UNIVERSITÀ E SCUOLA

E-learning gratuito: in bilico tra rivoluzione e discriminazione

La lezione si può seguire da casa o sorseggiando un caffè al pub. Le prove si possono sostenere alla sera, dopo il lavoro, sul proprio sofà. Come “compagni di banco” studenti in ogni angolo del mondo. Nessuna tassa da pagare. È l’ultima frontiera della formazione universitaria che si traduce in “massive open online course” (MOOC), corsi online gratuiti e aperti a tutti erogati da Università del calibro di Stanford, Princeton e Washington.

Se da un lato non mancano i sostenitori del nuovo sistema, su tutti Sebastian Thrun, Andrew Ng e Daphne Koller fondatori rispettivamente di piattaforme come Udacity e Coursera, dall’altro non sono pochi i detrattori. I primi sottolineano l’importanza della condivisione delle conoscenze in termini esponenzialmente più ampi di quelli consentiti da un’aula universitaria e caldeggiano un’accademia che privilegi l’accesso a tutti; i secondi mostrano perplessità nei confronti di una didattica “virtuale” che esclude la socializzazione come momento fondante dell’apprendimento e in cui non è possibile conoscere chi effettivamente sostiene il corso.

Questi, in estrema sintesi, i contorni di un fenomeno che ha dato uno scossone al modo tradizionale di concepire la formazione universitaria. A questo punto ci si chiede, però, per chi si stia “reinventando” il sistema universitario. Facendo intravvedere una possibile risposta, Joseph E. Aoun, presidente della Northeastern University di Boston, in Massachusetts, prospetta che le trasformazioni in atto possano dare origine in futuro a un sistema di educazione universitaria a due livelli: uno basato sulla vita del campus per chi può sostenerne i costi e un altro, a basso costo o gratuito, fondato sulla didattica on line, rivolto agli studenti meno ricchi e meno preparati, tagliati fuori dal sogno della tradizionale formazione nei college.

Negli ultimi anni il sostegno pubblico al sistema universitario è diminuito, sebbene le immatricolazioni siano aumentate, portando a un sensibile incremento dei costi sia per le famiglie che per gli studenti. I fondi stanziati dallo Stato sono diminuiti del 20% per studente dal 1987 al 2011. Le università più prestigiose accettano tra il 5% e il 10% delle domande d’ammissione e costano mediamente oltre 50.000 dollari l’anno. Il sistema di istruzione elementare e secondario in molti casi non è in grado di preparare una buona fetta della popolazione ad affrontare il college. In sostanza, l’innovazione universitaria mira alla ricerca di soluzioni che richiedano meno investimenti pubblici e privati. E questo spesso equivale a “tagliare” l’esperienza del campus. Tuttavia sono proprio gli studenti che provengono dagli strati sociali più bassi quelli ad aver più bisogno di formazione “in aula”, in quanto le scuole frequentate spesso non hanno offerto un’adeguata preparazione.

Parte del problema, osserva Robert Archibald, docente di economia al College of William and Mary di Williamsburg, in Virginia, è che il sistema di istruzione a due livelli prospettato da Aoun in realtà è già in essere e nel futuro sarà esacerbata la distinzione tra diplomi universitari “luxury” ed “economy”. Siva Vaidhyanathan, docente alla University of Virginia aggiunge che sostenere la formazione on line equivale a ignorare il valore aggiunto che le strutture universitarie offrono attraverso i loro servizi. La differenza non sta solo nelle lezioni in aula, ma in tutto un sistema di azioni e principi condivisi che contribuisce a “fare comunità” e “formare il cittadino”. Ciò che si deve fare per rinvigorire il sistema universitario, continua, è definire un programma politico che sostenga la ricerca e i costi dell’istruzione, che faccia scudo contro le banche che traggono profitto dai prestiti agli studenti e restituisca alle istituzioni il senso di missione pubblica.

