CULTURA

Quei devoti del buio in sala che resistono allo streaming

Musica, teatro, cinema: da anni, ormai, lo spettacolo ha cambiato natura. Da evento che, per gli spettatori, richiedeva una certa organizzazione e un atteggiamento dinamico (la caccia al biglietto in prevendita, lo spostamento verso luoghi a volte scomodi e lontani), è diventato uno show che ci entra in casa, o ci segue nel palmo di una mano: per fruirne basta un abbonamento, un’antenna satellitare, una app sul cellulare, e senza muovere un dito siamo in grado di assistere, spesso in diretta, a concerti e rappresentazioni di ogni genere, o di vedere film recentissimi (addirittura inediti, se prodotti espressamente per piattaforme come Netflix). Di fronte a un tale stravolgersi delle modalità di intrattenimento di massa, viene da chiedersi: esiste ancora qualcuno che ai concerti, a teatro, al cinema va personalmente? Se la domanda, tra qualche anno, potrebbe non essere più una boutade, oggi è comunque utile capire in che misura, nel trionfo dello streaming e dell’on demand, ci sia ancora un pubblico disposto a uscire di casa, affrontare code, trasferte e acquazzoni pur di ascoltare dal vivo gli artisti preferiti o godersi sul grande schermo una pellicola appena uscita o il restauro di un classico.

Il 52% degli italiani nel 2016 è andato almeno una volta al cinema

Cominciamo col dire che, con l’eccezione del cinema, il popolo dei “no streaming” è una minoranza, e piuttosto esigua. Secondo un’indagine Istat relativa alla popolazione dai 6 anni d’età in su, nell’anno solare 2016 il 52,2% degli italiani è andato almeno una volta al cinema, il 20,8% a un concerto di musica leggera, il 20% a teatro, l’8,3% a un concerto di musica classica. Il “cinema al cinema” si conferma, ancora oggi, l’unico vero spettacolo “dal vivo” di massa: se è vero che tra i frequentatori delle sale oltre la metà (58,1%) si accontenta di un massimo di 3 film all’anno, quasi uno spettatore su quattro (il 24,4%) va al cinema da 4 a 6 volte in un anno, percentuale quasi doppia rispetto alle altre forme di spettacolo, e il 17,5% vede 7 o più spettacoli all’anno.

Molto simili, invece, le proporzioni della “fedeltà” per gli spettatori degli altri generi: tra quanti vanno a concerti (di qualunque tipo) e a teatro, la grandissima maggioranza (tra il 75 e l’80%) si limita al massimo a 3 spettacoli all’anno. Una differenza di un certo rilievo si riscontra solo tra gli appassionati di musica classica, tra i quali oltre il 10% (10,8) segue almeno 7 eventi l’anno, contro il 7,2% dei frequentatori del teatro e il 6,8% della musica leggera: un’assiduità spiegabile, forse, con la tendenza di un buon numero di musicofili a sottoscrivere l’abbonamento a una stagione sinfonica o da camera.

Che età ha il popolo “no streaming”? La fascia varia in funzione del tipo di spettacolo e della frequenza. Per musica leggera e cinema c’è una fortissima concentrazione delle presenze giovanili (le punte sono nella fascia 18-24 anni per la musica leggera e 15-24 per il cinema), mentre nel caso della musica classica e del teatro c’è maggiore varietà, e le differenze per età sono molto meno marcate. Per la classica le fasce più presenti sono 55-64 anni ma anche 20-24, a testimonianza che è un genere che mantiene un buon seguito anche tra gli universitari (e, ovviamente, gli studenti dei conservatori); per il teatro i maggiori frequentatori sono i bambini e i giovani tra i 6 e i 19 anni: segno della vivacità del teatro per ragazzi, ma anche delle iniziative per gli studenti delle superiori, che si traducono in un buon successo di pubblico per questo intervallo di età. Molto diverso il quadro quando si guarda ai frequentatori abituali, quelli che seguono 7 e più spettacoli all’anno. In questo caso le “fasce forti” sono di età mediamente più elevata: dai 65 anni in su per la classica e (a sorpresa) per la leggera, addirittura dai 75 in su per il teatro. Fa eccezione il cinema, che vede tra gli spettatori più affezionati quelli tra i 18 e i 24 anni. Forte anche la fidelizzazione, per teatro e musica, dei 55-60enni, mentre la classica annovera tra i più assidui anche molti giovani (11-24 anni).

Quali sono, secondo la Siae, le tendenze del mercato dello spettacolo negli anni recenti? Prendendo l’intervallo 2013 – 2017, notiamo un incremento di pubblico rilevante e consolidato nella concertistica classica e leggera (gli ingressi annui sono passati da 11,9 a 13,3 milioni), un aumento meno marcato per il teatro (da 21,2 a 22,5 milioni) e una sensibile diminuzione per il cinema (da 105,7 a 99,6 milioni). Per quanto concerne l’ultimo anno, il confronto 2016-2017 segna un aumento di ingressi per la musica (più 1,5%), un decremento per il teatro (meno 1,7%) e una vera crisi per il cinema: meno 12,5%. Andando più in profondità, scopriamo che i settori con segno positivo per gli ingressi rispetto all’anno scorso sono soltanto tre: lirica (più 5,8%), balletto (più 2,8), musica leggera (più 3,2). Questi settori appaiono i più in salute anche sul fronte degli incassi.

Paragoni con l’estero? Giusto un dato. In Italia l’ultimo campionato di calcio di serie A ha ottenuto quasi il triplo degli spettatori di tutti i concerti di musica classica del 2017 (9,4 milioni contro 3,3). In Germania (dato dell’anno precedente) il totale è di 18,2 milioni contro 12,7. Ma a parti invertite: in proporzione, Beethoven batte Bundesliga 10 a 7. Diversità genetica o differenti politiche della cultura?

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