UNIVERSITÀ E SCUOLA

Università, quanto mi costi

Da un paio d’anni a questa parte, essere uno studente universitario inglese costa particolarmente caro; non ci sono esenzioni che tengano: per frequentare una triennale può essere necessario sborsare oltre 11.000 euro all’anno. Ed essere i primi della classe non servirebbe, perché non esistono borse di studio per merito. Il sistema di tassazione inglese però è tale per cui il pagamento non è dovuto al momento dell’iscrizione, ma solo dopo la laurea, una volta ottenuto un lavoro e raggiunta una certa soglia di guadagno. Un modello unico in Europa.

Se poi il povero studente inglese volesse spostarsi all’interno del Regno Unito per evitare il salasso, non avrebbe più fortuna in Scozia, dove l’università è totalmente gratuita per scozzesi e studenti comunitari, ma non per i nordirlandesi, i gallesi e gli inglesi, che si ritroverebbero a pagare la stessa cifra che avrebbero sborsato all’università di Manchester o a quella di Reading.

Questo paradosso è solo uno degli esempi della disomogeneità dei sistemi di tasse universitarie in Europa, che una ricerca della Commissione europea ha analizzato nel rapporto National Student Fee and Support Systems in European Higher Education 2014/15, di recente pubblicazione. L’indagine, che prende in considerazione come e quando tasse, borse di studio e prestiti vengono imposti o erogati, rivela una situazione molto eterogenea nelle 36 nazioni prese in esame (il Regno Unito viene suddiviso nei quattro paesi che lo compongono).

Se il sistema inglese rappresenta il caso limite, con le tasse più alte e l’assenza di esenzioni complete, anche l’Italia non fa parlare bene di sé, rientrando nel gruppo in cui per studiare si spendono le cifre più alte. Nell’intervallo fra i 1.000 e i 5.000 euro, oltre al nostro Paese, il rapporto segnala la Spagna, la Slovenia, la Lettonia, l’Olanda, il Galles, l’Irlanda, la Romania, la Lituania e l’Ungheria. In quest’ultime due nazioni, però, le esenzioni sono talmente diffuse che la maggior parte degli studenti non paga nulla, o quasi; e in Slovenia, in realtà, solo gli studenti part-time e gli extra comunitari devono sborsare denaro per frequentare l’università. Lo scorso anno accademico, poi, l’Estonia ha rivoluzionato il proprio sistema di tassazione universitaria, collegandolo direttamente al profitto e consentendo la totale esenzione al raggiungimento di un minimo di crediti.

L’Italia esce male anche dal confronto con molti stati europei particolarmente virtuosi, in cui l’istruzione terziaria è completamente gratuita, o quasi. Basta guardare oltre confine, in Germania, dove anche l’ultimo dei Länder ha abolito le tasse per il 2014/2015; o in Austria, dove tutti gli studenti europei studiano gratuitamente, a meno che non vadano fuori corso per più di un anno. Ma, stando a quanto riporta l’indagine della Comunità europea, non si sborsa un quattrino nemmeno in Turchia, in Grecia, in Danimarca, nella già citata Scozia e in tutta la penisola scandinava. Non solo, in Finlandia, oltre a non pagare un euro, tutti gli universitari che hanno collezionato un numero di crediti minimo hanno diritto a un assegno di mantenimento che può raggiungere i 335 euro al mese, al quale si aggiunge un supplemento per coprire parte dell’affitto. Non è molto diversa la situazione in Svezia, dove è riservato un occhio di riguardo agli studenti con figli, come pure in Norvegia.

È curioso osservare che, se in Italia siamo abituati a considerare le borse di studio come un aiuto finanziario ai meno abbienti, ma anche come premio per meriti acquisiti grazie allo studio, in Europa questa duplicità non è scontata: il criterio del “bisogno finanziario” è infatti dominante, con 35 sistemi che offrono supporto ad alcuni o a tutti gli studenti, ma sono solo 23 i sistemi che prevedono un qualche finanziamento per merito. Grecia e Montenegro sono le sole due nazioni in cui non viene presa in considerazione la situazione finanziaria degli iscritti, e l’Islanda è l’unico paese a non erogare borse di studio di qualsiasi tipo (ma le tasse annuali lì non superano i 485 euro).

A questo punto, l’unico motivo a trattenerci dall’iscriverci all’università di Jyväskylä, in Finlandia, potrebbe solo essere l’impronunciabilità del suo nome.

Chiara Mezzalira

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