SOCIETÀ

Angius: le istituzioni si impegnino per trovare casa alla musica

“Sono arrivato a Padova 18 mesi fa. Nel 2016 abbiamo aumentato gli spettatori del 30 per cento rispetto all’anno precedente. Il Ministero ci ha attribuito, secondo i parametri del merito, il massimo finanziamento. Ma continuiamo a non disporre di una sede stabile, e proviamo in un teatro dove, quando piove, ci fermiamo perché il rumore dell’acqua sul soffitto è troppo forte”.

Giunto a metà del suo mandato triennale come direttore musicale e artistico dell’Orchestra di Padova e del Veneto, Marco Angius ricorda un ingegnere accorso a stabilizzare un palazzo dopo un sisma: evitato il crollo, ora può respirare e chiedersi se c’è qualcuno che abbia voglia di restaurare l’edificio e costruirci intorno, se non una città, almeno un paesello. Ma scuotere opinione pubblica e istituzioni sul futuro di una fondazione musicale sembra, oggi, un intento da visionari.

Lei sta ricostruendo un’orchestra di tradizione che era in enorme difficoltà. A che punto è il percorso?

Ha detto bene. L’Orchestra di Padova e del Veneto vanta un passato prestigioso, e ha inciso oltre cinquanta dischi, unica tra le formazioni del suo genere. Io sto tentando un esperimento genetico: passare da un complesso in cui spiccavano i solisti a uno in cui al centro ci sia l’insieme dell’orchestra. Questo è il cuore del mio lavoro. Sono contento quando ospitiamo grandi strumentisti o direttori, ma non è con le star che l’orchestra cresce.

E in questa costruzione di una nuova identità, quali sono i punti fermi?

Un esempio? I concorsi. Con me abbiamo ricominciato a bandirli. Mancavano ruoli fondamentali come il violino di spalla e il primo contrabbasso: abbiamo selezionato Giacomo Bianchi e Francesco Di Giovannantonio con un concorso pubblico. Ora, per le future assunzioni, abbiamo graduatorie cui attingere, e non amici a cui chiedere se conoscono qualcuno.

Come vede l’attività dell’orchestra nel territorio?

Abbiamo moltiplicato i concerti annuali, ma siamo ancora troppo concentrati sulla nostra Provincia. Va compiuto un lavoro faticoso di continui contatti con gli amministratori, per espandere l’attività in tutto il Veneto. Dobbiamo formare un nuovo pubblico: vanno costruiti itinerari musicali tematici che valorizzino il territorio. Il nostro compito è questo, non siamo la Fenice o Santa Cecilia.

Che impressione ha tratto in questi mesi dalla risposta del pubblico e delle istituzioni?

In Italia gli artisti hanno un compito da missionari. Dal pubblico ho avuto molti riconoscimenti, ma il problema è sempre la grande difficoltà a trovare interlocutori istituzionali. Alcuni si sono dimostrati sensibili, ma ora siamo in una fase di transizione, e dobbiamo aspettare. Senza controparti politiche che dimostrino interesse e determinazione, nessun progetto di ampio respiro è possibile.

Lei pensa all’auditorium mancato, naturalmente, e all’assenza di una vera sede per l’Orchestra. Non ha mai pensato di rivolgersi direttamente agli imprenditori, o di tentare una campagna di mobilitazione dei cittadini?

Se qualcuno crede che oggi un imprenditore voglia investire in progetti per la musica senza un appoggio forte delle istituzioni, vive su un esopianeta. Quanto al pubblico, come si diceva i dati sono molto positivi. Ma sono ben consapevole che in Italia nessuno, purtroppo, né intellettuali né appassionati, ingaggia battaglie per la musica. Se domani mattina venisse annunciato che l’orchestra chiude, non ci sarebbe alcuna reazione. Il Gazzettino ha pubblicato un’ampia inchiesta sullo stato disastroso in cui sono ridotti il Conservatorio e lo stesso auditorium Pollini. Pensa che in città si sia aperto un dibattito? Nemmeno una parola.

