UNIVERSITÀ E SCUOLA

Questioni urgenti

In questo blog dovrei parlare di scienza politica, o almeno di politica, ma in questa prima puntata di una serie che spero sarà lunga e utile per i lettori vorrei affrontare una questione urgente, una questione profondamente politica benché in apparenza sia materia solo per ironici corsivi sui grandi giornali: le competenze degli studenti.

In particolare è fondamentale riflettere, insieme agli insegnanti di scuola superiore, sulle competenze matematiche di chi entra all’università e riesce a laurearsi –in qualsiasi disciplina umanistica- senza veramente sapere quanto faccia 9x9. Dovrebbe essere ovvio che, nel mondo in cui viviamo, coloro che non capiscono le percentuali o ignorano le tabelline sono condannati a una vita di sconfitte e delusioni, da cui il certificato di laurea non li proteggerà affatto quando andranno in banca a chiedere un mutuo o entreranno nella cabina elettorale.

Nei miei corsi cerco spesso di discutere delle percezioni che abbiamo dei fenomeni sociali e di indurre gli studenti a chiedersi se, per esempio, la criminalità sia davvero in crescita o se la disoccupazione giovanile sia grave quanto si dice. Due settimane fa discutevamo in aula del numero di omicidi in Italia ogni anno e si capiva che l’intera classe non aveva alcuna idea se fossero molti o pochi, in calo o in crescita, se fossero colpa degli immigrati o degli italiani, se colpissero di più gli uomini o le donne. Le stime, comunque, erano sempre in eccesso: le valutazioni andavano da “più di 10.000” a “circa 5.000” o “forse 6.000”.

Per aiutare il gruppo, ho fornito il dato Eurostat, che viene espresso in questa forma: il tasso di omicidi in Italia negli ultimi anni è circa 0,77 per 100.000 abitanti. Quindi, quanti sono? Silenzio in aula: le calcolatrici incorporate nei telefonini apparentemente non aiutavano. Quanti abitanti ha l’Italia? Con aria dubitativa, qualcuno rispose che siamo circa 60 milioni, ma da lì a dividere per 100.000 (che fa 600) e poi moltipicare per 0,77 (che fa 462) sembrava ci fosse un mare.

Questo ci dice non solo che la percezione delle violenze estreme è semplicemente 20 volte superiore alla realtà ma, soprattutto, che un’operazione semplice come tradurre una percentuale in un numero assoluto (o viceversa) sembra non essere alla portata di molti studenti della magistrale.

Se poi guardiamo ai compiti scritti di scienza politica nella triennale troviamo risposte come questa a una domanda sui vari tipi di sistemi elettorali: “Nel sistema elettorale maggioritario con maggioranza relativa, i seggi sono assegnati nella totalità al partito che ha ottenuto più voti, anche solo ottenendo, ad esempio, il 51% dei voti rispetto al 49% dell’altro partito” L’autore è uno studente che, come gli altri due milioni circa di suoi coetanei fra i 19 e i 22 anni, sarà presumibilmente andato a votare il 4 marzo. Mi chiedo come si sarà orientato nel maneggiare una scheda che prevedeva, da un lato, il voto per un candidato nel collegio uninominale e, dall’altro, le coalizioni di partiti che sostenevano i vari candidati. Il voto disgiunto non era ammesso, quindi se ha votato per il candidato preferito nell’uninominale e per un partito diverso nel proporzionale la sua scheda sarà stata annullata.

Prima di chiederci se lo studente abbia espresso un voto valido, o studiato il manuale previsto per il mio esame, dovremmo però riflettere sul funzionamento di un sistema scolastico che si è occupato per ben 13 anni di un bambino, poi un adolescente, ora un giovane adulto, senza riuscire a fargli capire che la maggioranza relativa è un concetto diverso alla maggioranza assoluta e che, per definizione, una maggioranza relativa non può essere del 51% (e nemmeno del 50,0001%). Una maggioranza relativa può essere del 49%, del 39%, o anche del 19%, a condizione che altri candidati abbiano ottenuto percentuali inferiori nella suddivisione dei voti (e questo vale per qualsiasi altro universo oggetto dell’analisi, che si tratti per esempio di quote di mercato nei detersivi, marche di cioccolato o automobili).

C’è stato un momento, negli anni ‘90, in cui il genere letterario basato sugli svarioni degli studenti era molto di moda, da Io speriamo che me la cavo di Marcello D’Orta in poi. Non mi è mai sembrato un grande contributo al miglioramento della didattica o al rinnovamento della scuola e dell’università: se vogliamo riflettere seriamente dobbiamo chiederci cosa rivelano certi errori, dove si potrebbe intervenire.

Prendiamo un terzo studente che, alla stessa richiesta di descrivere i vari tipi di sistemi elettorali, rispondeva: “Possono essere uninominali, proporzionali o misti. Dipende se il numero di voti sono proporzionali o meno ai seggi conquistati da un partito”. Anche in questo caso il problema non sta nella materia d’esame (i sistemi sono “maggioritari”, i collegi o le circoscrizioni sono “uninominali”, cioè eleggono un unico deputato o senatore). Il problema sta nell’incapacità di formulare una frase coerente in italiano: per esempio, lo studente avrebbe potuto scrivere “Sono proporzionali quei sistemi in cui un partito conquista un numero di seggi approssimativamente corrispondente alla percentuale di voti ottenuti”.

Queste riflessioni dove portano? A sollevare un tema troppo spesso dimenticato non solo dal MIUR ma da noi e dai colleghi delle scuole medie e superiori, impegnati ogni giorno nel tentativo quasi impossibile di conquistare e mantenere l’attenzione degli studenti. Si iscrivono al primo anno di università centinaia di migliaia di diciannovenni vulnerabili per la mancanza di competenze di base: italiano e matematica, in particolare quest’ultima. Noi possiamo tentare di insegnare loro la scienza politica, la storia, la letteratura o la sociologia ma, in realtà, pestiamo l’acqua nel mortaio se il core knowledge, le conoscenze di base mancano. Abbiamo bisogno urgente di rimettere in moto, a partire dalle medie, dei sistemi di apprendimento che diano dei risultati in queste due aree: pazienza se gli studenti non sanno chi è Garibaldi, lo scopriranno su Wikipedia. Ma se non sanno calcolare quanto costerà loro comprare un’auto a rate, invece che in contanti, saranno cittadini dimezzati. E questa è una questione politica molto scottante.

fabrizio tonello

FABRIZIO TONELLO

Fabrizio Tonello insegna un corso sulla politica estera americana in prospettiva storica: “Republic” and “Empire” in American Political Thinking. Ha insegnato anche Storia del giornalismo e Istituzioni politiche dell’America del Nord. Ha insegnato anche nel dipartimento di Scienze della Comunicazione presso l’università di Bologna e nella Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste. È stato Visiting Fellow della Columbia University di New York e Fulbright Scholar presso la University of Pittsburgh (PA).

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