SOCIETÀ

Siccità, ondate di calore e crollo dei ghiacciai: “È il cambiamento climatico in atto”

Siccità e alte temperature sono le due principali anomalie climatiche cui abbiamo assistito in questo torrido giugno 2022, il secondo più caldo di sempre dopo giugno 2003, mentre i primi 6 mesi del 2022 sono stati i più siccitosi di sempre (da quando si effettuano le registrazioni): è nevicato e piovuto pochissimo, mancano all’appello circa 40 miliardi di metri cubi di acqua, ovvero circa il 43% in meno rispetto alle medie attese.

Il Po è in secca, il cuneo salino è risalito per oltre 30 km, molti comuni hanno già emanato decreti di razionamento dell’acqua, almeno 6 Regioni intendono chiedere lo stato di emergenza. L’Osservatorio del Po riporta ormai da giorni scenari di serietà idrica alta che rappresentano la più grave crisi idrica degli ultimi 70 anni.

Il Mediterraneo è stato attraversato da un’ondata di calore marino che ha fatto registrare valori anche di 5°C al di sopra delle medie attese, in particolare nel golfo di Taranto (i dati sono del sistema di monitoraggio satellitare europeo Copernicus Marine Service).

A inizio luglio sono state registrate temperature record di oltre 10°C anche sulla vetta della Regina delle Dolomiti, la Marmolada (3343 metri), il cui ghiacciaio ha già perso più dell’80% del proprio volume nell’ultimo secolo. Il progressivo scioglimento del ghiaccio in acqua ha probabilmente aumentato la pressione tra i crepacci e lubrificato la base d’appoggio di quella massa di ghiaccio che domenica 3 luglio si è staccata appena sotto Cima Rocca, travolgendo diversi gruppi di escursionisti: al momento sono 7 i morti, una decina i feriti e ancora di più i dispersi.

Per quanto riguarda i prossimi mesi, i modelli previsionali stagionali concordano nel preannunciare un’estate più calda e più secca della media.

“Il cambiamento climatico è questo, ovvero valori fuori dalla norma che iniziano a presentarsi con frequenza e intensità maggiori rispetto al passato” spiega Paola Mercogliano, climatologa della Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici), punto di riferimento regionale per l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change). “Fenomeni che magari vedevamo una volta ogni 70 anni ora si verificano ogni 10 o 15 anni”.

La Fondazione CMCC ha fatto un confronto tra i valori di siccità registrati negli ultimi 30 anni e quelli osservati quest’anno e ha confermato che quello in corso è un evento estremo: “significa che avrebbe una probabilità di verificarsi molto bassa, basandoci sui dati climatici degli ultimi 30 anni”.

Tuttavia, sottolinea Mercogliano, questi valori di probabilità sono destinati ad alzarsi. E non è da poco che sappiamo che le cose sarebbero andate così: “ricordo un report europeo del 2016 che diceva che il Mediterraneo avrebbe dovuto gestire emergenze legate alla carenza di disponibilità idrica e alle ondate di calore. Lo stesso IPCC, l’anno scorso, ha riconfermato che il Mediterraneo dovrà fronteggiare nei prossimi 10 anni almeno queste problematiche”.

Se collochiamo quindi gli eventi di cronaca recente in un contesto più ampio, Mercogliano non ha dubbi: “Molte volte ci si aspetta che il cambiamento climatico busserà alla nostra porta nel 2035 o nel 2050. Invece mi sento di dire che quello cui stiamo assistendo è il cambiamento climatico in atto”.

Oggi i rapporti dell’IPCC contengono anche quelle che vengono chiamate analisi di attribuzione, ovvero modelli capaci di stabilire la percentuale di responsabilità del riscaldamento globale anche per singoli eventi. Naturalmente queste analisi non sono ora disponibili per il distacco del seracco del ghiacciaio della Marmolada o per l’ondata di calore che ha attraversato il Mediterraneo in questi giorni, “però ci aspettavamo già che eventi esattamente di questo tipo sarebbero diventati nel Mediterraneo sempre più frequenti e purtroppo anche sempre più intensi”.

Non sono quindi i 10°C registrati sulla cima della Marmolada ad aver fatto distaccare in un giorno il seracco. Sono stati almeno due mesi di calore prolungato e più in generale il riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas climalteranti. Tutti i ghiacciai sotto i 3500 metri sono in forte sofferenza e in disequilibrio, perché il clima è cambiato e le temperature anche ad alta quota si sono alzate.

In ogni caso, concentrarsi sul singolo evento non è nemmeno la cosa giusta da fare, secondo Mercogliano. “Potrebbe anche darsi che l’anno prossimo non si verifichino anomalie di temperatura o di precipitazioni. Questo però non cambierebbe la tendenza in corso ormai da decenni. Non significherebbe che l’emergenza è passata e che tutto va bene. Non si potrebbe prendere come una scusa per non fare niente” sottolinea Mercogliano. “Dobbiamo agire e dobbiamo imparare a gestire pericoli in aumento che provocano rischi e impatti che sono già imponenti. Da questo punto di vista ci sono già tutti gli elementi per poter prendere decisioni che consentano di adattarci”.

