SOCIETÀ

Il debito greco e l'Europa incompetente

“La storia dell’indebitamento della Grecia è quella di una piccola e industriosa nazione che fu spinta da un ardente desiderio di sviluppo ed espansione a vivere a un livello superiore a quello che le sue risorse avrebbero consentito”: così nel 1930 scriveva lo storico dell’economia Herbert Feis. Leggendo L’Odissea del debito. Le crisi finanziarie in Grecia dal 1821 a oggi, appena pubblicato dai giovani storici Alessandro Albanese Ginammi e Giampaolo Conte (in edibus editore, Padova 2015), fanno quasi impressione le somiglianze tra le vicende di oggi e quelle di oltre un secolo fa. La Grecia moderna, nella descrizione degli autori, nasce infatti già sull’orlo del fallimento, e resterà in questa scomoda posizione per buona parte della sua storia. Difficoltà acuite dalla sua posizione di “confine”, ai margini di Europa e Asia, sospesa tra mondo slavo e Turchia, tra islam e cristianesimo, mar Egeo e Balcani. Un Paese che allo stesso tempo si sente disperatamente parte di quell’Occidente che in maniera così decisiva ha contribuito a fondare. 

Non che le potenze europee siano prive di responsabilità, anzi. Seppur nato con il loro impulso decisivo (soprattutto da parte inglese), lo stato ellenico diventa presto una pedina nel grande gioco geopolitico per il controllo degli Stretti. Un elemento all’occorrenza sacrificabile, tanto che Germania, Francia e Regno Unito non esiteranno a sfruttare la disfatta greca contro l’Impero Ottomano del 1897 per mettere il paese sotto una pesante tutela finanziaria. Una posizione che umilia il popolo e che allo stesso tempo viene sfruttata per fare buoni affari: il Kaiser Guglielmo II ad esempio, anche se alleato dei turchi, trova comunque il modo di spingere la Grecia esausta a riarmarsi, cercando di sfruttare le ricche commesse militari. 

Intanto alla fine del 1893 il parlamento greco, oppresso dal debito pubblico, aveva dichiarato default. Il perché spiegato con parole impietose da un emissario del governo inglese: eccessivo indebitamento, inefficienza della macchina pubblica, pensioni troppo costose e gravi mancanze nella riscossione delle imposte. Solo un quarto del denaro ottenuto in prestito finanzia ferrovie e altre opere pubbliche, mentre il resto serve a sostenere la debole domanda interna e l’esercito. Gli stessi problemi che ai giorni nostri potrebbero figurare in un rapporto del FMI. L’unico modo per riportare in equilibrio il sistema, secondo il diplomatico italiano ad Atene Alessandro Fè d’Ostiani, è quello di tagliare buona parte dei servizi pubblici e ridurre considerevolmente gli impiegati statali; l’ambasciatore italiano a Berlino Lanza, nel frattempo, scrive al ministro Visconti-Venosta che i tedeschi considerano la Grecia “puramente come una violatrice del diritto delle genti, per sovrappiù col disprezzo del creditore verso il debitore che ricusa di soddisfare ai suoi impegni”.

Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire. E infatti fino ai nostri giorni la tormentata storia ellenica continua come un rosario di instabilità politiche, guerre e rovesci economici. Fino al 1974, quando con la caduta del regime dei colonnelli il Paese spera di intraprendere finalmente una via senza ritorno verso stabilità, benessere e democrazia. I prossimi giorni ci diranno se si sarà trattato di un’illusione. Già dopo i primi entusiasmi però, a partire dagli anni ‘80, l’apparato statale viene trasformato in un’enorme macchina per il consenso, che dispensa stipendi e benefici chiedendo poco in cambio, data l’evasione fiscale diffusa. Una storia che conosciamo bene anche in Italia, però senza neppure il contrappeso di un’industria manifatturiera sviluppata.

Il libro di Albanese Ginammi e Conte mette in evidenza le responsabilità della classe politica e della società civile greca, ma anche l’assenza di una visione da parte dei leader europei, Germania in testa, che negli ultimi anni hanno considerato i finanziamenti ai paesi in difficoltà come una sorta di elemosina per i cugini reprobi e sfaccendati, senza calcolare che a beneficiare dell’euro sono state anche e soprattutto le economie più forti. Un’incompetenza che, ha scritto l’Economist, ha condannato la Grecia al fallimento prima ancora che questo cominciasse.

Daniele Mont D’Arpizio

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