SCIENZA E RICERCA

Sulle tracce dell’antica città egizia

Un Egitto diverso rispetto ai consueti e consolidati canoni cinematografici e televisivi, ma non per questo meno interessante, quello che emerge dalle ultime campagne di scavo condotte nella zona del delta del Nilo. Un’area storicamente messa un po’ da parte dall’egittologia, ma che negli ultimi anni sta riscuotendo sempre più interesse, con missioni archeologiche portate avanti da università e centri di ricerca di tutto il modo. E proprio per illustrare i risultati di queste ricerche è stata inaugurata ad Alessandria d’Egitto, negli spazi della Bibliotheca Alexandrina Conference Center (BACC), la mostra fotografica Archaeo Delta, che vede tra i curatori due archeologi dell’università di Padova, Michele Asolati e Cristina Mondin. La mostra è rimasta aperta fino al 30 settembre 2016. Si sposterà poi la prossima primavera all'ambasciata italiana del Cairo e finalmente, probabilmente nell'autunno 2017, a palazzo Liviano a Padova.

Proprio nel Delta occidentale è infatti attivo dal 2014 anche l’ateneo padovano con una campagna di scavo nelle aree di Kom al-Ahmer e di Kom Wasit, due siti poco lontani da Alessandria e distanti tra loro circa un chilometro e mezzo. Con un proposito che è qualcosa di più di una speranza: riuscire finalmente ad identificare l’antica città di Metelis, l’unica capitale di nomos (regione amministrativa in età ellenistica) a non essere ancora identificata, malgrado sia localizzata da Tolomeo e Strabone proprio in quest’area.

I kom sui quali vengono condotti gli scavi sono caratteristici rilievi di origine antropica (come i tell mesopotamici o gli höhük turchi), ben distinguibili nel piatto panorama del Delta: “La maggior parte sono già stati depredati nelle epoche successive – spiega Michele Asolati, coordinatore della missione e docente di numismatica presso il dipartimento dei Beni culturali dell’ateneo padovano – soprattutto perché fatti di ottimo limo del Nilo, eccellente fertilizzante”. A Kom al-Ahmer erano stati fatti scavi già negli anni Quaranta, mentre Kom Wasit è stato praticamente ignorato fino ai giorni nostri, fino a quando le indagini topografiche, condotte con l’uso di prospezioni geomagnetiche e di foto aeree da Mohamed Kenawi, egittologo con saldi contatti in Italia, avevano rilevano la probabile presenza di edifici nel sottosuolo. È così iniziata nel 2012 la campagna di scavo, a cui ha aderito, due anni dopo, l’università di Padova. 

E alla fine i risultati non si sono fatti attendere: nel sito di Kom al-Ahmer sono stati ritrovati diversi manufatti, tra cui un pavimento realizzato con pietre portate dall’esterno del sito(la zona circostante offre solo argilla), numerose anfore e ceramiche decorate, databili in un ampio arco di tempo (dal III fino al XII secolo d.C.) e provenienti da tutto il bacino mediterraneo, e addirittura una necropoli islamica. Con la seconda stagione di scavo, a partire dal 2014, le indagini sono state estese anche a Kom Wasit; tramite le immagini scattate da un drone è stato analizzato il suolo reso umido dalla rugiada: i mattoni crudi delle strutture sepolte assorbono infatti l’umidità in modo diverso rispetto alle aree libere e questo porta differenze di colore del suolo. La combinazione dei dati del magnetometro e delle foto aeree ha rivelato la presenza di una vera e propria città con al centro un’enorme struttura lunga ben 115 metri, forse un tempio tardo-faraonico (a partire dal VII secolo a.C.), sulla quale si è intervenuti con uno scavo esplorativo. “I reperti per ora ci dicono che siamo di fronte a due centri urbani, distinti ma collegati – continua Asolati –. Il più antico, quello di Kom Wasit, risale al periodo tardo dinastico e si sviluppa fino all’età ellenistica, quando viene sostituito da quello vicino, situato a Kom al-Ahmer, probabilmente a causa di fattori ambientali, come un cambio repentino del corso del ramo nilotico di Rosetta”. 

Siamo dunque di fronte alla mitica Metelis? Sembrerebbero suggerirlo la dislocazione accanto a un ramo del Nilo, l’impianto urbano con la presenza di strutture notevoli e l’abbondanza di materiale ceramico d’importazione e di monete. Michele Asolati però non vuole correre: “Mancano ancora evidenze certe, come per esempio iscrizioni”. Nelle vicinanze dell’area scavata dalla missione padovana – che oltre ad Asolati e a Mondin comprende anche Cristina Crisafulli, e si avvale dell’aiuto e della collaborazione di studiosi e ricercatori provenienti da tutto il mondo – sono attive diverse aree di scavo, che però finora non sono ancora riuscite a identificare con certezza l’antica città.

Comunque vada, per ora si continua a indagare: “I risultati sono importanti e incoraggianti, soprattutto per la ricostruzione della vita quotidiana nell’area del delta del Nilo tra l’età ellenistica e quella romana, aspetti che spesso in Egitto sono trascurati sia dalla letteratura scientifica sia dai media”. Non ci sono solo le piramidi: “È importante riuscire a sapere anche cosa mangiava questa gente, come si vestiva, in altre parole come viveva. Se poi un giorno arrivassimo a identificare Metelis tanto meglio: avremo colmato una lacuna importante”. 

Daniele Mont D’Arpizio

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