Biennale Arte, Venezia. Il Padiglione Centrale ai Giardini. Foto: Stefano Gueraldi
Si aspetta una folgorazione che raramente ci investe ma la cui assenza, in fondo, non è un segno di debolezza, piuttosto un’opportunità di ricerca e interpretazione. Si desidera sempre il colpo di scena, l’esplosione improvvisa della meraviglia, ma l’immersione in un universo collettivo e fluido porta con sé, in primo luogo e soprattutto, l’esperienza di un incontro con l’arte oltre il singolo evento memorabile, tanto più in una Biennale di prime volte e con più di trecento artisti. Così, di fronte all’annuncio dei vincitori, tradizionalmente svelati nel primo giorno di apertura al pubblico, quasi mai ritroviamo tutti gli artisti e i padiglioni che abbiamo visitato o inserito nella nostra personale classifica di gradimento, ma questo alla fine è il senso del viaggio, sempre desiderando Itaca ma oltre le attese epifanie. La Biennale è, prima di tutto, vasta geografia di visione e ascolto, creatura artistica multiforme attraversata da identità, storie e progetti.
L’ascolto è elemento essenziale e, con una certa evidenza, al centro di diversi progetti: dal Padiglione Italia all’Arsenale al Padiglione del Giappone ai Giardini, passando per la Gran Bretagna con il riferimento alla Silent Spring di Rachel Carson, la cui lezione emerge nell'opera dell'artista e cineasta John Akomfrah il quale, a sua volta, invita ad ascoltare la voce della natura.
Banalmente, forse, ma con emozione autentica, la meraviglia della visione si rivela invece all’esterno, nella facciata del Padiglione Centrale ai Giardini dipinta da Mahku - Movimento degli Artisti Huni Kuin, collettivo nato nel 2013 grazie ad alcuni workshop universitari di disegno nella regione dell’alto Rio Jordão, Acre, in Brasile. Colori e forme riempiono lo sguardo di un piacere immediato, senza filtri: nei settecento metri quadri di visioni sacre che compongono il murale monumentale si racconta il mito di kapewë pukeni, il ponte-alligatore che descrive il passaggio tra il continente asiatico e quello americano attraverso lo stretto di Bering. "Per attraversarlo, gli uomini trovarono un alligatore che si offrì di portarli sulla schiena in cambio di cibo. Tuttavia, man mano che attraversavano, gli animali diventavano sempre più scarsi e gli uomini alla fine ricorsero alla caccia di un piccolo alligatore, tradendo la fiducia del grande alligatore, che si inabissò nel mare. Da qui ebbe origine la separazione tra popoli e luoghi diversi".
A pochi passi, il Padiglione di Israele resta chiuso, "fino al cessate il fuoco a Gaza e alla liberazione degli ostaggi": il messaggio sulla vetrata parla chiaro e, così, la manifestazione in sostegno della popolazione palestinese di Gaza, organizzata nel primo giorno di pre-apertura davanti ai padiglioni di Stati Uniti e Israele, che riporta alla realtà di un tempo segnato dal dolore. Le conseguenze dei conflitti si mostrano prepotenti nella assenza della Russia ai Giardini, come già avvenuto nel 2022, nell’efficace racconto della guerra in Ucraina da parte della Polonia e nel progetto Net Making dell'Ucraina stessa, alle Sale d'Armi dell'Arsenale, con un titolo che trae origine dalla pratica di intrecciare reti mimetiche, metafora della tragedia e al tempo stesso occasione di incontro sociale. Se il film Civilians. Invasion svela i primi giorni dell’invasione russa attraverso l’esperienza traumatica dei civili, sono i Best Wishes di quindici artisti neurodivergenti a ribaltare il punto di vista, ripensando le convenzioni dei saluti e degli auguri, esplorando le trasformazioni del linguaggio: durante la prima settimana d'invasione su larga scala l'artista Katya Buchatska ha organizzato lezioni giornaliere online dando vita a un laboratorio d'arte inclusiva: “Ogni giorno discutevamo e dipingevamo temi familiari che ci riportavano a una certa routine. La vita continuava, i giorni passavano, i compleanni arrivavano”.
