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Marco Angius: la mia sfida per la musica in Veneto

“Sono stato scelto come direttore artistico e musicale alla fine di settembre 2015. Lei sa, al momento della mia nomina, quanti concerti erano in calendario per l’intero 2016? Sei. Adesso, dopo sei mesi, siamo arrivati a centosei. Ho preso una nave senza timone, e ho dovuto inventarmelo”. Marco Angius non ama i giri di parole. Sei mesi fa gli è stato conferito un incarico a doppio taglio: guidare l’Orchestra di Padova e del Veneto, un’istituzione prestigiosa giunta al mezzo secolo di vita, ma in preda al peggior fortunale della sua storia. Oggi, a inabissamento evitato, il direttore respira, ma non ha nessuna intenzione di vivacchiare. A Padova ha investito il suo nome e il profilo musicale ben delineato che lo accompagna. “L’orchestra ha bisogno di una nuova identità. Deve tornare all’eccellenza distinguendosi, garantendo un suono e un’offerta musicale diversi da tutti gli altri. Sto avendo grandi soddisfazioni: dal clima con gli orchestrali alla risposta del pubblico. Ma qui manca tutto, bisogna ripartire daccapo. E la mia permanenza è legata a quanto le istituzioni vorranno puntare su questa orchestra”.

D’accordo, maestro. Allora facciamo l’elenco delle cose che mancano.

Vuole che iniziamo? Il violino di spalla. Siamo l’unica orchestra del nostro livello che non ne possiede uno stabile. È come pensare a una squadra di serie A che non ha un allenatore fisso. Qui, per fortuna, siamo intervenuti subito. Abbiamo bandito un concorso internazionale a tempo indeterminato: le prove d’esame si terranno a maggio. Andiamo avanti? Non abbiamo uno spazio adeguato per le prove. Siamo costretti a utilizzare una sala periferica: in termini di immagine non è certo di grande aiuto, senza contare che lì l’acustica non ha niente a che vedere con quella che poi troviamo all’auditorium Pollini la sera del concerto. Vogliamo parlare del Pollini, la nostra “casa in affitto”? Sorvolando sullo stato di manutenzione della sala, ha idea di cosa vuol dire incidere un disco mentre gli allievi del Conservatorio suonano nelle aule contigue? Pochi giorni fa, mentre registravamo un Cd dedicato a compositori italiani degli anni ’50, in sala arrivavano suoni e voci di ogni tipo. Del resto non possiamo certo chiedere di sospendere le lezioni, no? E poi un’altra cosa: mi piacerebbe poter invitare gli spettatori alla presentazione dei concerti in un ambiente che, d’inverno, abbia il riscaldamento funzionante. Negli ultimi mesi, nel foyer, il pubblico delle 19 doveva tenersi il cappotto addosso. 

Però parlare di nuovo auditorium a Padova significa tuffarsi in un labirinto. Non vede una soluzione per l’immediato futuro?

Il teatro Verdi. Sì, oggi c’è la stagione di prosa, ma con una buona programmazione potrebbe convivere con la musica. In fondo, se il teatro è intitolato a Verdi e non a Goldoni, qualche ragione ci sarà. E, tecnicamente, basterebbe una nuova camera acustica smontabile per ricoprire la scena quando suoniamo: è un investimento limitato. Sento dire che ci serve un rilancio internazionale. E allora chiedo: perché una città importante come Padova non è in grado di offrire alla sua orchestra uno spazio degno della sua tradizione?

Veniamo ai rapporti con le istituzioni. La Provincia di Padova è uscita dalla vostra fondazione.

Ma Comune e Regione hanno confermato un appoggio forte e concreto. Il ruolo della Regione, tra l’altro, è fondamentale: l’orchestra deve avere una programmazione regionale, come accade altrove. Penso all’Orchestra Regionale Toscana: ogni concerto eseguito a Firenze viene replicato cinque volte in tutto il territorio. È un’occasione straordinaria per valorizzare i tanti piccoli teatri di provincia, e bisogna farlo anche in Veneto.

Parliamo di musica, finalmente. Lei è noto per il suo grande impegno per la musica contemporanea, un genere arduo per il pubblico medio. E gli italiani che vanno ai concerti di musica classica una volta all’anno sono il 9,3%. Quelli che ci vanno almeno ogni due mesi sono lo 0,9%.

