CULTURA
Puglia 1946, la guerra civile dimenticata
Foto: Werner Bischof
Le vicende del testo bifronte Agus-Castellina Guardati dalla mia fame si ambientano il giorno dopo della felicità, per parafrasare il titolo di un altro libro sul sud post-bellico, quello scritto da Erri De Luca. Ma se nella Napoli del '43 raccontata da De Luca c'è l'abbondanza del contrabbando e una città comunque rigogliosa di possibilità, nella storia presa in esame (autoptico, viene da dire) da Milena Agus e Luciana Castellina tutto è riarso e saccheggiato. È la storia misconosciuta e dimenticata della guerra civile di Puglia, dipanatasi lungo il tavoliere tra il 1943 e il 1946 e che trova la sua esemplare acmè nel linciaggio delle ignare sorelle Porro, ultime esponenti di una famiglia della borghesia terriera di Andria. Una storia di contrapposizioni talmente forti e senza mediazione da richiedere due voci, due mondi, due racconti differenti, per mettere "sul tavolo", di fronte al lettore, il mondo degli uni e degli altri, il dentro e il fuori: come nella tragedia classica. E tragico, propriamente, è l'esito della vicenda narrata.
A immaginare e raccontare il privato delle vittime nella prima parte del libro, Milena Agus, capace habitué della narrazione di figure femminili e trame familiari ("La contessa di ricotta", "Mal di pietre") che entra nelle stanze segrete e assai poco avventurose delle attempate signorine Porro, ricchissime e frugali, che ricamano inutili corredi all'ombra di teorie di stanze dagli arredi sontuosi protetti da lenzuoli che sembrano sudari. Alla pietas del romanzo malinconico della Agus (con finale che risuona di gattopardiche eco sul mondo che cambia completamente per rimanere di fatto com'è, in uno scambio di ruoli ma nella permanenza delle dinamiche usate) succede dopo 119 pagine Luciana Castellina, nella seconda parte del libro intitolata Il Coro. Corale (e tragica, come nella tradizione greca antica) è in effetti la storia che, con altro piglio e altro accento - quello di una cronaca giudiziaria illuminata - è affidata alla giornalista e militante politica Castellina.
L'omicidio, a lungo senza colpevoli, delle tre sorelle avvenuto il 7 marzo del 1946 è descritto con toni fulminanti e la prospettiva della piazza in una manciata di pagine, poi collocato nel contesto della pluriennale vicenda pugliese incentrata sull'impari scontro braccianti - agrari: perché il linciaggio delle Porro, trascinate fuori dal Palazzo e colpite a morte, fu un episodio gravissimo ed esemplare, perché simile per tanti versi a quello che si verificava in tutto il Sud, fra ammazzamenti contrapposti e sommosse, da oltre tre anni.
La fame (e l'ira, omessa) del titolo, riprese dai versi del poeta palestinese Mahmoud Darwish, sono quelle della popolazione pugliese (fatta di bambini e donne soprattutto) "rachitica, storpia, scrofolosa", alloggiata in sotterranei scavati nelle fondamenta delle case (gli iusi) dei braccianti che nel dopoguerra offrivano se stessi alle prime luci dell'alba nella piazza pubblica, soppesati, scartati o scelti come schiavi nell'agorà.
I fatti storici riportati da Luciana Castellina tracciano con la parabola socio-economica del dopoguerra nel meridione italiano la storia sindacale di quegli anni, che ad essa è intrecciata (e l'omicidio Porro, in effetti, si consumò il giorno del comizio del sindacalista Giuseppe Di Vittorio). La disamina storica prende le mosse dalla fuga e messa in salvo dei Savoia il 10 settembre del '43, nelle stesse ore dell'eccidio di Cefalonia, e risalendo la sequela di morti e deportati che gli ultimi scontri coi nazisti lasciarono in tutti i vicoli dei centri pugliesi (e italiani), si focalizza sul ritorno dei reduci e sulla duplice visione del mondo che essi trovarono al loro duro ritorno. Una, quella borghese degli agrari (che aveva abbracciato i fasci di rinnovamento contadino), secondo cui nulla era cambiato, e un'altra, quella contadina, poggiata sulla messianica attesa di un mondo completamente nuovo.
La classe dei contadini non se ne stette però attendere a naso in aria, ma, nelle more del governo, dei padroni e del destino provò e in buona parte riuscì a dare corpo alle proprie speranze con una durissima rivolta bracciantile, una seconda Liberazione condotta nel dopoguerra contro lo sfruttamento e il Latifondo.
Castellina ricostruisce minuziosamente il lento e inesorabile popolarsi degli epicentri cittadini, le piazze, non solo di braccianti "scartati" dai caporali ma di capannelli di discussione politica finalmente non più soltanto appannaggio di "lor signori", l'apertura delle sedi sindacali e delle sezioni dei partiti, la nascita dell'astro del PCI Di Gaetano dentro Andria "La leonessa", in un crescendo di dramma e tensione che culmina proprio alle fatidiche giornate di marzo in mezzo a cui scoppia anche la violenza contro Palazzo Porro e le sue abitanti. Il linciaggio, rappresaglia della piazza per la sparatoria che, si presumeva dalle finestre di quel Palazzo, era stata indirizzata contro la folla in attesa di Di Vittorio, perpetrato alla vigilia della prima festa della Donna celebrata, con debutto di mimose, nell'Italia liberata l'8 marzo del 1946.
Silvia Veroli
Milena Agus, Luciana Castellina, Guardati dalla mia fame, ed. Nottetempo, Roma 2014