Quindi, in tempi di finanza pubblica traballante, torniamo a sperare nella politica?

Non c’è alternativa. Un grande progetto per la musica può nascere se trova un politico, un sindaco che ne capisca l’importanza e lo faccia proprio. Serve un sindaco che voglia lasciare un segno, un’eredità nella vita culturale della città. A Roma il Parco della Musica è nato così. Tra l’altro una sede stabile ci consentirebbe di liberare fondi, che oggi impieghiamo per gli affitti delle sale, per la valorizzazione dei musicisti.

Dove potrebbe trovare spazio l’Orchestra?

Forse è più realistico immaginare la trasformazione di un edificio preesistente che la costruzione ex novo di un auditorium. Si potrebbe pensare allo stesso stabile del Conservatorio, se questo riuscisse a trasferirsi in una nuova sede. Una buona soluzione sarebbe anche cercare spazi vicino all’attuale auditorium Pollini, per creare un quartiere della musica. Penso ad esempio al complesso degli ex cinema Altino e Mignon, da anni inutilizzato.

Intanto si va avanti con la programmazione…

Quest’anno le Lezioni di Suono sono tenute da Ivan Fedele, direttore della Biennale Musica. Una formula, quella del compositore contemporaneo che dialoga con gli autori del passato, che sta avendo grande successo e visibilità: il ciclo con Sciarrino verrà proposto a breve da Rai 5. Avremo poi il festival estivo, che quest’anno è dedicato a Schubert e ai rapporti con Mahler. A settembre ci sarà una rassegna di musica sacra nelle chiese: sempre all’insegna degli intrecci, la musica del Settecento in rapporto alla contemporanea. E a fine anno l’esecuzione integrale dei concerti per violino di Mozart, con Sonig Tchakerian.

E la prossima stagione di concerti?

Posso anticipare che avvieremo un rapporto con il Teatro Stabile del Veneto. Ho un’ottima intesa con il direttore Ongaro, e abbiamo pensato a un progetto sul teatro musicale.

Cosa pensa del ruolo di divulgazione musicale affidato a intellettuali e comunicatori come Corrado Augias?

Sono favorevole, purché vi sia la partecipazione in prima persona anche di addetti ai lavori: direttori, compositori. Divulgazione non dev’essere puro intrattenimento. Ci sono grandi compositori che sono anche ottimi divulgatori: Sciarrino, quando tiene le sue lezioni, parla di musica, ma anche di filosofia, letteratura. Per la prossima stagione vorrei chiamare attori molto noti come voci recitanti per alcuni concerti. Non sono contrario a rivolgermi al pubblico con queste modalità, ma bisogna stare attenti a non sconfinare nello “show musicale”, anche perché questo tipo di offerta, da noi, è presente da tempo e molto popolare. Proseguiamo nella nostra linea: attenti al pubblico, ma senza transigere sul rigore delle nostre scelte.

Sta entrando nella seconda metà del suo mandato, che termina a settembre 2018. Se la sente di porre condizioni ultimative per proseguire il suo impegno?

No. Ho la convinzione che, nel caso me ne andassi, i risultati ottenuti si disperderebbero molto rapidamente. Desidero restare, e combattere per realizzare i miei scopi. E se vedessi delinearsi delle prospettive serie, dei progetti importanti, sarei ben lieto di trasferirmi a Padova stabilmente.

A gennaio ad Amburgo è stata inaugurata la Elbphilarmonie, straordinario palazzo della musica. Perché in Italia facciamo fatica a immaginare obiettivi ben più modesti?

A parte la grande tradizione artistica in entrambi i Paesi, il paragone tra Germania e Italia, oggi, è improponibile. Nel Dna dei tedeschi c’è la musica. Nel nostro c’è il calcio.

Martino Periti

 

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