Proviamo a invertire la logica: io propongo un’offerta musicale che mi appassiona, ma lo faccio a modo mio, pensando al pubblico. Di solito la musica contemporanea dal vivo viene proposta con la formula che chiamo del “sandwich avvelenato”: un’ouverture, poi un brano del Novecento, infine una bella sinfonia classica. La musica di oggi viene piazzata di nascosto, a tradimento, in mezzo a brani più agevoli. Invece, per essere apprezzata, dev’essere raccontata, valorizzata nel suo impatto formativo. Ho chiamato Salvatore Sciarrino, che all’estero è una star, e gli ho chiesto di essere il nostro “compositore residente” di questa stagione. Ad aprile e maggio, in collaborazione con l’Università di Padova, presenterà ai giovani tre “Lezioni di suono”: insieme a noi dell’orchestra spiegherà perché la musica è una costante rilettura del passato. Non un’evoluzione lineare nel tempo, ma un continuo intreccio tra epoche. Sciarrino presiederà anche la giuria del concorso internazionale di composizione per orchestra da camera: una novità assoluta che abbiamo lanciato. Il brano vincitore aprirà la prossima stagione concertistica, il 22 ottobre. Credo che a Salvatore Sciarrino Padova debba un gesto di riconoscenza: ho chiesto al Comune di conferirgli la cittadinanza onoraria. Sarebbe un segnale importante di attenzione, verso il mondo della musica e verso l’orchestra.

Lei vede la musica contemporanea come una reinvenzione continua della tradizione…

Guardi all’Orfeo di Monteverdi. Quando Ottorino Respighi, a distanza di secoli, ne cura l’orchestrazione, come partitura originale ha a disposizione un basso e una melodia. Nient’altro. E quindi ricrea il passato reinventandolo in libertà. Che senso ha dannarsi per costruire ipotesi su come un brano veniva eseguito secoli prima? 

Contemporanea, Ottocento: la stagione dell’orchestra ormai guarda agli ultimi due secoli. E la storia di quella che fu l’Orchestra da Camera di Padova? E il Sei-Settecento?

La tradizione conta, ma guardiamo a quello che siamo oggi: un importante complesso sinfonico. Dobbiamo avere un repertorio coerente. Lo sa che ce lo impone anche il ministero? I nuovi criteri per assegnare i fondi sono chiari: ogni anno abbiamo il vincolo di un numero obbligato di concerti da eseguire con un organico di almeno 35 strumentisti. Se programmo una serata con una formazione ridotta, il ministero non la accredita.

Insomma, lei non arretra di un metro. Ma non tutte le nuove proposte sono piaciute: penso alla prima di Mahler nella trascrizione di Klaus Simon per orchestra da camera…

Le critiche vanno benissimo, purché siano firmate e argomentate. Uno dei problemi che ho trovato a Padova è proprio che manca una vera critica musicale, cosa che ha lasciato spazio a qualche frecciata generica e senza paternità precisa. Invece mi pare che il pubblico abbia reagito molto bene, anche se alcuni programmi erano complessi. Quindi io rilancio, e nella prossima stagione proporrò l’inverso: Mahler che rivisita alcune sinfonie classiche.

Parliamo delle novità. Cosa proponete per la primavera? E la prossima stagione cosa riserverà?

Porteremo nei piccoli teatri il Barbiere nella versione per ensemble di fiati. E quest’estate, a Palazzo Zuckermann e al Castello dei Carraresi, avremo Ludwig van, l’integrale delle sinfonie di Beethoven, un omaggio all’impegno discografico di Peter Maag, storico direttore principale della nostra orchestra. Il titolo del ciclo è anche una citazione del compositore Mauricio Kagel, che nel 1969 girò un film sperimentale dedicato al musicista di Bonn. Quanto alla prossima stagione, le faccio qualche nome in anteprima: tra i direttori Daniele Pollini e Roland Böer; come violinisti Michael Barenboim, Josef Špaček, Anna Tifu; tra i pianisti David Fray e Alessandro Taverna; e poi il violoncellista Gary Hoffman. E un progetto speciale ci regalerà la presenza di Neville Marriner.

Mi spiega la sua ricetta per i giovani? Come si riesce a farli tornare alla musica dal vivo?

Questo è un problema che non riguarda solo la classica. I canali Internet, lo streaming, le app sono ormai un veicolo fondamentale per fruire di contenuti musicali, e quindi distolgono i ragazzi dalla musica dal vivo. Non possiamo opporci alla tecnologia, però dobbiamo usare strategie mirate: i flash mob, la comunicazione social. E creare eventi ad hoc, come i concerti aperitivo del mercoledì, con cui abbiamo portato a teatro i giovani che affollano le piazze per lo spritz. E poi vorrei ricordarle che il biglietto ridotto fino ai 35 anni l’ho introdotto io.

Sì, ma la programmazione? Cosa pensa delle “terre di mezzo” tra classica e altri generi? Vorrebbe a Padova David Garrett, il violinista-divo che alterna palarock e grandi teatri?

Non sono contrario in assoluto a queste operazioni: mi sarebbe piaciuto collaborare con Stefano Bollani, ma la sua agenda è molto fitta. Quanto a Garrett, non amo la dittatura di certe agenzie. A me piacciono i rapporti diretti con gli artisti.

Quindi, se fosse Garrett in persona a chiamarla, lei lo inviterebbe?

Di corsa. Lo aspetterei a braccia aperte.

Martino Periti

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