Niklas Elmehed © Nobel Prize Outreach
Il Nobel per la Fisica 2021 è andato a tre studiosi. Metà premio è stato assegnato a Syukuro Manabe e Klaus Hasselman “per la modellizzazione fisica del clima terrestre, quantificando la variabilità e prevedendo in modo affidabile il riscaldamento globale”. La seconda parte del premio è andata invece al fisico teorico Giorgio Parisi “per la scoperta dell'interazione tra disordine e fluttuazioni nei sistemi fisici dalla scala atomica a quella planetaria”. Le due metà del premio sembrano quasi fare riferimento a due argomenti diversi, ma in realtà c’è un nesso che li lega, e quel nesso è lo studio dei sistemi complessi. Il clima e il meteo studiati da Manabe e Hasselmann, infatti, sono due tipici esempi di sistemi complessi, proprio come quelli che ha studiato Parisi, seppure da un punto di vista più teorico o di base rispetto ai due colleghi.
I modelli climatici: dall’effetto serra all’IPCC
Negli anni Sessanta del secolo scorso Syukuro Manabe, lavorando alla Princeton University, è riuscito a dimostrare in modo incontrovertibile il rapporto tra l’anidride carbonica presente in atmosfera e l’effetto serra. Che quest’ultimo avesse una ricaduta diretta sulla temperatura del nostro pianeta lo aveva già ipotizzato uno scienziato svedese, Svante Arrhenius, che tra Ottocento e Novecento aveva costruito un modello grezzo in cui le variazioni di concentrazione di anidride carbonica in atmosfera impattano sul bilancio termico e sulla temperatura superficiale del pianeta. In realtà, in anni più recenti si è scoperto che parallelamente ad Arrhenius, anche una ricercatrice americana, Eunice Foote, realizzò alcuni esperimenti che dimostrarono l’assorbimento di radiazione solare da parte di alcuni gas presenti in atmosfera e ne ipotizzò il ruolo nella variazione dei climi. Ma per una donna che oltretutto si trovava lontano dai centri di ricerca più importanti dell’epoca non era facile farsi strada.
Né Arrhenius, né Foote erano però arrivati a costruire un convincente modello fisico che spiegasse il rapporto tra gas serra e clima. Lo svedese, in particolare, si concentrò unicamente sul bilancio della radiazione solare, tralasciando invece un altro fattore che si è rivelato essenziale: gli spostamenti verticali di aria. È sulla base di questa considerazione fisica che, negli anni Sessanta, Manabe, emigrato negli Stati Uniti dopo la guerra dal suo Giappone prostrato economicamente, trova la chiave per costruire un modello efficace e accurato del rapporto tra temperatura della superficie e concentrazione di anidride carbonica. Non solo, nel 1967 il modello gli permise anche di prevedere che se la concentrazione di anidride carbonica fosse raddoppiata, avremmo assistito a un aumento della temperatura media della Terra di 2 °C. Un previsione che si è dimostrata sostanzialmente esatta, come hanno mostrato in questi anni gli studi dell’IPCC e di altri enti di ricerca.
Dal meteo al clima
Gli studi di Manabe sono le fondamenta della modellistica climatica che conosciamo oggi, ma non sarebbero stati sufficienti a farci comprendere l’attuale crisi climatica. A dare un contributo essenziale negli anni Ottanta è Klaus Hasselmann dell’Istituto Max Planck per la meteorologia di Amburgo in Germania. Hasselmann si domandò quali fattori erano coinvolti nella grande varietà del tempo meteorologici sulla Terra, sia sul piano temporale che su quello geografico. La Terra è rotonda, quindi meno raggi del sole raggiungono le latitudini più alte rispetto a quelle più basse intorno all'Equatore. Non solo: l'asse terrestre è inclinato, con la conseguenza di produrre differenze stagionali nella radiazione in entrata. Le differenze di densità tra aria più calda e aria più fredda causano i colossali trasporti di calore tra diverse latitudini, tra oceano e terra, tra masse d'aria superiori e inferiori, che determinano il clima del nostro pianeta. In queste condizioni sembrava impossibile predire gli stati futuri del clima, intendendolo come sistema fisico. Da una parte non possiamo conoscere puntalmente tutti i dati necessari per una previsione del tipo della fisica classica, quella della gravitazione newtoniana; ma inoltre il sistema-meteo sembra comportarsi in modo caotico e non-lineare.
Klaus Hasselman dimostrò che un fenomeno caotico e in continuo mutamento come il tempo meteorologico può in realtà essere descritto con la matematica e la fisica trattandolo come se fosse un rumore che cambia improvvisamente. Hasselmann creò un modello climatico stocastico, il che significa - semplificando - che la casualità è incorporata nel modello. L’ispirazione gli venne dalla teoria del moto browniano di Albert Einstein, chiamata anche “passeggiata casuale”. Usando questa teoria, Hasselmann ha dimostrato che l'atmosfera in rapido cambiamento può effettivamente causare lente variazioni nell'oceano. Si tratta del definitivo collegamente tra il tempo, che muta rapidamente su piccola scala temporale e geografica, e il clima, che ha invece effetti su periodi più lunghi e aree più vaste. I vincitori di metà del premio di quest’anno Hasselman e Manabe sono quindi tra le fondamenta della modellizzazione del clima che abbiamo imparato a conoscere in questi anni. Sulle loro scoperte si basano i modelli elaborati dall’IPCC e le discussioni internazionali sulla crisi climatica a cui stiamo assistendo e assisteremo anche con la Conferenza del Clima di Glasgow, la COP26.
I sistemi complessi e “frustrati”
Il lavoro di Giorgio Parisi sui sistemi complessi parte dagli studi classici sui gas ad opera di James Maxwell e Ludwig Boltzmann. Le caratteristiche di un gas, come per esempio la temperatura, vengono calcolate come la media tra le caratteristiche energetiche di tutte le particelle che lo compongono. Questo metodo di ragione, chiamato meccanica statistica, ha dimostrato di funzionare bene in condizioni normali. Se per esempio si comprimono le particelle, queste assumono una configurazione molto regolare, quella cristallina, ma il passaggio dallo stato caotico a quello regolare è piuttosto rapido.
Parisi lavorò su un particolare tipo di sistema complesso chiamato vetro di spin. Si tratta di una particolare lega metallica in cui, per esempio, gli atomi di ferro sono mescolati casualmente in una griglia di atomi di rame. Anche solo pochi atomi di ferro cambiano radicalmente le proprietà magnetiche del materiale. Ogni atomo di ferro si comporta come un piccolo magnete, o spin, che viene influenzato dagli altri atomi di ferro vicini. In un normale magnete, tutti gli spin puntano nella stessa direzione, ma in un vetro di spin sono “frustrati”: alcune coppie di spin vogliono puntare nella stessa direzione e altre nella direzione opposta. Come trovano un orientamento ottimale?
Parisi è riuscito a rispondere a questo tipo di domande per molti materiali e fenomeni diversi. Le sue scoperte fondamentali sulla struttura dei vetri di spin sono state così profonde da influenzare non solo la fisica, ma anche la matematica, la biologia, le neuroscienze e l'apprendimento automatico, perché tutti questi campi includono problemi direttamente correlati alla frustrazione.