LEGGI ANCHE
“Stranieri ovunque” a Venezia. La 60esima Esposizione internazionale d’arte
Il Padiglione Israele ai Giardini è chiuso. Foto: Stefano Gueraldi
“Ascoltiamo per poter interpretare il nostro mondo e fare esperienza del significato”. Sulla citazione della musicista Pauline Oliveros si fonda Due qui / To Hear, progetto di sculture e installazioni sonore e performative alle Tese delle Vergini e nello spazio esterno. “Ascoltare se stessi” risulta fondamentale per comprendere il proprio ruolo nella società, nella relazione con l'altro. Il Padiglione Italia, curato da Luca Cerizza con la collaborazione di Francesca Verga, presenta l’installazione sonora di Massimo Bartolini, che il pubblico può attraversare. Ad aprire un percorso potenzialmente circolare è il piccolo Bodhisattva pensieroso - che indica la via agli uomini -, in chiusura gli alberi del Giardino delle Vergini, tra creazione artistica e naturale: rispettivamente pensiero e radici in connessione profonda con il mondo. Partendo da una traduzione apparentemente sbagliata, Two here (due qui) e To hear (sentire/udire), si attiva un processo di dialogo e scambio in cui curatore e artista danno vita a un progetto collettivo che, per la parte sonora, ha coinvolto le compositrici Caterina Barbieri e Kali Malone e il musicista Gavin Bryars (con il figlio Yuri) e, per la stesura di nuovi testi da inserire nel programma pubblico di incontri, la scrittrice e illustratrice per l'infanzia Nicoletta Costa e il romanziere e poeta Tiziano Scarpa.
L'ascolto è al centro anche del progetto della Gran Bretagna, il cui padiglione è un manifesto per promuovere l’ascolto come forma di attivismo ed è concepito in un’unica installazione con otto opere multischermo, interconnesse e sovrapposte, basate su suono e tempo. Listening All Night To The Rain del sopracitato artista John Akomfrah indaga la memoria, l’ingiustizia razziale, le esperienze delle diaspore dei migranti, le conseguenze del cambiamento climatico e, quindi, il vasto e complesso tema ecologico. Suoni, ma anche luci, movimenti e odori, riempiono il Padiglione del Giappone ideato da Yuko Mohri, autore di installazioni concepite come eventi che cambiano in relazione al luogo, in risposta alle condizioni ambientali di uno spazio che viene a sua volta trasformato dalle opere stesse.
Tra le prime volte alla Biennale c’è anche quella della Repubblica del Benin, con il suo padiglione nazionale Everything Precious Is Fragile: progetto espositivo che, attraverso il lavoro di Chloé Quenum, Moufouli Bello, Ishola Akpo e Romuald Hazoumè, approfondisce tematiche quali la tratta degli schiavi, la figura dell'Amazzone, la spiritualità e la religione voodoo e che, attraverso l'esplorazione del pensiero Gèlèdé della saggezza materna si concentra sul concetto di rematriation, interpretazione femminista dell'idea di restituzione, qui riferita in particolare al ritorno agli ideali antecedenti all'epoca coloniale.
Il Padiglione della Turchia svela l'opera di Gülsün Karamustafa con l’installazione Hollow and Broken. A State of the World attraverso cui l’artista osserva i disastri del mondo e li elabora. "Mi trovo di fronte a un mondo che è stato svuotato a causa delle guerre, dei terremoti, delle migrazioni, della minaccia nucleare e dei problemi naturali e ambientali che costantemente affliggono e minacciano l'umanità. Mi sforzo di evocare fisicamente ed emotivamente il fenomeno del vuoto, della vacuità, della frattura prodotto dalla devastazione diventata comune, dal dolore inimmaginabile che continua a colpire a intervalli incessanti, dai valori vuoti, dalle lotte di identità e dalle fragili relazioni umane". Con quest’opera Karamustafa ci invita a esplorare il rapporto fragile che ha costruito con un mondo in cui si sente "più straniera forse di chiunque altro". E così, tra Venezia e Istanbul, due vagoni scorrono su rotaie che non hanno né inizio né fine, mostrando al loro interno solo vetri rotti, e architetture ritenute stabili si svuotano cercando infine sostegno in impalcature di supporto.
Dal nucleo contemporaneo dell'Arsenale emerge il messaggio dell’artista palestinese-saudita Dana Awartani, in apertura del percorso: Come, let me heal your wounds. Let me mend your broken bones è una installazione realizzata attraverso rammendi su seta tinta con erbe e spezie dedicata ai siti storici e culturali distrutti nel mondo arabo a causa di guerre e atti di terrorismo. In continua evoluzione, l'opera qui si concentra sulla devastazione di Gaza e dei siti che sono stati rasi al suolo. L’artista buca il tessuto di seta, facendo corrispondere un sito a ogni strappo, per poi rammendare con cura ogni squarcio/ferita.