La recente relazione del Moody’s Investors Service, “Shifting ground: technology begins to alter centuries-old business model for Universities”, rivela che l’offerta di corsi gratuiti on line potrà aiutare le università più prestigiose a ridurre i costi (tra cui anche quelli relativi al personale) e aumentare la visibilità del marchio. Oltre alla possibilità di trarre nuove fonti di guadagno con la vendita dei contenuti didattici ad altri college o con le eventuali tasse legate al rilascio del certificato di frequenza del corso. Situazione meno rosea, invece, per le università più piccole e per i college privati. In questo caso, le università che attraggono i propri studenti dalle zone più vicine potranno sicuramente migliorare la loro immagine e ridurre i costi, ma nel lungo periodo potrebbero perdere iscritti dovendo competere in un nuovo mercato anche con le università più quotate.

Karen Kedem, vice presidente Moody's, senior analyst e autore della relazione, ritiene che sia troppo presto per stabilire gli effetti della formazione on line sulle istituzioni e, altresì, che alla base non esista al momento alcun “business model”. È probabile, aggiunge, che molte università in futuro adotteranno un sistema misto, che alterna la formazione in presenza a lezioni on line.

Richard Ekman, presidente del Council of Independent Colleges, ritiene d’altra parte che le ragioni economiche non siano i principali motivi che hanno spinto le maggiori università ad aderire al progetto di formazione on line, ma che vi sia piuttosto una più genuina volontà di condividere conoscenze nel modo più ampio possibile, oltre al tentativo di sperimentare l’insegnamento on line. 

Intanto, finchè i vertici politici e accademici si interrogano sulle radici e le prospettive della nuova tendenza in ambito formativo, le varie Coursera, Udacity ed eDX aumentano il numero dei loro utenti e offrono nuovi servizi amplificando la loro attrattività. Coursera, per fare un esempio su tutti,conta ormai più di 2 milioni di studenti da 196 paesi, oltre 200 corsi on line gratuiti erogati da un consorzio di Università tra cui Stanford, Princeton, Washington ed Edimburgo. Ed è recente la notizia di un nuovo servizio, Career Services, che da un lato offre agli studenti migliori la possibilità di “piazzarsi sul mercato” nei settori professionali di interesse, dall’altro indica alle aziende iscritte, tra cui Facebook, Twitter,  AppDirect e TrialPay, i profili più idonei alla posizione ricercata. Un lavoro di mediazione dunque. Per ogni colloquio l’azienda paga una quota, mentre l’Università che ha elargito il corso frequentato dallo studente percepisce una percentuale di queste entrate, di solito tra il 6 e il 15%. Accanto a Coursera, anche Udacity offre un servizio simile che per certi versi risponde a una delle difficoltà intrinseche di piattaforme come queste, e cioè il reperimento di risorse finanziarie che permettano il mantenimento della gratuità dei corsi. Fino a questo momento Udacity e Coursera hanno contato sui soldi degli investitori o, come edX, per citare un’altra piattaforma con le stesse finalità, sugli stanziamenti delle università che l'hanno creata. Per il futuro si sta valutando l’inserimento nei rispettivi siti di banner pubblicitari o, nel caso di edX, di far pagare un eventuale diploma ufficiale, in considerazione del fatto che per ora la prassi è di rilasciare solo attestati di frequenza.

E il mercato del lavoro come reagisce? Stando a quanto affermato sul blog di Coursera, le aziende considerano i candidati individuati da Coursera migliori di quelli ottenuti da qualsiasi altra fonte. Certo, si deve tenere presente che, in alcuni casi, si tratta di aziende che per loro stessa natura ricorrono a sistemi di reclutamento delle risorse alternativi.

In conclusione, di fronte a un fenomeno con il potenziale di una autentica globalizzazione del sapere forse varrebbe la pena di considerare le parole di Zygmunt Bauman quando dice che “la cosa più eccitante, creativa e fiduciosa nell'azione umana sia precisamente il disaccordo, lo scontro tra diverse opinioni, tra diverse visioni del giusto, dell'ingiusto, e così via. Nell'idea dell'armonia e del consenso universale, c'è un odore davvero spiacevole di tendenze totalitarie, rendere tutti uniformi, rendere tutti uguali”. In fondo, sta tutto qui l’esprit dell’università. Accademia più, piattaforma meno.

Monica Panetto

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