UNIVERSITÀ E SCUOLA

Finanziamenti agli atenei: l’Italia delude ma non è pecora nera

Il 2012 è stato l’annus horribilis per i finanziamenti alle università in tutta Europa. Con le dovute differenze, le solite eccellenze, le poco sorprendenti cattive performance e una sorpresa o due, l’indagine della European University Association (Eua) descrive il trend del finanziamento pubblico alle università del nostro continente a partire dal 2008, momento dello scoppio della crisi finanziaria mondiale, fino al 2016.

Nessuna sorpresa, l’Italia continua a ricoprire il ruolo dell’allieva deludente nonostante le buone premesse, senza arrivare a toccare il fondo, ma comunque rimanendo impantanata in una situazione che nella pubblicazione dell’Eua è descritta addirittura come “ingiustificabile”. Insomma, i nostri colleghi europei presentano Pil, finanziamenti e linee di crescita o decrescita di studenti e staff in qualche modo proporzionati o, nei casi più virtuosi, con fondi in aumento oltre l’indispensabile. Noi, neanche a dirlo, no: “Diversamente dalle altre nazioni dell’Europa occidentale, l’Italia registra una diminuzione della popolazione studentesca. Questa situazione, però, non giustifica l’andamento dei finanziamenti che si è stabilizzato negli anni più recenti su di una curva negativa piuttosto preoccupante, nonostante la crescita economica”. A disinvestire in Europa, nonostante l’aumento del Pil, con noi ci sono altre dieci nazioni: per questo gruppo, considera l’Eua, la situazione “impone una riflessione su quali siano le priorità politiche”.

Dal 2008 si è ampliata la differenza fra i sistemi universitari che hanno ottenuto un incremento dei fondi pubblici e quelli invece che sono stati sottoposti a una riduzione degli investimenti. Sui 34 sistemi universitari presi in considerazione nella pubblicazione “Public Funding Observatory Report 2017”, solo 14 hanno ottenuto finanziamenti più consistenti nel 2016 rispetto al 2008, contando però che più della metà di questi ultimi non sono però riusciti ad adeguare l’investimento all’aumento troppo consistente del numero di studenti. E, per dirla tutta, non siamo soli: ben 19 nazioni registrano oggi un contributo pubblico ancora più basso di quello d’inizio crisi.

L’impatto dei tagli non è costante e non segue modelli particolarmente attendibili, ma varia nelle diverse nazioni, impattando in modo diverso su didattica, ricerca, servizi e staff. Generalmente, i sistemi universitari austriaci, tedeschi e svedesi mostrano un andamento finanziario sostenibile e consistente. Altri sistemi mostrano comportamenti ugualmente virtuosi ma meno efficaci, come quelli di Danimarca, Francia e Olanda, dove è tangibile un contesto di “austerità”. Si leggono invece chiari segni di ripresa in Islanda e Portogallo, stati in cui i tagli ai finanziamenti avevano assunto in passato un peso notevole. E poi ci siamo noi e chi, come noi, ha continuato a disinvestire, come la Spagna e la Lettonia. A onor del vero, la situazione italiana appare fra queste la meno grave, visto che nel periodo preso in considerazione la diminuzione degli investimenti si è accompagnata anche a una riduzione nel numero degli iscritti. Invece, in ben otto stati la contrazione delle casse s’è associata all’espansione della popolazione studentesca; i casi più gravi, in questo senso, sono quelli di Irlanda, Ungheria, Grecia e Islanda (anche se quest’ultima pare essere sulla strada giusta per la ripresa).

La vera sorpresa, però, viene dalla Turchia. L’istogramma comparativo dei finanziamenti statali europei in rapporto al numero degli studenti, pubblicato sul report dell’Eua, non riesce nemmeno a contenere l’elemento dedicato alla percentuale d’incremento degli universitari turchi: un +185,25% totalmente fuori scala rispetto agli elementi rappresentanti gli altri stati. E altissima è anche la colonna turca dell’istogramma che rappresenta l’incremento dei finanziamenti in percentuale, senza dubbio il più importante in Europa, ma che non riesce ad eguagliare l’enorme esplosione nel numero degli studenti.

La ricerca mette anche in luce un’importante correlazione fra finanziamenti statali all’università e capacità d’attrazione di fondi europei per la ricerca e l’innovazione. Perciò gli atenei delle nazioni più virtuose sono anche quelli che hanno le maggiori possibilità di beneficiare pure delle sovvenzioni europee all’interno del programma quadro in questione. Senza contare che questo, però, è stato a sua volta soggetto a tagli del 10% circa.

Le raccomandazioni finali dell’Eua sono quelle affidate al buon senso: “È necessario aumentare i finanziamenti sia a livello europeo che nazionale, così da dare alle università la possibilità di competere e rimanere punti di riferimento all’interno delle reti internazionali”. Ma si sa, il buon senso non sempre regola la vita politica.

Chiara Mezzalira

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