SOCIETÀ

Turchia: in difesa degli alberi e della laicità

Mito fondatore: #occupygezi. Tutto per un parco?

Il 28 maggio inizia la mobilitazione per salvare il parco Gezi nel cuore di Istanbul. Due ragazzini bloccano una ruspa che sta tentando di abbattere gli alberi di una delle poche zone verdi rimaste in città. Chiamano con i cellulari i loro amici e mandano sms per chiedere aiuto. Attorno al cantiere si radunano altri giovani e, per evitare che lo sgombero avvenga di notte, decidono di presidiare piazza Taksim, da cui si accede al parco, per tutto il week-end.

È il 31 maggio e la polizia interviene per la prima volta per sgomberare la piazza con idranti e gas lacrimogeni. I cittadini di Istanbul non si arrendono e la protesta si allarga ad altre città, Ankara, Smirne e Antalya, coinvolgendo migliaia di persone.

Fatih, un ragazzo turco di 34 anni racconta: “Non ne sapevo nulla, in giornali e in televisione non se ne parlava, dovevo solo incontrare degli amici per cena. Sono sceso dall’autobus alle 6 di sera. Hanno lanciato un lacrimogeno a destra. Tutti quanti correvano a sinistra. Mi sono trovato senza via d’uscita. Non potevo andare né a destra, né a sinistra o dall’altra parte perché venivano i poliziotti, quindi sono dovuto entrare dove c’è la via pedonale principale. Non potevo uscire. Lanciavano lacrimogeni dappertutto per non farci uscire. Tanto se non esco qui ci sono tante persone e quasi quasi urlo anch’io. Siamo rimasti in piazza tutta la notte ad urlare”.

Erdoğan Vs Ataturk

Il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdoğan, in quei giorni si trovava in Africa e rientrerà ad Istanbul solamente il 7 giugno. Al suo arrivo convoca una conferenza stampa direttamente all’aeroporto ordinando la fine immediata delle proteste. Erdoğan in passato è stato sindaco di Istanbul ed è stato eletto primo ministro nel 2003. Il suo passato è tumultuoso: giudicato colpevole di incitamento all'odio religioso alla fine degli anni ’90, uscito dal carcere fonda il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp), caratterizzato da un'impostazione più moderata rispetto ai precedenti partiti islamici turchi.

Recentemente ha perso la maggioranza in parlamento, ma sembra non riesca a rinunciare al suo sogno di diventare il prossimo Presidente della Turchia. Erdoğan sta cercando di imprimere una svolta conservatrice a uno stato orgogliosamente laico, plasmato sul calco kemalista di Atatürk, fondatore della moderna repubblica turca. E proprio contro Atatürk e tutti i simboli che lo ricordano o hanno il suo nome si sta concentrando la forza distruttiva delle ruspe.

Chapulling

In un discorso televisivo Erdoğan definisce i giovani e i meno giovani che occupano il Parco di Gezi dei vandali, dei saccheggiatori: la parola scelta è çapulcu, che subito diventa il prefisso anteposto ai nomi dei tanti cittadini che aderiscono alla protesta nei loro profili Facebook e Twitter. Questo termine termine desueto si trasforma presto in un neologismo e viene riadattato in molte lingue, tra le quali l’inglese, dove chapulling oggi significa “combattere per i propri diritti”. L’ufficio turco dei brevetti ha ricevuto diverse richieste per la registrazione del marchio “çapulcu” in tutte le sue possibili versioni. Alcune aziende vorrebbero utilizzare la parola per la carta igienica, per delle bevande e per tanti altri prodotti.

Spazi, luoghi e conflitti

Il 12 giugno la polizia riprende il controllo di piazza Taksim. I manifestanti si rifugiano nel vicino Parco di Gezi e organizzano lì il loro accampamento. Nasce #occupygezi. Da un sondaggio realizzato sul quotidiano turco in inglese Hürriyet Daily News, il 70% delle persone accampate non si identifica in nessun partito e la maggior parte di loro non ha mai partecipato prima a manifestazioni di strada o di piazza. I turchi costituiscono circa il 90% della popolazione della Turchia, ma ci sono numerose minoranze etniche: curdi, armeni, arabi, circassi, georgiani, greci e albanesi. A Gezi Park trovano rifugio più di mille persone e si negoziano gli spazi per far convivere pacificamente tutti i presidi, alcuni organizzati da comunità o gruppi che sono stati in passato reciprocamente ostili.

A nice smell of freedom

Erdoğan in questo mese ha cercato in ogni modo di screditare il movimento nato a Taksim agli occhi di un mondo globale che inizia a guardare con interesse alla protesta dei giovani turchi. Ci raccontano che alcuni suoi emissari hanno chiesto ai tanti Rom e Sinti che abitano nei palazzoni fatiscenti che circondano la zona elegante e che si esibiscono in piazza per i turisti di utilizzare gli scavi del cantiere, bloccato dalla protesta, come latrina. Gli attivisti hanno ironizzato su questo maldestro tentativo scrivendo sui muri di bagni improvvisati “a nice smell of freedom”, cercando anche la collaborazione dei bar e degli hotel per poter usare le toilette e organizzando turni per le pulizie tra i volontari.

Social media ma soprattutto cellulari e password

Come tutti i movimenti di protesta che abbiamo imparato a conoscere in questi 3 anni,  #occupygezi non nasce nei social media, ma ne trae vantaggio per il coordinamento delle attività e la diffusione dei contenuti. I giovani di Istanbul possiedono smartphone e grazie a Internet possono informare rapidamente tutto il mondo su quel che accade nelle loro piazze.

Nei giorni e nelle notti degli attacchi della polizia la connessione 3G è stata sospesa dal governo che al momento ha la possibilità di rallentare le connessioni internet ma non di bloccarle del tutto. Gli abitanti e gli esercizi commerciali attorno a Gezi Park e piazza Taksim hanno tolto le password alle reti wifi delle loro abitazioni oppure hanno appeso alle finestre dei cartelloni con username e password delle loro wifi private per permettere ai manifestanti di raccontare quel che stava accadendo e per chiedere aiuto a chiunque fosse in grado di intervenire,.

Pinguini in TV

I media mainstream nei primi giorni della protesta hanno scelto di non dare notizie di quel che stava avvenendo nelle piazze delle principali città, Istanbul, Ankara e Smirne. La tv di stato, con una scelta emblematica, ha mandato in onda un lunghissimo documentario sui... pinguini. I cittadini di Istanbul, ironicamente, hanno scelto allora il pinguino come simbolo della loro protesta: un pinguino çapulcu ovviamente. E per rimediare alle difficoltà di informazione in un sistema mediatico controllato dal governo e in cui non esistono editori puri, ma solo soggetti che hanno ampi interessi a mantenere buoni rapporti con la politica, gli occupanti di Gezi Park hanno fondato tre web tv e una web radio. (1/continua)

Valentina Bazzarin

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