CULTURA

I segreti del canto: mezzo ricreativo preso in prestito anche dalla politica

Veicolo di propaganda politica, espressione di protesta, strumento educativo e religioso, la musica e il canto favoriscono la solidarietà di gruppo e la creazione di un’identità sociale. Non senza effetti benefici sul fisico e sulla mente

“Colà, in una sera di mezzo settembre, in casa di Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di buon nome, si faceva musica e politica insieme… In quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino... e voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: - To' gli disse; te lo manda Goffredo –.” Il Novaro apre il foglietto, legge, si commuove.” È il 1847 e Michele Novaro, compositore genovese, riceveva dal ventenne studente Mameli il testo di quello che sarebbe diventato l’inno del nostro Paese. A raccontarcelo è Anton Giulio Barrili amico e biografo del giovane poeta, in uno tanti dei esempi che vedono musica e canto al servizio degli ideali della patria. L’elenco sarebbe lungo, dalla Marsigliese in Francia al God save the Queen britannico, il più antico al mondo entrato in uso nel 1745, fino all’Inno alla gioia di Beethoven adottato nel 1985 dall’Unione Europea per esprimere ideali di libertà, pace e solidarietà. 

E che dire dei canti sociali, spesso espressione di lotta, lavoro e protesta legati alla cultura popolare? Qualche anno fa Cesare Bermani, promotore e collaboratore dell’Istituto Ernesto de Martino e in passato direttore di riviste come Il nuovo canzoniere italiano, ne parla in una raccolta di saggi dal titolo Guerra guerra ai palazzi e alle chiese edito da Odradek. Spiega che “il canto sociale è … fenomeno di frontiera tra culture ufficiali (sia dominante che di opposizione) da un lato e culture popolari dall'altro”. E racconta in che modo il canto fosse legato alla battaglia politica. 

Le testimonianze sul significato sociale, ma anche religioso ed educativo del canto risalgono lontano nel tempo. Già alle civiltà mesopotamiche e agli egizi. Tra i greci la musica e il canto corale assumevano un ruolo importante nell’educazione del cittadino e nella sfera religiosa. Platone nella Repubblica e nelle Leggi si occupa dei fenomeni musicali per la loro influenza sulla formazione del carattere dei giovani e in generale sul comportamento dei cittadini e anche Aristotele ne parla nella Politica. "I giovani spartiati – racconta Robert Flacelière nel volume La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle – ricevevano un’educazione musicale che non era priva di rapporti con la guerra perché la ben regolata cadenza dei cori preparava alla manovra disciplinata dei battaglioni e sappiamo che l’aulos (oboe) e i canti ritmavano gli spostamenti dell’esercito spartiate". Il valore educativo del canto viene ribadito in più momenti nel corso dei secoli. Nel Novecento Rosa Agazzi nel volume Abbicì del canto educativo ad uso dei giardini d’infanzia e delle scuole elementari edito nel 1908 espone le sue teorie sul valore pedagogico del canto e, poco dopo con la riforma Gentile, alla materia veniva offerto ampio spazio curriculare. 

Ma non è finita qui. Veicolo di propaganda politica, strumento di protesta, di appartenenza sociale e religiosa, la musica e il canto non mancano di esercitare anche effetti positivi sul fisico e sulla mente. Molte persone ascoltano musica per sollevare il tono e l’umore più di quanto usino la caffeina o gli alcolici, i neurochirurghi per favorire la concentrazione, gli atleti per aumentare la resistenza e la motivazione, i lavoratori per aumentare l’attenzione e, come in passato, gli eserciti per coordinare i movimenti, portare il passo, dare segnali e aumentare la cooperazione. 

Il concetto di musica come medicina affonda le radici nella storia dell’umanità, attraverso la pratica di rituali nelle società tribali e pre-industriali. Nella società contemporanea continua a essere utilizzata per promuovere salute e benessere anche in ambienti clinici, ad esempio per il controllo del dolore, per il rilassamento e la psicoterapia. Nonostante gli impieghi clinici, sottolineano Mona Lisa Chanda and Daniel J. Levitin in una ricerca pubblicata recentemente su Trends in cognitive science, si basino su metodologie che non hanno ancora ricevuto una adeguata evidenza scientifica, esiste una letteratura emergente che dimostra come in questi processi siano prodotte variazioni a livello neurochimico che spiegano gli effetti benefici della musica e del canto. È stato dimostrato ad esempio che cantare in un coro riduce i livelli di cortisolo, legati allo stress, aumenta il rilascio di ossitocina, noto come ormone del benessere, di endorfine, una sorta di “droga naturale” che ha effetti positivi sull’umore e sulla resistenza allo stress e al dolore, e migliora il funzionamento del sistema immunitario. Ma non solo. È stato rilevato anche che ascoltare musica stimola il rilascio di dopamina, attraverso l’attivazione dei circuiti cerebrali del piacere e della ricompensa, e aumenta i livelli di melatonina, che producono calma e rilassatezza.

Accanto agli effetti positivi sulla salute e agli stimoli cognitivi che producono, la musica e il canto favoriscono dunque, e hanno favorito, processi di costruzione dell’identità sociale, creano spirito di gruppo e, spesso, veicolano significati politici, religiosi e sociali. A questo punto vien da chiederci… “Sono solo canzonette”?

Monica Panetto

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