CULTURA

Kaos e la mitologia in salsa Netflix

Ha fatto parlare di sé la nuova serie di Charlie Covell Kaos, prodotta da Netflix e descritta come una reinterpretazione moderna della mitologia greca, che crea un mondo alternativo in cui esseri umani e dei continuano a convivere, con tanto di sacrifici umani e culti leggermente splatter. La trama ruota attorno ad alcuni dei dell’Olimpo, che vengono rivisitati in chiave contemporanea con toni umoristici e talvolta un po’ dark, aggiornando i temi mitologici attraverso una lente più attuale, ma recuperando storie e schemi narrativi immortali, sicuramente più degli dei, che in questa serie se la vedono abbastanza brutta.

Di fronte a contenuti come questi, è facile andare a spaccare il capello in quattro, cercando, fotogramma per fotogramma, quello che è ripreso pari pari dal mito classico e quello che invece è stato inventato dagli sceneggiatori (e in Kaos, in effetti, di inventiva ce n’è parecchia). Non è un approccio di per sé sbagliato, ma altri hanno già seguito questa strada, e forse potrebbe essere più stimolante cercare di capire come Covell abbia ripreso l’antica mitologia per adattarla ai temi cari a Netflix e, di conseguenza, ai suoi spettatori.
Per perseguire questo tipo di approccio, abbiamo sentito Pietro Vesentin, assegnista di ricerca del DiSSGeA dell’università di Padova ed esperto di mitologia greca e latina, che ha condiviso con noi le sue riflessioni su quanto la serie sia efficace per gli obiettivi che probabilmente si è posta.

“La rivisitazione dei miti in chiave moderna – spiega Vesentin – ha sicuramente dei vantaggi, per esempio quello di rendere questi racconti accessibili ad un pubblico più ampio. Io penso che alla fine non sia tanto importante chiedersi quanto ci sia di classico in questa serie, ma piuttosto quanto il mito classico aiuti la regia a guardare il presente. Tra l’altro, a pensarci bene, il mito nasce in sé per sé come qualcosa che è sottoposto al cambiamento: i miti non sono mai uguali, cambiano a seconda del tempo e quindi è anche giusto da un certo punto di vista che il mito classico ripreso nell'era di Netflix sia diverso dal classico originale, perché in questo caso il suo compito è rispondere canonicamente a quelli che sono i requisiti di gusto dello spettatore medio che guarda Netflix e che ricerca una serie seducente, che magari rimanda a temi specifici più sentiti di altri. Il mito, in altre parole, ha il cambiamento inscritto nel suo corredo genetico, quindi secondo me non ha senso quando si guarda questa serie fare i reazionari e mettersi a misurare minuziosamente la portata dei cambiamenti che il rifacimento attua rispetto alla tradizione quando lo stesso mito, in realtà, anche nel mondo antico nasce per cambiare”.

Il mito si attiva e vive una vita indipendente a seconda di chi lo interroga, quindi Netflix coglie davvero lo spirito del mito greco Pietro Vesentin

In quest’ottica è inevitabile che ci sia una certa semplificazione, e che si possa perdere parte dei messaggi originali, o che vengano parzialmente sacrificati i contenuti. Ed ecco che entrano in gioco riferimenti moderni che rimandano a quello che alcuni hanno studiato a scuola, collegando il divino della tradizione al mondo contemporaneo, per esempio l’orologio Casio di Zeus, il pop-rock di Orfeo e la marca di cereali “Il tallone d’Achille”. Elementi del genere riescono ad attualizzare il mito, mentre i più sensibili magari penseranno al Prometheus di Goethe, in cui si ricorda che anche Zeus deve sottostare a quel “tempo onnipotente” (Die allmächtige Zeit) che nella serie prende forma attraverso la profezia sulla caduta degli dei, profezia che non trova corrispondenza nella mitologia greca e latina ma che rimanda per esempio a quella norrena, con l’imminente Ragnarök, un evento catastrofico che segna la fine del mondo dopo una guerra finale tra dei, Giganti di ghiaccio e un lupo gigantesco. Questo mito, come Kaos, riflette la vulnerabilità degli esseri divini e la complessità del loro rapporto con il destino, e nello spazio limitato di una serie tv il recupero del concetto della fine degli dei, anche se pescato da un’altra mitologia, risulta più efficace dell’inserire, per esempio, il tema dell’invidia degli dei per gli esseri umani e la loro bellezza fugace che permette di vivere esperienze uniche e preziose proprio per la loro caducità. Un concetto profondo, ma un po’ complicato da inserire in una narrazione come quella di Kaos (vuoi mettere una più scenografica caduta degli dei, con tanto di fontana a vortice che di colpo si spegne?).

La questione delle profezie è centrale nella narrazione della serie e il modo in cui i personaggi affrontano il loro destino suggerisce una riflessione profonda sulla natura del potere e dell’autodeterminazione, perché, come le Moire dicono a Zeus, una profezia è solo una profezia e sono i soggetti interessati che la fanno realizzare. Altrimenti, se si decide che quella profezia non esiste, o anche solo se ci si sente al sicuro come Minosse all’inizio, sono soltanto parole.
Questa idea di autonomia dei personaggi è un elemento distintivo della narrazione moderna, che porta a riflessioni sulla libertà di scelta: “Alla fine – chiarisce Vesentin – c’è un errore ermeneutico nell’interpretazione della profezia di Minosse, è tutto un grande equivoco che dimostra non solo l'autonomia dei personaggi, ma anche la loro attitudine all'autodistruzione”. Questo aspetto rende la serie più rilevante per il pubblico contemporaneo, e fa riflettere sull’impatto delle scelte sul futuro di ognuno di noi.