"Questo è un dramma che certamente ha dell'imprevedibilità, ma certamente dipende dal deterioramento dell'ambiente e della situazione climatica" ha dichiarato da Canazei, ai piedi della Marmolada, il presidente del Consiglio Mario Draghi. "Il governo deve riflettere su quanto accaduto e deve prendere dei provvedimenti perché quanto accaduto abbia una probabilità bassissima di succedere o possa addirittura essere evitato".

Dal 2018 esiste un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che però è ancora in bozza, fermo al ministero della transizione ecologica, e non è mai stato approvato. Paola Mercogliano è tra coloro che sta lavorando con i ministeri alla definizione del Piano.

A livello urbano sono i tre i fenomeni principali a cui prepararsi: ondate di calore, allagamenti e, per le zone costiere, inondazioni dovute all’innalzamento del livello del mare. “Molti ministeri con cui stiamo collaborando sono molto attivi. Sicuramente avere il Piano approvato aiuterebbe ad aggiornare altri documenti e servirebbe a creare coerenza nelle risposte da dare in termini di adattamento. Sarebbe molto importante per l’Italia. Il fatto che non sia approvato però non è un impedimento per prendere iniziative. Non può e non deve essere una scusante per non agire. Regioni (come Emilia Romagna, Sardegna, Veneto) e Comuni stanno approntando già piani e strategie. L’adattamento richiede sì coerenza tra le parti ma va fatto soprattutto a livello locale, perché le esigenze sono diverse da territorio a territorio”.

Nell’immediato futuro l’adattamento consisterà nel ridurre l’impatto delle alte temperature, lavorando sulle vulnerabilità e sull’esposizione soprattutto delle fasce di popolazione più fragili: “conta molto come sono distribuite e dove sono sistemate le persone anziane, quelle più a rischio. Il territorio montano ci aspettiamo sia tra i più impattati: gli Appennini e le Alpi. Dirlo adesso sembra scontato, il fatto è che noi lo abbiamo detto già diversi anni fa. Invece di dover parlare ancora di cosa sia il cambiamento climatico, soprattutto quando ormai lo stiamo vedendo all’opera, a me piacerebbe poter parlare di soluzioni”.


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La tendenza in atto di aumento delle temperature è chiara e richiede risposte da parte dei decisori politici, che pure tardano ad arrivare: “Dobbiamo iniziare a mappare tutte le vulnerabilità”, sia quelle ambientali, come ad esempio i rischi idrogeologici, sia quelle sociali, come le fragilità degli anziani.

“Dobbiamo capire dove poter mettere aree verdi, zone ombreggiate. Il PNRR è una grande opportunità che va colta: le grandi trasformazioni delle nostre infrastrutture e delle nostre città devono essere pensate tenendo in considerazione il cambiamento climatico”.

Riguardo alla crisi idrica sono diverse le misure che si possono mettere in campo. “Dobbiamo fare piani di gestione dell’acqua, non aspettare le emergenze. Adesso non si può fare niente, ma domandiamoci come gestire l’acqua che pioverà il prossimo autunno: facciamo sì di non ritrovarci nella medesima situazione attuale il prossimo anno. Evitiamo gli sprechi. Servono lavori di manutenzione ordinaria prima e straordinaria poi. Ci sono perdite nelle reti urbane che sono ingenti. Pensiamo a vasche di raccolta d’acqua per gli agricoltori o a tetti blu per conservare l’acqua piovana. Occorre gestire gli invasi al meglio per trattenere più acqua, anche se andrebbero fatte analisi locali caso per caso, con valutazioni di impatto sulla biodiversità in caso se ne vogliano costruire di nuovi”.

Secondo Mercogliano poi andrebbe fatta una norma sulla regolamentazione del raffrescamento. Nonostante il governo abbia previsto dei limiti per gli edifici pubblici (non meno di 25°C d’estate, non più di 21°C d’inverno), “ognuno di noi può accendere in casa il condizionatore alla temperatura che vuole. Così si possono generare sovraccarichi e blackout: se salta la corrente in casa di persone fragili le temperature alte possono avere gravi conseguenze”.

Servono dunque politiche coordinate a livello nazionale, declinazione delle politiche di adattamento alle esigenze locali, ma sono determinanti secondo Mercogliano anche i comportamenti individuali. “Evitiamo gli sprechi anche a livello individuale, perché spesso manca la consapevolezza del momento che stiamo vivendo. Pensiamo ad esempio a quanta acqua sprechiamo con il ghiaccio che mettiamo nei cocktail e che poi buttiamo via. Spesso si dice che il comportamento del singolo non conta. Conta eccome invece, in termini di educazione che diamo alle giovani generazioni, in termini di voti. Mi spaventa il fatto di vedere questa scarsa consapevolezza. Forse i nostri figli vivranno con restrizioni che noi non abbiamo visto e che forse neanche ci possiamo immaginare”.

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