poi tornare dove si guadagna meglio. “Sono al primo anno di odontoiatria nella città di Plovdiv (Bulgaria) – dice uno studente – e posso dire che per adesso mi trovo benissimo: professori gentili e disponibili, corso interamente in inglese, università nuovissima con attrezzature all'avanguardia”. E a chi gli chiede se si deve superare un test di ammissione: “Nessun test! Però chiedono la conoscenza della lingua inglese, livello B2”. Il botta e risposta avviene su “Studiare Medicina e Odontoiatria all’estero”, un gruppo aperto su Facebook, che lascerebbe supporre un confronto sulla vita universitaria oltreconfine, se non fosse che molte delle facoltà di medicina e chirurgia di cui si parla sono quelle della Bulgaria, Romania e Albania. 

È un dato di fatto che negli ultimi anni Paesi come Polonia, Romania, Ungheria, Repubblica Ceca e Balcani, hanno visto un sensibile aumento del numero di studenti stranieri. Stando alla rivista scientifica Lancet, tra il 2005 e il 2011 si è registrato in Ungheria un aumento del 21% degli studenti che vengono da altri Stati, del 50% nella Repubblica Ceca e dell’80% in Polonia (al 2010). In molti casi, sottolinea il rapporto Ocse Education at a glance 2013, questi provengono dai paesi limitrofi, ma non manca chi viene da più lontano. In Polonia, ad esempio, norvegesi, spagnoli, svedesi e statunitensi rappresentano la percentuale maggiore degli stranieri iscritti. Di questi molti frequentano un corso di laurea in ambito sanitario: nel 2011 quasi la metà in Slovacchia, il 44% in Ungheria e il 26% in Polonia secondo il rapporto Ocse.  

Le ragioni sono da cercarsi innanzitutto in un costo più basso della vita e, per alcuni, anche degli studi universitari. Nella Repubblica Ceca uno studente che segue il corso di laurea di medicina in inglese paga 14.000 euro di tassa all’anno, mentre nelle università ungheresi si va dai 1.000 ai 2.000 euro. In Romania la retta è di circa 5.000 euro all’anno e a Belgrado si aggira intorno ai 2.500 euro. Certo i costi non sono affatto inferiori a quelli delle università italiane, ma se si considera che in Paesi come gli Stati Uniti la cifra si aggira intorno ai 22.600 euro all’anno e nel Regno Unito sui 10.700 euro si capiscono i  motivi della scelta da parte di molti degli studenti anglosassoni. 

Lo spauracchio del test di ammissione incide poi non poco nella scelta di studiare in un Paese dell’est Europa. La competizione è alta: quest’anno, ad esempio, in Italia su 10.157 posti disponibili per il corso di laurea in medicina e chirurgia si sono presentati in 84.000 studenti. Uno su sette ha superato l’esame e gli altri sei? A volte si concedono una seconda possibilità nelle università in cui le prove di ingresso, quando sono previste, risultano più semplici. Quest’anno all’università albanese Nostra Signora del Buon Consiglio, che rilascia titoli congiunti riconosciuti in Italia e negli altri Paesi europei grazie alla collaborazione con l’università di Roma Tor Vergata, il 10 ottobre si sono presentati  in 596 dall’Italia per il test di ammissione alle facoltà di medicina e odontoiatria. Il 16 è stata la volta di infermieristica e fisioterapia. Quanti i posti? Il bando, riservato ai cittadini dell’Unione europea, non lo indica. “Queste collaborazioni – sottolinea Maurizio Benato, vice presidente della Federazione nazionale dell’ordine dei medici chirurghi e odontoiatri e membro della Commissione nazionale per l’equipollenza delle lauree e specialità – costituiscono un problema in termini di politica professionale: fanno saltare il numero programmato e costituiscono una scappatoia per chi non ha superato l’esame di ammissione. E ci si discosta, in questo  modo, dagli obiettivi di qualificazione e programmazione nazionale”. Lo stesso numero chiuso ai test d’ingresso del resto è un vero e proprio business, da chi offre corsi di preparazione a chi si adopera per curare le pratiche burocratiche per il trasferimento oltreconfine. Fino a chi, come il Cepu International, promuove in rete il suo “paracadute” per il fallimento del test d’ingresso in Italia. E vanta tra le sue convenzioni per studiare all’estero la Medical University of Sofia, la università di Debrecen in Ungheria, la Charles University di Praga e due università madrilene: l’Alfonso X el Sabio e la Universidad Europea. 

Per chi arriva in fondo e ottiene il tanto agognato diploma di laurea in Bulgaria, Romania, Ungheria o Polonia, la tendenza sembra poi essere quella di spostarsi verso i Paesi dell’Europa dell’ovest sfruttando la libera circolazione di persone e servizi negli Stati membri dell’Unione europea: i titoli vengono riconosciuti sulla base del “coordinamento delle condizioni minime di formazione”. “I cittadini comunitari – sottolinea Benato – possono esercitare la professione in Italia dopo aver ottenuto il riconoscimento del titolo da parte del Ministero della Salute ed essersi iscritti all’ordine professionale”. A Padova sono circa tre ogni 15 giorni le richieste di iscrizione all’ordine di cittadini comunitari autorizzati dal ministero. “Cosa diversa sono le domande di riconoscimento del titolo da parte di cittadini extracomunitari – continua – Nel nostro Paese  ne riceviamo ogni anno 200-300, ma nemmeno il 10% arriva a buon fine. In generale la preparazione è più tecnica e meno teorica, carente rispetto ai nostri standard”. 

Scrive Ed Holt su Lancet: “I dati del Regno Unito mostrano che un numero sempre maggiore di medici usano il titolo ottenuto nell’est dell’Europa per esercitare negli Stati dell’ovest europeo. Secondo il General Medical Council britannico il numero di medici che si sono laureati in Romania è aumentato sensibilmente dal 2007 al 2012, passando da 567 a 2.002”. 

E registrano un forte fenomeno migratorio tra i giovani medici anche alcuni rapporti pubblicati sul sito di una delle organizzazioni di categoria dei medici europei, la European Federation of Salaried Doctors. In Ungheria, nonostante un aumento degli stipendi negli ultimi due anni, ogni anno 1.000-1.200 medici lasciano il Paese, tanto che la mancanza di professionisti causa ogni giorno seri problemi in molti ospedali. Stessa situazione in Bulgaria dove continua la tendenza di molti medici e infermieri a cercare occupazione nell’Europa dell’ovest.  

Al di là della situazione socio-politica che certamente incide sulle scelte dei giovani, a fare da discriminante è anche la differenza degli stipendi che nei Paesi dell’est europeo in alcuni casi sono tre, quattro volte inferiori rispetto a quelli dell’Europa dell’ovest. Se, ad esempio, in Romania lo stipendio medio, secondo quanto stabilito dal National Institute of Statistics, è di 2.294 lei che corrispondono a 515 euro lordi (lo stipendio di un primario è di 1296 euro), secondo un altro documento della European Federation of Salaried Doctors in Italia un medico strutturato in un ospedale pubblico a inizio carriera guadagna mediamente 4.000 euro lordi. E in Europa si guadagna ancora di più in Danimarca, Olanda, Belgio e Francia.

Monica Panetto

 

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