SOCIETÀ

Vanity Press: Editoria a pagamento o nuovi modelli editoriali open access?

Lo scenario dell’editoria scientifico-accademica ad accesso aperto e relativi modelli di business vede attualmente due fronti contrapposti. Da una parte lo sforzo editoriale di adeguare le infrastrutture tecnologiche agli standard di qualità e di affidabilità sostanziati nelle best practice e nelle linee guida dell’interoperabilità dei sistemi, dall’altra le interferenze di soggetti commerciali dall’identità equivoca che si infiltrano nella rete snaturando la logica della diffusione dei contenuti secondo la Golden Route del modello Open Access: la pubblicazione in riviste direttamente ed immediatamente accessibili al pubblico in formato OA. 

Nel primo canale oltre all’editoria Open Access in forme più o meno ibridate, si collocano le iniziative imprenditoriali di editori tradizionali che si stanno muovendo verso l’Open Access con aree di migrazione più o meno evolute, più o meno aperte.  Da qualche tempo – accanto alle piattaforme scientifiche editoriali Open Access - anche le grosse catene editoriali tradizionali internazionali, come Elsevier, Springer o ACS stanno proponendo modelli di servizio Open Access che, seppur discutibili dal punto di vista economico, propongono piattaforme comunque interessanti per i contenuti altamente tecnologici e di un certo impatto innovativo.

Ma è il secondo canale a destare motivo di preoccupazione, perché costituito da modalità di pubblicazione – più o meno controverse – che possono essere ricondotte a forme di editoria a pagamento, e quindi sotto il concetto di Vanity Press, o Vanity Publishing. Di fatto, quel vivace segmento del mercato editoriale in cui la pubblicazione di un’opera (singola poesia, articolo, saggio, libro) è pagata dall'autore e non dai suoi lettori. Per tale ragione, in ambito accademico tali modalità – sorte in epoca più recente rispetto all’ingresso nel campo scientifico dell’editoria di varia   (pubblicazioni non specializzate, dal romanzo alla saggistica) - possono essere facilmente confuse con il modello Author-Pay proposto da alcuni editori sia Open Access, sia tradizionali. Da qualche anno infatti alcune società commerciali hanno iniziato a proporre agli autori accademici modalità di pubblicazione non solo poco trasparenti, ma ai limiti della legalità. 

Spam or scam? Semplici proposte commerciali via mail, moleste magari ma corrette, o modalità al limite della truffa? Questo è il problema!

A causa delle grandi trasformazioni in atto entro i modelli di business dell’editoria accademica tradizionale, in transizione verso modelli ibridi di tipo Open Access, numerosi sono gli editori che chiedono agli autori di pagare per la pubblicazione dei loro articoli. Per questa ragione la linea tra editoria accademica di qualità e editoria “di vanità”, rispondente alla sola scelta (e disponibilità a pagare) dell’autore stesso risulta sottile e confusa; parimenti, sono offuscati i confini entro cui i soggetti istituzionali si collocano nelle nuove catene della comunicazione scientifica, in particolare a causa delle clausole contrattuali che presentano ambiguità e tranelli.

Nell’editoria di varia, un editore di vanità è quel soggetto che pubblica l’opera di uno scrittore sconosciuto per qualche migliaio di euro, stampando poche centinaia di copie e imponendo per contratto all’autore l’acquisto in anticipo di un numero determinato di copie. Nell’editoria accademica il meccanismo è ancora più subdolo. Attraverso contatti personali via mail – dopo individuazione in rete di target di autori ben definiti - società di servizi editoriali che si configurano come for-profit companies offrono servizi personalizzati a “categorie di autori accademici”, solitamente giovani ricercatori, o dottorandi, solleticando il senso di autopromozione personale. 

Da un marketing inizialmente orientato allo scrittore, romanziere e poeta, si è passati negli ultimi anni ad uno scenario sempre più preoccupante, dove l’autore, docente o dottore di ricerca viene contattato via mail in una sorta di spam che spesso si tramuta in scam. Sono oltre 17.900.000 i risultati recuperati da una semplice ricerca in Google con la frase “Academic SPAM or vanity publishing?“. 

