UNIVERSITÀ E SCUOLA

Non solo aziende. In Cina si delocalizza anche l’università

Il grande investimento che la Cina sta affrontando nel campo dell’educazione universitaria e la conseguente comparsa di un crescente numero di università cinesi nei ranking internazionali stanno rafforzando i flussi studenteschi da occidente verso oriente. Sempre più  studenti cinesi (soprattutto fra i meno abbienti), inoltre, rimangono a frequentare l’università entro i confini nazionali, iniziando a riversarsi nelle sedi cinesi delle più quotate istituzioni occidentali. È così che delocalizzare in Cina non appare più un affare solo per le aziende, ma lo è ormai diventato anche per molte università europee e statunitensi, che a oriente esportano didattica e ricerca, stabilendovi veri e propri campus. 

Non esclusivamente rivolti a un pubblico orientale, questi branch campus mirano a diventare anche poli d’attrazione per studenti stranieri, che oggi in Cina sono meno del 10%, ma l’orizzonte verso cui si muove il trend è molto più ampio. L’Institute of International Education conferma che la Cina continua ad essere la maggiore esportatrice di studenti negli Stati Uniti, ma è entrata anche nella classifica top 10 delle nazioni che accolgono più studenti in arrivo dagli Usa. Con l’obiettivo di raggiungere la quota di 100.000 studenti americani in Cina entro il 2014, nel  2009 i governi statunitense e cinese avevano lanciato congiuntamente la 100,000 Strong Initiative, progetto al quale all’inizio di quest’anno, negli ultimi giorni di mandato, il segretario di Stato Hillary Clinton ha rinnovato il sostegno. Secondo il database elaborato dalla State University of New York, a guidare la classifica dei paesi con sedi universitarie in Cina sono proprio gli Stati Uniti: ben 13 branch campus nel paese. L’ultimo dei quali a Shangai lo scorso agosto, dove la New York University  ha stabilito la propria sede cinese. Ma si contano anche cinque branch campus inglesi, tre tedeschi, due australiani, due francesi, uno irlandese e tre appartenenti a nazioni del sudest asiatico. Queste istituzioni conferiscono lauree con valore legale identico a quelle del paese di origine; in alcuni casi la laurea si traduce in un doppio diploma, cinese e della nazionalità madre.

È stata un’università inglese, la University of Nottingham, a fare da pioniera nel 2004 nella delocalizzazione dell’educazione terziaria, attraverso la fondazione di una sede a Ningbo, nella provincia dello Zhejiang. Ancora oggi l’istituzione inglese ha la responsabilità dell’insegnamento, dell’assegnazione dei diplomi e della certificazione di qualità della didattica; il partner cinese, la Zhejiang Wanli Education, finanzia invece lo sviluppo delle infrastrutture del campus. I corsi sono tenuti esclusivamente in inglese e ideati secondo gli standard britannici. Il governo cinese aveva accolto molto positivamente l’arrivo dell’università britannica, in accordo col proprio programma di irrobustimento dell’offerta educativa e approvandone la nuova sede geografica, stabilita in una regione non servita da università di prima grandezza. Se però la nuova istituzione sino-inglese aveva originariamente una vocazione umanistica, nel tempo ha dovuto adattarsi alle disposizioni governative per il rilascio dei permessi per l’attuazione dei corsi. Per il governo cinese sono infatti prioritari gli studi ingegneristici, infermieristici, della logistica e della biomedicina, oltre che dell’educazione: aree che corrispondono all’allocazione degli obiettivi di sviluppo nazionale. È così che nel 2012 l’Australia si è vista bocciare la proposta di ben dieci università che intendevano attivare corsi in succursali cinesi: quasi tutte prevedevano programmi di tipo economico (Financial Review). Segue invece perfettamente la linea governativa cinese la University of Daytona China Institute (con sede madre in Ohio, Stati Uniti), che ha recentemente stabilito un branch campus all’interno del parco industriale di Shuzu, qualificandosi come istituzione di formazione ingegneristico-scientifica fortemente legata alla produzione di specialisti in campo industriale. 

Sempre a Suzhou si sono stabilite altre joint venture sino-internazionali, fra le quali la Xi’an Jiaotong-Liverpool University e la Southeast-Monash University Joint Graduate School, di origini rispettivamente britanniche e australiane, rafforzando la vocazione ad alto sviluppo economico e tecnologico della città patrimonio dell’Unesco. Le nuove istituzioni occidentali che si sono stabilite in Cina, nonostante una buona autonomia d’insegnamento, sono però strettamente controllate dallo Stato a livello nazionale e locale, come nei casi della definizione delle aree di studio e delle zone di sviluppo.

Benché l’ingerenza governativa coinvolga molti settori, la Cina, grazie alla sua rilevanza strategica nei processi economici mondiali, si configura sempre più come terra di (apparente) conquista nel business dell’educazione. A est le università occidentali possono esportare conoscenze, ricerca, standard educativi, ma anche affermare la forza dei propri brands. E importare connessioni, legami economici, basi e strumenti per nuove tecnologie. I branch campus appaiono dunque uno strumento ideale per completare i processi della globalizzazione. E non solo dal punto di vista dell’educazione e della ricerca.

Chiara Mezzalira

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