Per quanto riguarda i personaggi della serie, oltre a notare l’assenza di pezzi grossi come Ares, Atena e molti altri (che probabilmente verranno recuperati nelle stagioni successive, se ci saranno), bisogna dire che l’inventiva dell’ideatore Charlie Covell trae ispirazione da elementi neanche troppo nascosti nel mito classico: Orfeo diventa un cantante pop-rock idolo delle folle, Polifemo il titolare del Bar Caverna, Medusa una burocrate annoiata, e le moire, lontanissime dalle tradizionali vecchie donne avvolte in vesti bianche, vengono rappresentate invece come un trio queer di motociclisti che incarnano l'eternità con una presenza enigmatica e sinistra.

Un altro personaggio in cui emerge chiaramente il traslato in salsa Netflix è Cenide. Nella mitologia classica, era una donna che venne violentata da Poseidone, che per compensazione le diede la possibilità di esaudire il suo desiderio e diventare un uomo, Ceneo, che però nel tempo diventò così tracotante per la sua invulnerabilità da essere punito con la morte.
“Anche in Kaos – fa notare Vesentin – ci sono accenni a questo, ma Ceneo è perseguitato da quello che chiamo il tiaso TERF delle Amazzoni e non è invulnerabile come in Ovidio. Si fa portatore di una maschilità fragile, rosa e non blu, e questo dà l’occasione di fare molte riflessioni moderne sul ruolo del maschile e sul cambiamento della virilità e sui suoi drammi, che sono tutti temi molto cari a Netflix. Vediamo quindi che un nucleo di fedeltà c'è in tutte le storie di Kaos, poi naturalmente quello che cambia è subordinato alla contestuale esigenza di riattivare il mito e renderlo seduttivo agli occhi dello spettatore che non necessariamente è addetto ai lavori”.

Un altro esempio di questa dinamica è la figura di Dioniso, che secondo Vesentin ha subito un notevole cambiamento nella sua rappresentazione. “Dioniso, nella tradizione antica, è un seduttore perturbante – spiega – mentre nella serie è molto più rassicurante e meno vendicatore”. Questo approccio riduce l'impatto tragico del personaggio, rendendolo per certi versi più gradevole, quasi una divinità della porta accanto, ma questo inevitabilmente ne limita anche la complessità.
Per lo stesso motivo vengono aggiunti qua e là legami più o meno sordidi, come la relazione tra Era e Poseidone, una sorta di Lapo Elkann che si dà alla bella vita su uno yacht, o quella tra Caronte e Prometeo. Di fatto, sono presenti tutti i temi cari a Netflix, e il collegamento con il mito c’è sempre, anche se, come suggerisce Vesentin, è traslato di un’ottava sopra: “
È ovvio che la mano di Netflix è visibile, penso all'impronta queer, alla pansessualità calcata di Dioniso, al cambiamento di sesso di Cenide, penso al tema dell'inclusività sociale nella figura di Dedalo che è focomelico che è un tema caro a Netflix e via dicendo, però molti di questi elementi penetrano bene nel sistema di culto e dell'immaginario antico. Dioniso, che è il patrono dell'esperienza estatica nel mondo greco, si diletta con le muse, seduce Arianna e tutto un insieme di altre persone e al tempo stesso ama parallelamente il giovinetto Ampelo. Dioniso è davvero un corpo queer, un corpo sghembo, un corpo disallineato, è come se la serie predigerisse per lo spettatore medio il grande tema del mito di Dioniso, cioè lo sguardo inquietante, che qui è più addomesticato, di un soggetto eccentrico che scompagina poi ogni regola con il suo essere qualcos'altro”.

Per quanto Kaos sia stato esaltato da parte della critica come il vertice dell’innovatività e dell’umorismo più sagace, forse l’entusiasmo andrebbe ridimensionato: “La serie è attraente – conferma Vesentin – ma lo è come tante altre produzioni Netflix. È il sapore un po’ preconfezionato del McDonald’s, un prodotto che va sul sicuro perché chi lo ha pensato conosce molto bene il target a cui è rivolto”. Se poi ci chiediamo che riflesso può avere su un eventuale riavvicinamento dei giovani alla cultura classica, pur essendo un prodotto godibile, probabilmente Kaos non sarà utile, e la maggior parte degli spettatori si fermerà alla superficie, senza andare a leggere Eschilo, Omero, Esiodo e tutti gli altri autori che hanno trasmesso il mito fino a noi. Quando si parla di riscoperta dei classici questo può essere un limite, ma del resto, come fa notare Vesentin, “lo scopo della serie non è rispondere a un bisogno di riscoperta dell’antico, che tra l’altro vive e fermenta nel presente senza nessun bisogno di essere custodito da Netflix: onestamente penso che siano altri testi ad attrarre veramente il lettore interessato al mondo classico”.

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