Se da una parte il dibattito scientifico nei blog e nelle comunità web 2.0, tra gli autori più giovani e innovativi, talvolta arriva a definire lo stesso processo di peer-review come una forma di editoria di vanità - si veda il provocatorio articolo Publish-or-perish: Peer review and the corruption of science pubblicato da The Guardian nel settembre del 2011 – d’altro canto si stanno configurando modelli di impresa editoriali che presentano non poche ambiguità, creando scenari complessi che richiederebbero un monitoraggio in termini di qualità di tutto il processo, e non solo dei contenuti. Si stanno affacciando sul mercato forme di Vanity Press che non corrispondono esattamente a editoria a pagamento, in quanto chi paga è di nuovo l’utente (il lettore o fruitore dell’informazione), ricalcando il modello di editoria tradizionale e usando talvolta tecniche di stampa a richiesta (Print on demand - PoD) quale modalità di distribuzione dei testi. Ancora un paio di anni fa sul blog di The Guardian un gruppo di giovani ricercatori commentava sulla distinzione tra Vanity Press e Print on demand, una tecnica di self-publishing che - a differenza della Vanity Press - consente all'autore di controllare tutto il processo editoriale di produzione del prodotto richiesto e pagato. Non si tratta in questo caso di editoria a pagamento, in quanto non vi è un APS, un Autore che pubblica a Proprie Spese, ma è comunque Vanity Press nel senso di editoria di vanità.  In questo genere di mercato l’utente di rete paga (anche un prezzo alto) per qualcosa che potrebbe avere gratis; è il tipico caso delle tesi di dottorato che sono liberamente disponibili negli archivi istituzionali open access delle università, e che vengono parallelamente immesse e vendute nel mercato della distribuzione on line. A seguito di un contatto mail di tipo spam all’autore viene proposto un contratto che gli promette una promozione vantaggiosa in termini di notorietà, previa cessione totale dei diritti. 

Jeffrey Beall - bibliotecario esperto di metadati all’Università del Colorado di Denver – dal 2009 cura una lista da lui definita la lista degli “editori predatori” nota come Beall’s list, editori non-professionali che sfruttano la Golden Route del modello Open Access per i loro scopi lucrativi. Tra le tante considerazioni questi falsi editori non effettuano alcuna peer-review prima della pubblicazione, o al massimo la peer-review viene sbandierata laddove si propone la pubblicazione di relazioni presentate a convegni internazionali dove la selezione è operata a monte dagli organizzatori dell’evento. Attualmente la lista nera di Beall cresce al ritmo di 3 o 4 editori a settimana, ad oggi sono oltre un centinaio le società editoriali e una cinquantina i periodici indipendenti segnalati. È nata a seguito degli studi di Beall sull’argomento pubblicati su The Charleston Advisor e The Chronicle of Higher Education dove metteva in guardia dei seri rischi di attacco all’Open Access tramite la strumentalizzazione della “via d’oro”. Nella lista nera vi è una coda, la “Watchlist” dei sorvegliati speciali che comprende editori sotto stretta osservazione: soggetti che pur non essendo considerati editori scientifici predatori a pino titolo, sono potenziali, possibili o probabili predatori in quanto presentano alcune caratteristiche sospette. Beall chiede alla comunità accademica e bibliotecaria di monitorare il loro comportamento, prestando la massima attenzione ai contratti, valutando il sito e i canali di distribuzione, e discutendo nei forum opportuni le proprie esperienze dirette.

In una intervista sul noto blog di Richard Poynder, Beall si dice sorpreso di quanta poca attenzione la comunità di ricerca presti a questi rischi concreti, soprattutto in un momento in cui è in atto un grande cambiamento nei modelli economici editoriali. "Sono costernato nel constatare come le discussioni sull’open access e in particolare sulla via d'oro siano solo teoriche e non riescano a comprendere i problemi pratici”. 

E' anche vero che queste forme di contatto via mail, seppur fastidiose e talvolta percepite come spam, potrebbero essere forse considerate un nuovo modello economico emergente entro una catena editoriale, perché no... anche di qualità. Forme e modelli cambiano nel tempo e non è da escludere che questi nuovi approcci di tipo push facciano parte di un nuovo modo di porsi nel mercato, ma anche di un nuovo modo di relazionarsi con gli autori. Attualmente, i pericoli di inquinamento e discredito delle possibilità dell’Open Access da parte di queste modalità non sono affatto trascurabili, ma non è detto che continui a essere così: non sarebbe la prima volta, nella storia dell’editoria e della diffusione del sapere, che innovazioni importanti nascono da da ambiti inizialmente screditati.

Antonella De Robbio

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