Void dell'artista filippino Joshua Serafin (che vive e lavora a Bruxelles), tra i pochi video proposti in questa edizione, offre una esperienza visiva potente e ipnotica: in nove minuti e quattordici secondi il movimento fluido di una divinità non binaria riempie uno spazio primordiale e ci conduce altrove, in un futuro possibile, disegnando con il gesto i contorni di un mondo nuovo. Un debutto anche quello di WangShui la cui opera riempie una intera sala dell'Arsenale, calata nella penombra: con il proposito di smaterializzare l'identità ed esplorare gli stati mutevoli di materialità e coscienza, propone un’installazione con tre dipinti in alluminio di grandi dimensioni, a filtrare la luce di altrettante finestre, e una scultura video a LED che indaga il simbolo del serpente.
Spostandoci al Padiglione Centrale dei Giardini, l'incontro con le tre sezioni del nucleo storico, composto da opere del ventesimo secolo provenienti dall’America Latina, dall’Africa, dall’Asia e dal mondo arabo, si concretizza al centro della seconda sala con i Bambus appesi al soffitto della artista brasiliana Ione Saldanha. Infine, l'opera di Madge Gill, artista inglese scomparsa nel 1961, con una toccante storia legata alla salute mentale, sembra poter chiudere idealmente un viaggio nell'espressione della propria unicità con Crucifixion of the Soul (1936). Qui il tessuto calicò, detto anche cencio della nonna, viene esposto per la prima volta alla Biennale e nelle sue trame sembra custodire il senso di una edizione dedicata agli outsider, alle anime straniere, ai talenti estranei ai circuiti mainstream. E, quindi, alla forza delle fragilità. Nella fitta composizione di inchiostri su calicò i volti sono "autoritratti, immagini dello spirito guida di Gill o espressioni sublimate di isolamento, sospese in paesaggi instabili".
[Una curiosità tra le sale del Padiglione Centrale, i visitatori più attenti noteranno un riferimento al Teatro anatomico di Padova nel progetto dell’artista Alessandra Ferrini].
Il video Void di Joshua Serafin. Foto: Stefano Gueraldi
Stranieri ovunque – Foreigners Everywhere, a cura di Adriano Pedrosa, nella giornata di apertura ha registrato 8.697 visitatori (+5% sulla prima giornata dell’edizione record 2022). Nei quattro giorni precedenti di pre-apertura, dal 16 al 19 aprile, gli accreditati sono stati 26.795 (più 19% sui giorni di pre-apertura del 2022), 4.315 sono i giornalisti accreditati, di cui 2.880 della stampa internazionale, il 67% del totale.
I premi ufficiali assegnati dalla giuria della 60esima Esposizione internazionale d'arte della Biennale di Venezia, presieduta da Julia Bryan-Wilson (USA).
Leone d'oro per la miglior Partecipazione nazionale: Australia, kith and kin. Commissario: Creative Australia Curatore: Ellie Buttrose; Espositore: Archie Moore Sede: Giardini.
Menzione speciale alla Partecipazione nazionale: Repubblica del Kosovo, The Echoing Silences of Metal and Skin. Commissario: Hana Halilaj, National Gallery of Kosovo Curatore: Erëmirë Krasniqi; Espositore: Doruntina Kastrati Sede: Museo Storico Navale della Marina Militare Riva S. Biasio, 2148.
Leone d'oro per il miglior partecipante alla 60esima Esposizione internazionale d'arte: Mataaho Collective (Fondato a Aotearoa, Nuova Zelanda, 2012. Con sede a Aotearoa, Nuova Zelanda).
Leone d'argento per un promettente giovane partecipante alla 60esima Esposizione internazionale d'arte: Karimah Ashadu (Londra, UK, 1985. Vive ad Amburgo, Germania e Lagos, Nigeria).
La Giuria ha inoltre deciso di assegnare due menzioni speciali ai partecipanti: Samia Halaby (Gerusalemme, Palestina, 1936. Vive a New York, USA) e La Chola Poblete (Mendoza, Argentina, 1989. Vive a Buenos Aires, Argentina). Già annunciati precedentemente i Leoni d’oro alla carriera all’artista brasiliana, italiana di nascita, Anna Maria Maiolino e all’artista turca, che risiede a Parigi, Nil Yalter.