SCIENZA E RICERCA

Questione di genere: la libertà di espressione a rischio

“Questa storia è cominciata cinque anni fa, con me che scrivo, tranquilla, alla scrivania. Ed è finita … con la mia amica avvocata Cinzia Ammirati che mi scuote le spalle, sorride e ripete: Silvia, hai avuto giustizia, abbiamo vinto, hai vinto! Nel mezzo, decine, forse centinaia, di messaggi di minacce e insulti quasi tutti a sfondo sessuale, una bufera di denigrazioni violente”. A raccontarlo sulle pagine di Repubblica.it è Silvia Bencivelli, giornalista scientifica, che proprio recentemente ha visto condannato il suo hater per diffamazione a mezzo web. Causa di tutto: aver scritto un articolo sulle scie chimiche, dimostrando l’inconsistenza della ben nota teoria sostenuta dai complottisti. L’episodio accaduto a Silvia Bencivelli sembra non essere un fatto isolato. Uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Public Understanding of Science dimostra, ad esempio, che le donne che si occupano di comunicazione scientifica su YouTube sono soggette a pregiudizi e discriminazioni che incidono sulla loro popolarità tra gli utenti. In media le donne che realizzano e appaiono on line in video ricevono più commenti per visualizzazione rispetto agli uomini e soprattutto un numero maggiore di commenti negativi, critici, sessisti e legati all’aspetto fisico.  

Questa indagine si affianca ad altre condotte non solo su piattaforme online, ma anche sui media tradizionali che vanno esattamente nella stessa direzione e mettono in evidenza disuguaglianze e forme di discriminazione nei confronti delle donne, sottolinea Claudia Padovani, direttrice del Centro interdipartimentale di ricerca studi di genere dell'università di Padova. “Il Global media monitoring project, un progetto internazionale che guarda al ruolo di uomini e donne nel mondo dell’informazione, da 20 anni sottolinea la responsabilità dei media nel rafforzare gli stereotipi di genere. Le donne sono meno presenti come soggetto della notizia – nel nostro Paese nel 21% dei casi – e sono relegate a temi secondari. In Italia, per esempio, quando si parla di politica il 15% dei soggetti che figurano o che vengono intervistati sono donne, in economia il 10%. Si tratta di percentuali che indicano in maniera molto esplicita che le competenze delle donne non vengono valorizzate e rese visibili”.

Il “Global media monitoring project” da 20 anni sottolinea la responsabilità dei media nel rafforzare gli stereotipi di genere

Secondo Claudia Padovani la questione tocca il tema più ampio dei diritti fondamentali e della libertà di espressione delle donne da un lato e della possibilità da parte di queste ultime di prendere parte al dibattito pubblico dall’altra. Ne è esempio proprio la discussione su tematiche importanti come lo sviluppo della scienza e della tecnologia, attraverso quei canali che si stanno dimostrando centrali nella trasmissione non solo di informazioni e di conoscenze, ma anche di ruoli sociali. Se mancano figure femminili a cui venga consentito di esprimere la propria voce e di arricchire il dibattito pubblico attraverso la diversità di opinione, si rinuncia a un contributo importante nella costruzione delle conoscenze.

I media sono certamente uno specchio delle dinamiche sociali, sottolinea Claudia Padovani, anche se la rappresentazione mediatica non riflette proprio fedelmente una realtà sociale che invece è in fase di trasformazione. La docente cita un altro “luogo” importante di disseminazione delle conoscenze. “Su Wikipedia sono molto più numerose le voci scritte da uomini che da donne, tanto che di recente è stata lanciata la campagna WikiGap”. Sulla celebre enciclopedia online, uomini scrivono di altri uomini: il 90% di coloro che aggiungono contenuti su Wikipedia sono uomini. Solo il 20% sono biografie di donne. L'informazione sulle donne è meno estesa di quella sugli uomini. Per questo l’obiettivo è spingere un numero sempre maggiore di donne a contribuire con i loro contenuti e incoraggiare chiunque ad aggiungere più voci su figure femminili. In questa direzione spicca in particolare una ricercatrice dell’Imperial College London, Jess Wade, che in un anno ha scritto ben 270 voci su donne scienziate.

Se mancano figure femminili a cui venga consentito di esprimere la propria voce, si rinuncia a un contributo importante nella costruzione delle conoscenze

Anche l’International Federation of Journalists, la più grande associazione di sindacati e associazioni di giornaliste e giornalisti di tutto il mondo, denuncia l’esistenza di forme di violenza e abuso che avvengono online nei confronti delle giornaliste. Questo, sottolineano Michelle Ferrier e Nisha Garud-Patkar in un recente articolo in cui esaminano piattaforme come Twitter e Facebook, può provocare stress emotivo e può rendere necessario il ricorso a vie legali per difendere la propria identità e la propria reputazione. Nel caso di donne scrittrici, attacchi misogini e razzisti possono far tacere le loro voci online e creare un deterrente alla libertà di espressione che alla fine erode anche la libertà di stampa. Gli autori citano la piattaforma TrollBusters, uno strumento che offre supporto alle giornaliste che si trovano coinvolte loro malgrado in queste situazioni.

Claudia Padovani conclude evidenziando il filo rosso che unisce i diversi ambienti virtuali, da You Tube, a Wikipedia fino al giornalismo online. “In tutti questi casi, l’expertise femminile si manifesta attraverso canali pubblici. Tuttavia, nel momento in cui le competenze di scienziate, scrittrici e giornaliste vengono contrastate e aggredite con commenti negativi, critici e sessisti, viene preclusa alle donne la possibilità di partecipare al dibattito pubblico”.

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