SOCIETÀ

Le odissee dei piccoli emigranti

“Dal giorno in cui ero partito erano trascorsi più o meno quattro anni e mezzo. Un anno e qualche mese in Pakistan e tre anni in Iran; ma questo per fare i conti a buon peso, come dice una signora che vende cipolle al mercato vicino casa mia, dove abito ora”. Bambini in viaggio, per mesi e a volte anni. Minori spesso soli, “non accompagnati”, così li chiamano quando arrivano in Italia senza adulti di riferimento. Enaiatollah Akbari non ha ancora compiuto dieci anni quando la sua mamma, per salvargli la vita, dall’Afghanistan lo porta in Pakistan, gli accarezza i capelli, gli raccomanda di comportarsi bene e se ne va, lasciandolo solo. Della sua storia si è parlato molto, perché qualche anno fa Enaiat è diventato il protagonista del libro Nel mare ci sono i coccodrilli, scritto da Fabio Geda, un titolo che riassume le paure dei bambini, timori che si trasformano in mostri. Il viaggio attraversa Iran, Turchia e Grecia, fino a raggiungere l’Italia. Una storia, la sua, che ne riassume tante altre. Odissee vissute da ragazzini in fuga dalle loro terre, esposti a pericoli e sofferenze. “Per tre giorni sono rimasto chiuso dentro la pancia della nave – racconta Enaiat nel libro di Geda - C’erano rumori pazzeschi, gorgoglii, ruggiti e altro. Poi la nave s’è fermata. Ho sentito il rumore dell’ancora che scendeva, che è un rumore che si riconosce subito. A quel punto mi sono chiesto: Dove sarò?”. 

“Tutti i bambini del mondo hanno gli stessi diritti, non ha importanza chi sono i genitori. Qual è il colore della pelle, né il sesso, né la religione, non ha importanza che lingua parlano, né se sono ricchi o poveri”. Così recita l’art. 2 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. A tutti i minorenni devono essere garantiti attenzioni e benessere, cure e protezione. E a tal proposito, nell’art. 22 si legge: “Gli Stati garantiscono il diritto di essere protetti e aiutati a tutti i bambini che sono costretti a fuggire dal proprio Paese a causa della guerra o di altre minacce che rendono pericolosa la vita in quel Paese”. Per non lasciarli soli al loro arrivo in Italia, per superare la diffidenza e la paura dell’accoglienza, nel luglio scorso, l’Autorità garante per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha iniziato a distribuire il Welcome kit, un passaporto dei diritti (illustrato) che contiene informazioni - in italiano, inglese, francese e arabo - e prime indicazioni utili ai minorenni stranieri arrivati nel nostro Paese senza adulti di riferimento. Ed è del 23 aprile scorso l’appello della Rete europea dei Garanti per l’infanzia (Enoc), lanciato a pochi giorni dal naufragio nel canale di Sicilia, che invita “governi nazionali, Unione europea e comunità internazionale a riflettere sui principi fondativi delle costituzioni e delle convenzioni a tutela dei diritti umani e a riconsiderare politiche e programmi di intervento nei confronti dei migranti, in particolare delle persone di minore età”. Si legge nella lettera: “I minorenni hanno come minimo il diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo, così come alla protezione da ogni forma di danno”.

Oggi come ieri. Queste piccole odissee non sono un fenomeno nuovo. I minori stranieri che arrivano ora nel nostro Paese ricordano i bambini italiani che, tra Ottocento e Novecento, emigrarono verso le Americhe o altri Paesi europei e quelle di chi, fino agli anni Sessanta del secolo scorso, pur restando in Italia, partiva dal Meridione per raggiungere il Nord, lasciava la propria famiglia povera con la speranza di un futuro migliore. Un secondo libro ci racconta proprio questa storia: è quello dello scrittore e insegnante Marco Balzano, L’ultimo arrivato, uscito di recente per Sellerio. Il protagonista, Ninetto detto pelleossa, lascia la Sicilia per andare a Milano: “Non è che un picciriddu piglia e parte in quattro e quattr’otto… Era la fine del ’59, avevo nove anni, e uno a quell’età preferirebbe sempre il suo paese, anche se è un cesso di paese e niente affatto quello dei balocchi. Ma c’è un limite a tutto e quando la miseria ti sembra un cavallone che ti vuole ingoiare è meglio che fai fagotto e te ne parti, punto e basta”. La storia di Ninetto è la sintesi, trasformata in romanzo, di una serie di testimonianze raccolte dall’autore, una quindicina di persone con questa biografia, quasi tutte residenti a Milano e provincia, qualcuna a Torino, un paio a Genova. Uomini che oggi hanno tra i sessanta e settant’anni. “In Italia – spiega Balzano nel suo libro –, il fenomeno dell’emigrazione infantile, sotto i dodici/tredici anni, si rivela ancora consistente nel periodo compreso tra il 1959 e il 1962, arco di tempo in cui si registra l’ultimo picco davvero significativo. Si tratta di bambini di famiglie povere o molto povere, principalmente del Mezzogiorno, che spesso non avevano nemmeno la possibilità di emigrare all’unisono”. A partire erano soprattutto i maschi (più raramente le femmine), inizialmente affidati a parenti o conoscenti, molti lasciati ben presto soli. “A volte – spiega Balzano - i rapporti con l’adulto […] si sfilacciano e ancora di più bisogna imparare a badare a se stessi e sbrigarsi a diventare adulti. Il rischio di chi non compie questo salto è quello di perdersi nella piccola e media criminalità o di rimanere ai margini”.

Francesca Boccaletto

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