SOCIETÀ

Qatar, i forzati del mondiale di calcio

Immaginate che un Paese sia composto per più della metà da lavoratori immigrati, che il rapporto tra uomini e donne sia all’incirca di 3 a 1 e che questo divario possa salire fino a 4 contro 1 nella fascia di età 15-64. Immaginate ancora, che in un solo  anno la popolazione cresca del 10%, proprio grazie all’immigrazione, e che gli investimenti in sanità non costituiscano la componente principale della spesa pubblica.

Benvenuti in Qatar, quindi: due milioni di abitanti in totale, di cui un quarto residenti nella capitale e oltre 1 milione di lavoratori immigrati (con la previsione di un altro milione in arrivo nei prossimi anni). È difficile rincorrere i numeri del cambiamento: il censimento del 2010 contava infatti circa 503.000 stranieri, di cui 500.674 maschi, un dato già irrimediabilmente vecchio. Solo il 40% della popolazione oggi è araba, per il resto gli abitanti sono indiani e pakistani, a cui si aggiungono iraniani o immigrati dal sud-est asiatico.

Cosa attira tanti immigrati in Qatar? Il miraggio di un lavoro, grazie al programma nazionale di sviluppo delle infrastrutture che, si stima, arriverà a impegnare 220 miliardi di dollari in un decennio. Giusto in tempo per i mondiali di calcio del 2022, che si giocheranno qui, in pieno deserto. Nel frattempo viene costruito di tutto: stadi, strade, aeroporti e ferrovie, nonché un porto nuovo di zecca per ospitare il traffico di materie prime necessarie a realizzare i progetti in corso nel paese. 

I petrodollari sono riusciti ad attirare il grande calcio nel Paese, e forse riusciranno nell’impresa di sovvertire i calendari Fifa e giocare i mondiali d’inverno per sfuggire al caldo torrido dell’estate mediorientale, che raggiunge i 45 gradi. Gas e petrolio, infatti, tengono in piedi un Paese paradossale, che esporta queste materie prime e importa praticamente tutto il resto, con una società fortemente squilibrata, anche per distribuzione della ricchezza.

Un recente rapporto di Amnesty International racconta infatti le condizioni di vita degli operai immigrati che lavorano in Qatar. Lavori diversi da quelli previsti nei contratti degli operai, sequestro dei documenti di identità per impedire l’uscita dal paese dei lavoratori, minacce di ritorsioni in caso di ribellione, stipendi inferiori al pattuito e  pagati con mesi di ritardi (tanto da provocare l’incapacità di nutrirsi adeguatamente), sistemazione in alloggi precari e malsani senza elettricità o servizi sanitari: è la breve rassegna delle principali violazioni. Tutto questo, spiega Amnesty, rientra nella definizione di “lavoro forzato” formulata dalla International labour organization (il Qatar ne fa parte) in base alla quale chi è trascinato con l’inganno in una situazione di lavoro forzato è vittima del traffico di esseri umani. Certo il Qatar non aderisce ai principali trattati sui diritti umani, ma partecipa ai protocolli per la prevenzione e la soppressione del traffico di esseri umani e della criminalità organizzata.

Per il momento la situazione genera solo qualche grattacapo all’Emirato, costretto a raccogliere gli avvertimenti delle agenzie Onu e le denunce di Amnesty che mettono a nudo i limiti della legislazione nazionale sul lavoro, basata su una sottomissione del lavoratore al datore del lavoro spinta fino ai limiti della schiavitù. Ma a essere chiamata in causa, assieme alle multinazionali che gestiscono i lavori di costruzione, è soprattutto la Fifa nella sua veste di organizzatrice. Che si affretta, per bocca del Presidente Blatter a stigmatizzare come “inaccettabile” l’accaduto e rivolge un invito a leader economici e politici per cambiare la situazioni. Mettere in discussione i criteri che ispirano la scelta del Paese ospitante è ben altra faccenda: basti ricordare che la Fifa ha ricavato dall’ultimo mondiale sudafricano 2,5 miliardi di dollari in diritti tv, il doppio di quanto aveva investito. E che per mantenere alto il livello dei guadagni deve guardare agli interessi degli sponsor, che durante ogni manifestazione registrano incrementi nel valore delle azioni e aumenti delle vendite, e sono interessati a diffondere il proprio marchio in ogni angolo del Pianeta. 

Intanto, secondo il britannico Guardian, i lavori di costruzione per i mondiali rischiano di costare la vita a 4.000 lavoratori (stime: International Trade Union Confederation).  E il ministro del Lavoro del Qatar, alla domanda “Perché così tanti giovani nepalesi [immigrati] muoiono d’infarto?”, può rispondere: “Questo dovreste chiederlo alle autorità sanitarie del Nepal”. 

Cristina Gottardi

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012