SOCIETÀ
L'islamismo radicale e la sua forza d'attrazione
Foto: Reuters/Juan Medina
Che fare dopo i tragici attentati di Parigi? Con l’Islam è il momento dello scontro oppure bisogna lasciare spazio al dialogo? Nell’inquietudine attuale uno dei rischi consiste nel cercare risposte troppo facili, immediate e definitive. Proprio per provare a ragionarne a mente fredda l’università di Padova il 3 febbraio ha organizzato un incontro che ha riunito alcuni degli studiosi dell’ateneo che si occupano più da vicino di Islam e multiculturalismo, assieme ai rappresentanti cittadini di Islam, Chiesa cattolica e Comunità ebraica.
Secondo Renzo Guolo, sociologo e coordinatore del convegno, anche senza dover per forza aderire alla teoria dello “scontro di civiltà”, secondo la quale gli attuali conflitti derivano da insanabili differenze culturali e religiose, per la comprensione di questi non si può prescindere dall’analisi dell’attuale contesto storico e politico, e in particolare dalla pretesa rinascita del Califfato, nelle vesti del nuovo Stato islamico (Is) guidato da Abu Bakr al-Baghdadi: “Si tratta di un fatto importantissimo da un punto di vista geopolitico, perché segna la messa in discussione delle strutture e dei confini usciti dal crollo dell’Impero ottomano”. Di qui l’attuale contrapposizione tra Is e Al-Qaeda, due ‘minoranze attive’ in lotta per egemonizzare l’Islam radicale: “L’Is ormai ha costituito una realtà teocratica territoriale nel cuore del mondo arabo e islamico, andando molto al di là dei tentativi rappresentati dalla Repubblica islamica dell’Iran e dal regime talebano del mullah Omar in Afghanistan. Un soggetto che si dimostra un richiamo dotato di un’enorme forza catalizzatrice per tanti estremisti, non solo nel Medioriente”.
Gli attentatori di Parigi, i fratelli Chérif e Saïd Kouachi e Amedy Coulibaly, erano tutti cittadini francesi musulmani provenienti da famiglie immigrate, si dichiaravano appartenenti rispettivamente ad Al-Qaeda e all’Is e probabilmente avevano trascorso un periodo di addestramento in Yemen e in Siria. “Attualmente proprio in Siria si stimano dai 2.000 ai 5.000 foreign fighters, per lo più tra i 18 e i 27 anni, tra cui anche un centinaio di donne. Molti sono europei, provenienti dalle seconde o terze generazioni di famiglie immigrate, ma tra di loro ci sono anche diversi anche convertiti”. Tutti attratti dall’islamismo radicale “di cui – secondo Guolo – bisogna riconoscere l’attuale enorme forza ideologica, nella linea delle grandi narrazioni ideologiche novecentesche” come comunismo, fascismo e nazionalismo. Una vera e propria ideologia politica che strumentalizza la religione e che si diffonde soprattutto attraverso uno degli strumenti simbolo dell’attuale società occidentale: il web.
“La sfida attuale non è tra Islam e Occidente, Islam contro cristianesimo o ebraismo – ha replicato Kamel Layachi, imam nelle comunità islamiche del Veneto – I terroristi sono semplicemente contro l’umanità e la dignità delle persone”. La fascinazione del jihadismo, nutrita anche dalla situazione delle periferie dei gradi centri urbani – che il primo ministro francese Manuel Valls non ha esitato a definire come come teatri di un vero e proprio apartheid – secondo Layachi mette in difficoltà le stesse comunità musulmane: “Abbiamo paura anche noi che i nostri giovani si radicalizzino; spesso cercano di formarsi da soli cercando materiali su internet. Per questo ostacolare la costruzione delle moschee, come vuole fare una recente legge regionale lombarda, invece di combattere il terrorismo rischia di incoraggiarlo, di rinforzare l’Is”. Per l’imam anche la comunità islamica può e deve essere una risorsa per la società: “L’Islam oggi in Europa, in particolare in Italia, è una realtà complessa e ricca di sfumature, non va percepito esclusivamente come fondamentalista. Per la piena integrazione però ci vuole una legge sulla libertà religiosa, che vada al di là di quella vigente sui culti ammessi”. E conclude lanciando un appello solenne: “Le nostre comunità devono essere al servizio del Paese, riconoscendo pienamente la sua Costituzione, e devono fare di tutto per garantire la sicurezza e la pace sociale”.
Un appello che è raccolto anche dai rappresentanti delle altre religioni: “L’identità di ognuno si costruisce sulle differenze”, spiega Aldolfo Locci, rabbino capo di Padova, espressione di una delle comunità più colpite dagli attentati di Parigi. “Allo stesso tempo anche la culture non devono essere pensate come entità chiuse, preesistenti a un rapporto di scambio con il diverso. Sono anzi lo scambio stesso”. Punto di vista condiviso da don Giovanni Brusegan, delegato della diocesi di Padova per la cultura e l’università, che però precisa: “Nonostante il pensiero post-illuminista laicista neghi loro valore, oggi le religioni sono più che mai vive, e continuano a imporsi prepotentemente all’attenzione perché sono viste ancora come una possibile risposta alla tristezza della modernità, alla fame e alla sete di senso”. In secondo luogo, secondo Brusegan: “La ragione primaria degli scontri e delle violenze oggi non sta nelle religioni, ma nella povertà e nelle disuguaglianze. Credo che però ci sia anche bisogno di un’autocritica. La Chiesa cattolica ad esempio con il Concilio Vaticano II ha dovuto fare i conti con il multiculturalismo e la libertà religiosa”. Adesso, secondo il religioso, tocca all’Islam.
“Il punto di approdo di un reciproco rispetto tra culture è l’accettazione il pluralismo, che però è combattuto proprio dagli estremisti islamici” ha concluso il rettore Giuseppe Zaccaria. “La libertà religiosa e di espressione sono valori irrinunciabili, che fanno parte dell’identità stessa delle nostre comunità. Su di essi non si può transigere, anche perché senza di essi non può esservi vera integrazione”. Anche per questo, secondo Zaccaria, è più che mai necessario, accettare il dialogo con l’Islam e incoraggiare chi, al suo interno, si batte “per una sua necessaria revisione teologica ed ermeneutica, contro una interpretazione letterale e fondamentalista del Corano”.
Daniele Mont D’Arpizio